Religion als Gegenwart è il titolo del ciclo di otto lezioni che Martin Buber tenne al Freies Jüdische Lehrhaus di Francoforte sul Meno, allora diretto dall’amico Franz Rosenzweig. Il testo fu stenografato in duplice copia e conservato nell’archivio di Buber a Gerusalemme, vide poi la luce nel 1978 grazie al lavoro editoriale di Rivka Horwitz. Religione come presenza ci consegna un vivido affresco del pensatore viennese come docente e ci permette di comprendere anche l’evoluzione del suo pensiero.
Ci troviamo dinanzi ai prolegomeni a una filosofia della religione che troveranno maturità nel capolavoro Io e Tu. In realtà, Religion als Gegenvart voleva essere anche il titolo onnicomprensivo per una più ampia opera, progettata ma non realizzata da Buber, che avrebbe dovuto abbracciare la totalità di quelle forme originarie della vita religiosa, alla luce della contrapposizione tra religione e religiosità che Buber ricevette direttamente dalle aule berlinesi di Georg Simmel. Il tema della “presenza” può essere considerato il fil rouge che attraversa l’intera produzione buberiana.
Le otto lezioni che il presente saggio raccoglie sono divisibili in due gruppi. Il primo comprende le prime tre lezioni: è una vera e propria pars destruens. Infatti, Buber afferma la necessità di emancipare la religione da tutte quelle ingerenze, indebite e aggressive, che altre sfere della vita spirituale esercitano su di essa. Sono affrontati i diversi riduzionismi che minano l’autonomia della religione (biologia, arte, etica, scienza, psicologia). In tal senso, l’anima, per Buber, è la relazione dell’essere umano al mondo, alle cose, alle essenze, agli uomini, all’essere, a se stesso (cf. p. 78). La religione – o anche il religioso – non è per Buber qualcosa di relativo, così come ci è stato presentato agli albori del XX secolo, ma qualcosa di assoluto che ha a che fare con un Tu assoluto che non è trascendente, bensì reale, operante nella storia di ogni uomo.
la religione come qualcosa di assoluto è l’affermazione di una religiosità che non si lascia riassorbire dalle sabbie mobili del positivismo. In queste tre lezioni, das Religiöse è un termine che ricorre assai sovente. Il secondo gruppo di lezioni, dalla quarta all’ottava, rappresenta, invece, la pars costruens di questo ciclo di incontri. Dopo aver sgombrato il campo da tutto ciò che ostacola il libero dispiegarsi della religione (o del religioso), Buber individua proprio l’idea centrale della religione come presenza quale unico modo per affermare, indipendentemente dal momento storico toccato in sorte, la religione.
È la fedeltà al presente che può aprire l’esistenza di ogni essere umano alla religiosità, fino a poter affermare, attraverso l’universale fenomeno dello spirito, la possibilità di un’umanità invisibile unita nella comune religiosità. Tuttavia, è proprio nell’impossibile e necessaria “fedeltà al presente” che le religioni storiche compiono la loro tragica parabola. Buber introduce la contrapposizione tra Io-Tu e Io-Esso, che è qui istituita tra Mondo del Tu e Mondo dell’Esso. Dio si afferma come il Tu Eterno o Tu Assoluto. Molti brani qui raccolti ritorneranno nell’opera Io e Tu, i cui paralleli, con i luoghi corrispondenti in Religion als Gegenwart, sono stati ricostruiti in nota pazientemente dal curatore. «Dalle prime lezioni apprendiamo […] come la domanda sulla religione come presenza debba essere posta contro le minacce esogene al fenomeno religioso; dal secondo gruppo di lezioni apprenderemo invece come tale domanda valga, a maggior ragione, di fronte alle minacce endogene che minano il fenomeno religioso al suo stesso interno» (p. 12).
In effetti, le lezioni di Buber si estesero oltre l’ebraismo per dimostrare il significato della religione nella vita umana ed esplorare le varie dimensioni dell’esperienza storica, concludendo che la persona scopre Dio attraverso la sua interazione con un Altro, attraverso la scoperta della presenza e dell’essere presente, mediante l’incontro di un Io e di un Tu. La nozione chassidica di Shekinah è reinterpretata da Buber come presenza di Dio abitante nel mondo o anche come presenza immanente di Dio nel mondo, ma altresì quale presenza che l’uomo conquista a se stesso, portando a compimento la Shekinah medesima. S’impone, così, una triplice affermazione: alla presenza di Dio nel mondo corrisponde proprio il nome Shekinah; alla presenza di Dio nell’uomo corrisponde il nome di i-spirazione; alla presenza dell’uomo a se stesso, allorché egli avverta la presenza di Dio nel mondo e, parimenti, entro sé, corrisponde il nome en-tusiasmo.
La Shekinah, ultima delle Sefirot, Presenza e Gloria di Dio nel mondo, infiamma ogni scintilla e penetra l’intera creazione. Da qui il compito di ogni uomo: la relazione. La presenza chiama la relazione. Senza tale atto di relazione la presenza non è nulla, non può sussistere. Presenza e relazione sono congiunte da un compito messianico: l’atto di relazione, capace di creare presenza, tanto individuale quanto cosmica. In realtà, per Buber, non esiste separazione tra individuo e cosmo: questo mondo è il portale verso Dio, e chi stringe al suo interno una relazione mediante la retta intenzione partecipa al compimento della Shekinah. Presenza e relazione sono unite in un nesso fondante: il presente nasce grazie alla presenza del Tu, ovvero di chi è presente nella relazione immediata che, al sorgere di un mezzo, di una mediazione, decade.
Il Tu non deve diventare un oggetto tra gli oggetti; diversamente, la presenza decade. La perdita della presenza è lo smarrimento dell’uomo stesso, della sua identità, del suo vero significato. La nozione di presenza è, per Buber, legata a quella di presente, cioè di un essere presente. Come si può essere nel presente? Solo uscendo dall’egocentrismo sarà possibile ricollocarsi in questa presenza che è il Tu assoluto reale. D’altronde, esistere significa “stare fuori” nell’istante stesso della realtà, nell’ora, nell’adesso. “Se non ora, quando?” implica come la decisione si compia sempre in un istante (Augenblick) che diviene così “attimo decisivo”, e mostra come, al tempo stesso, l’apparire dell’istante, il sorgere del presente, comporti già una richiesta di compimento.
Il percorso che qui propone Buber rientra in una specie di redenzione del quotidiano, a partire dall’oggi della nostra storia. L’esistenza della persona che ha conosciuto l’irrompere del Tu nel presente diventa segnata dalla dialettica tra presenza e assenza, un oscillare tra l’ordine del mondo e il mondo ordinato. La presenza originaria è la presenza divina. È la presenza del supremo attributo di Dio, l’unico attraverso il quale egli non si abbassa a un’autodefinizione o a un’autodeterminazione. La parola della rivelazione è per Buber così dicibile: “Io sono presente così come sono presente”. È in questo senso che Dio è il Totalmente Altro, ma pure il Totalmente Medesimo e il Totalmente Presente. Se Dio è il Tu eterno, la sua eternità risiede proprio nella sua presenza che non può spegnersi né farsi Esso. Egli è il Dio dell’eterna presenza. Dunque, la parola della rivelazione è la parola della presenza di Dio nell’uomo. Nell’istante della rivelazione avviene l’evento della presenza.
Il passaggio da presenza a contenuto serve per descrivere l’arco che va dalla religiosità alla religione. Quando Dio diventa oggetto di un’esperienza della presenza allora sorgono le religioni storiche le cui forme non solo altro che un ripiegamento della rivelazione. Nelle religioni Dio diventa oggetto, cioè forma, anche se la sua essenza sopravvive ancora. Il reale di ogni religione è l’essere di fronte alla presenza, cioè a Dio. La relazione è, appunto, “essere di fronte” che vuol dire già presenza. La religione si connota non come ricordo o speranza, bensì quale presenza vissuta (gelebte Gegenwart), presenza assoluta che non può diventare passato e che deve pertanto rimanere presente. Presenza significa che abbiamo a che fare con ciò che è reale più di ogni altra cosa, con una realtà che non è limitata da nessun altro reale, da nessun’altra realtà e che, parimenti, non limita nessuna realtà a noi conosciuta da cui potrebbe differenziarsi o da cui potrebbe essere soppiantata. Deve, tuttavia, esserci presenza per tutti: la presenza assoluta è in ogni luogo, là dove lo spirito è.
La religiosità, per Buber, non è un dono come gli altri, come per esempio l’arte o la musica: è il dono della presenza assoluta, cioè di Dio che si rivela. L’essere religioso non è un privilegio solo di alcuni ma è per tutti. È importante la distinzione tra religiosità e religione. Quest’ultima si riduce alla forma creata dall’uomo. Tuttavia, la persona non crea di certo Dio; crea continuamente forme di Dio. Quest’ultimo può diventare sempre di nuovo una presenza, e nelle religioni lo diventa sempre nella vera preghiera, in cui culto e credenza si uniscono nella Relazione pura (cf. pp. 186-187). Attraverso le forme della religione, l’uomo s’introduce, come in un cammino, verso qualcosa che non è più forma, bensì il regno di Dio.
Per Buber, noi siamo e rimaniamo nel mistero: non possiamo attraversarlo, più di quanto noi non possiamo diventarlo. Tuttavia, quando siamo veramente di fronte a lui, non siamo in comunione con lui. Noi siamo con lui in un rapporto di reciprocità: noi siamo nella sua presenza.
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 1-4/2012
(http://www.pftim.it)
-
18,00 €→ 17,10 € -
12,50 €→ 11,87 € -
25,00 €→ 23,75 € -
18,00 €→ 17,10 € -
15,00 €→ 14,25 € -
18,50 €→ 17,57 € -
18,00 €→ 17,10 €
-
-
-
-
-
-
-
-
-
9,50 €→ 9,02 € -
-