Martin Heidegger
-Mio zio
(Il Pellicano Rosso. Nuova serie)EAN 9788837225001
La vicenda religiosa di Martin Heidegger è alquanto complessa. La domanda sulla sua fede e sulla sua confessione cristiana, però, non può essere considerata una semplice curiosità intellettuale. Il filosofo di Meßkirch ha elaborato un itinerario di riflessione maturandolo all’interno di un percorso segnato dalla cattolicità e il risultato di questo impegno è stato dirompente in seno alla vicenda culturale del XX secolo. Per questo motivo, l’intervista al sacerdote Heinrich Heidegger, nipote e confessore dello zio Martin, rappresenta un riferimento prezioso per cogliere alcuni aspetti un po’ equivocati.
In un’ampia e chiara introduzione, Pierfrancesco Stagi, presentando questa intervista, fornisce le coordinate d’interesse per una lettura produttiva del testo. Non siamo davanti a un racconto di vita né a semplici note biografiche. Ci troviamo davanti a una testimonianza diretta e importante dato il rapporto particolare che l’intervistato aveva con lo zio filosofo. Il testo è corredato di alcune fotografie e di note bibliografiche utili ed essenziali. Come si sa, Martin Heidegger non ha avuto con la fede cristiana un rapporto occasionale. Per formazione familiare egli era radicato profondamente in un cattolicesimo di resistenza, ortodosso e apologetico, legato alla romanità.
La sua stessa formazione culturale si rifà al pensiero teologico cattolico come a una fonte d’ispirazione concettuale, specie per la matrice ontologica (cf. p. 7). Rifacendosi a essa, esplicitamente e implicitamente, al centro della sua attenzione pone il tema della “verità” intesa come scienza espressa dal dono della Rivelazione. Da questo modo di interpretare l’evento di fede, nasce una critica aperta allo storicismo che aveva voluto vedere, nella fede religiosa, un modo di interpretare e dar senso alla realtà. Per Heidegger, infatti, sia la filosofia che la teologia risultano “radicate nella verità” e la religione «non ha come oggetto un valore sovrastorico (neokantismo) o culturale (storicismo) ma un ente che si svela ed è tematizzato nella modalità del suo svelarsi (la fenomenologia e l’ermeneutica)» (p. 21).
In questa prospettiva Heidegger darà grande attenzione alla Parola e all’esperienza spirituale degli uomini di fede che, ascoltandone il messaggio, avevano cambiato la vita riuscendo a comunicare il cambiamento, la sua forma, la sua possibilità (san Paolo, sant’Agostino e i mistici della tradizione cristiana). Per la dimensione ontologico- rivelativa del fenomeno cristiano, infatti, Heidegger considera centrale la questione della comunicabilità dell’esperienza religiosa.
Il fatto religioso ha come riferimento essenziale l’evento storico per eccellenza (la crocifissione) che, nonostante la sua storicità non si determina come particolare. Esso non è solo evento nella storia, ma anche della storia di chiunque se ne lasci toccare, perché diviene paradigma di ogni personalissima esperienza di fede a esso riferita. In questa luce, l’evento personale diviene un autentico radicamento nella verità e, quindi, imprime un nuovo statuto ontologico all’esserci dell’uomo nel mondo. L’esistenza di questi diviene “credente” e, quindi, si forma sulla crocifissione, diventata personalissima ed esistenziale esperienza. Quanto avvenuto per il singolo uomo di fede, è avvenuto, secondo Heidegger, per la cultura occidentale.
La teologia è l’approccio ermeneutico alla fede e, il coraggio di rinunciare all’armamentario concettuale filosofico, deve imprimere la svolta ontologico-veritativa alla conoscenza teologica. Questa visione matura negli anni ’30 dello scorso secolo, aiutata dal riferimento diretto al pensiero poetico di Hölderlin, il quale vede nel sorgere del cristianesimo l’inizio della costituzione di un mondo senza dèi. Su quest’impostazione matura l’idea equivoca dell’ultimo Dio che attende un passaggio finale che egli chiama “cenno” (Wink). I venturi rappresentano chi riuscirà a vivere senza riferimento alla trascendenza, nella nudità dell’essere. La visione heideggeriana di quest’ultimo passaggio, però, non ha l’ottimismo della concezione cristiana, dove la povertà dell’uomo incontra la ricchezza di Dio: l’uomo è comunque schiacciato sotto il peso di una nudità che lo inchioda a se stesso.
Il percorso religioso di Heidegger, dunque, si intreccia con la sua parabola culturale e con il suo itinerario di pensiero. Risulta, perciò, lungo e tortuoso. La sua fede va interpretata e compresa nei passaggi dell’età. Stagi sottolinea che, nonostante la critica del pensiero cristiano al filosofo del Dasein, egli rimane un pensatore cattolico, sebbene ai margini dell’appartenenza piena alla chiesa. La prova di questa considerazione è data dal riferimento costante al tema dell’ontologia: «Un filosofo non cattolico», afferma il curatore, «difficilmente sarebbe giunto all’inizio del Novecento a incontrare questa antichissima questione propria del pensiero medioevale e scolastico» (p. 36).
Dopo l’introduzione, è presentata, in un testo agile, l’intervista vera e propria. Le domande proposte da Stagi sono orientate ai temi essenziali e si concentrano sui contesti di formazione del filosofo tedesco. Heinrich Heidegger è interrogato circa i rapporti personali della vita dello zio, sulla sua storia umana e intellettuale, ma anche sul confronto con gli eventi centrali del nazionalsocialismo, della guerra, della perdita dell’insegnamento, del recupero di una credibilità culturale nell’Europa postbellica e sul confronto con la novità del Concilio Vaticano II. In ultima analisi, si affrontano i temi più intimi, legati alla sensibilità religiosa, all’ambiguità della pratica, al momento finale del confronto con la morte e del passaggio vissuto nel desiderio di ricevere le esequie con rito cattolico.
Una visione di sintesi, dal titolo Eschata, è proposta nell’ultima parte del testo dell’intervista: Heidegger viene presentato come un uomo appagato dal risultato della sua ricerca interiore dall’aver trovato un rapporto autentico con Dio. Interessanti sono le vicissitudini legate alla crescita della fede e all’intuizione vocazionale, stordita poi dalla necessità di lasciare il collegio gesuitico di formazione. In secondo luogo viene fuori il grande legame familiare, disciplinato da comportamenti apparentemente formali, ma, in realtà, luogo centrale per la vita del filosofo. Fu la famiglia, infatti, a custodire la serenità dello studioso negli anni in cui cadde in disgrazia la sua fama d’intellettuale e fu proprio il fratello Fritz (padre di Heinrich) a copiare fedelmente e più volte i testi di Martin perché i bombardamenti o le rappresaglie non li facessero andare perduti.
Altro punto d’interesse che viene fuori dall’intervista è la grande difficoltà provata da Heidegger rispetto alla rigidità dell’impostazione neoscolastica, cosa che, se da una parte non riuscì a fargli abbandonare lo studio della teologia, cui rimase fedele per tutta la vita (cf. p. 63), lo spinse, però, a cercare nuovi sentieri di riflessione che culminarono nella rottura ufficiale con il pensiero cristiano del 1919. Una critica è espressa dall’intervistato nei confronti del noto testo di Victor Farias circa il rapporto che l’autore di Essere e tempo ebbe a intrattenere con il nazionalsocialismo. Per Heinrich Heidegger lo zio Martin, che si era iscritto nelle liste naziste nel maggio del 1933 a patto di non rivestire mai cariche di partito, aveva aderito alla politica di Hitler sperando di poter attuare la sua riforma dell’università. Nel 1934 lasciò il rettorato accortosi dell’inutilità del suo impegno e le sue lezioni incominciarono a essere seguite da spie naziste.
Frasi alludenti alla bellezza dell’ideale nazista sarebbero, per Heinrich, da attribuire a questa circostanza e al bisogno di proteggersi dal rischio di ritorsioni. Importante sembra la figura della moglie evangelica, che fu a pieno titolo membro del partito. L’origine cattolica di Heidegger era vista con diffidenza dai nazionalsocialisti e, per questo motivo, si è pensato che proprio il ruolo determinato di Elfride Petri abbia connesso la storia personale del marito con la vicenda terribile della Germania hitleriana. Il cammino di fede di Heidegger rimane segnato, però, da un’ambigua appartenenza alla chiesa.
La scelta di avere funerali cattolici sembra urtare davanti alla stella posta sulla lapide funeraria. Eppure, il nipote parla di devozione e di partecipazione sempre disponibile alla messa celebrata da lui; parla di un filosofo in ginocchio nella visita a una chiesa e riporta il racconto degli anziani di Meßkhirch che descrivono il pensatore del Dasein in contemplazione del quadro rappresentante l’Adorazione dei Magi nella chiesa parrocchiale; ci racconta il grande aiuto ricevuto dal vescovo Gröber e dal patriarca della Georgia per la pubblicazione in lingua di cinquecento copie di Essere e tempo.
Ciò che colpisce come un’indicazione di percorso, però, è la sottolineatura dell’attenzione al linguaggio della mistica che aiuta a vedere una strada possibile di approfondimento. Il filosofo che con flebile voce, sul letto di morte, ebbe a chiedere di celebrare messa per le anime del purgatorio (cf. p. 104), non avrebbe mai parlato di Dio come il summum Ens. Per lui, l’esperienza di Dio sfuggiva alla cattura concettuale, ponendosi sempre come l’inizio di nuove possibilità.
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 1-4/2012
(http://www.pftim.it)
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Umberto Masperi il 11 dicembre 2011 alle 10:50 ha scritto:
Un semplice e chiaro discorso su uno dei massimi filosofi del ‘900 da parte non di un filosofo, ma di un sacerdote cattolico. Discorso non sul pensiero del filosofo, ma sulla sua figura umana, attraverso l’intervista al nipote Heinrich. Io sono sempre stato convinto che se vogliamo ben comprendere e valutare ( compito richiesto a tutti, nella propria umiltà, anche per ‘corrispondere’ al dono che Dio ci ha fatto ,la ragione, come insegnava Tommaso d’Aquino ) il pensiero di ogni filosofo non basta capirne l’ ”anima” ( come insegnava F. Olgiati ), ma occorre conoscere, il meglio possibile, la sua “carne” ( nel linguaggio biblico), cioè la sua vita ( dove … quando … con chi … ecc. … viveva ). Per questo è utile la lettura di : “Martin Heidegger. Mio zio”.
A) Non si tratta solo del problema se M. Heidegger era ( fosse) credente ( su cui abbiamo l’ampia ed articolata trattazione nell’ “Introduzione” di Pierfrancesco Stagi che poi, nel testo ,svolge molto bene il ruolo di intervistatore).
B) Si tratta ancor più del PROBLEMA di quale “concetto” di “cristianesimo”, di “Dio”, di “trascendenza” e, soprattutto (nell’ “ancor più” ) di quello del rapporto: Ragione-Fede.
C) La “domanda sull’essere” accompagnerà ognuno di noi fino all’ultimo giorno ( al “ nostro” ultimo giorno). E così, tralasciando ulteriori osservazioni “da commento”, aggiungo che la fatica di anni sui suoi libri mi è stata premiata con la parte finale ( XI: “ Escata”), pag.104 : un punto che mi ha commosso, anche a livello di pensiero, con quel … “anime sante del Purgatorio”.
*** Riporto ,quindi , per intero, la conclusione ,cioè il ricordo del nipote sacerdote:
“ In quell’incontro del 23 Settembre 1975 lo zio Martin alla mia domanda se desiderasse che fosse celebrato anche il “requiem”, che era una messa che si usava allora a Meβkirch dopo la sepoltura, mi rispose con un filo di voce: “certo, desidero che venga detta la messa per le anime sante del Purgatorio”. Egli aveva tratto certamente questa espressione dai suoi anni giovanili. In quel momento compresi che il tanto “cercare” aveva raggiunto il suo “trovare”,secondo l’espressione di Mt7,7: “ Chiedete e vi sarà dato,
cercate e troverete,bussate e vi sarà aperto”.
*** RISONANZA ( il nostro trovare).
Quando leggevo queste parole, mi ripetevo:
… il senso dell’essere lo può cogliere il Dasein , poi definito da M.H. “ pastore dell’essere”, attraverso il linguaggio della poesia.
... il senso dell’essere scaturisce dal nostro “Sein zum Tode” ( essere per la morte)
… quel “ FILO DI VOCE” ( che non ho mai trovato nei suoi scritti così difficili ) ora ,con estrema semplicità, lo indica con il suo nome (… “espressione dei suoi anni giovanili”) che da bambini , anche noi,abbiamo imparato
( a n i m e s a n t e d e l P u r g a t o r i o ).