Dio oltre il principio di non contraddizione
(Il Pellicano Rosso. Nuova serie)EAN 9788837223588
Il principio di non contraddizione da Parmenide al filosofo Emanuele Severino scalza Dio come «struttura originaria», vale a dire come fondamento primo e, necessariamente, afferma l’eternità d’ogni ente. L’a., noto già per una preziosa opera filosofica, Ego sum qui sum. La gloria di Dio, con questa piccola ma densissima raccolta di saggi che, muovendo da un celebre passo di san Tommaso nella Summa contra gentiles che afferma che Dio non può violare il principio di non contraddizione, analizza il pensiero neo-parmenideo di Severino e del suo maestro Gustavo Bontadini. Si giunge a una prospettiva che mette in discussione ogni forma di teologia razionale, ponendo nell’aut-aut tra Dio e la filosofia lo snodo essenziale per far tornare quest’ultima a riflettere sui suoi principi primi.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 6/2010
(http://www.ilregno.it)
Nel 2004, Carlo Arata, professore emerito di filosofia teoretica presso l’Università di Genova, aveva pubblicato una raccolta di suoi scritti dall’intrigante titolo Ego sum qui sum. La Gloria di Dio, nella quale martellava l’idea dell’assolutezza di Dio (l’unico che di sé può dire pienamente «Io» e «Io sono») rispetto ad ogni discorso umano su di Lui, teologico o filosofico che sia. Questo comportava un radicale ripensamento di tutta la teologia filosofica classi-ca, medievale e moderna, nella quale appare il pericolo di intronizzare la ragione umana, attraverso i «primi principi», a partire da quello di non contraddizione, al posto di Dio.
In questo nuovo libro, nella medesima prospettiva, egli discute l’ontologia neoparmenidea di Emanuele Severino (pp. 9-61), mostrandone la radicale aporeticità, risponde ad alcune obiezioni mosse al libro precedente (pp. 63-101) e inserisce un ricordo di Gustavo Bontadini, suo antico maestro (pp. 103-110).
Arata insiste nel rifiutare qualsiasi identificazione di Dio con l’essere e qua-lunque sottomissione di Dio al principio di non contraddizione, pena lo smarri-mento di «Dio, Dio come Dio, solo Dio come Dio, Ego Sum Qui Sum», come in modo quasi ossessivo viene ripetuto in questo libro, come già nel precedente. Del resto, è proprio l’Autore a qualificare la sua insistenza come «follia», esattamen-te per questa sua posizione e per la veemenza con la quale la rivendica.
Tutto viene investito da questa autoaffermazione di Dio che «de Se Sibi lo-quitur», e che parla una sola volta, non tre volte, e dunque – conclude Arata – non si può ammettere il Verbo giovanneo, né una tri-personalità di Dio; anche la fede ne viene coinvolta. A prescindere dal fatto che ci si potrebbe domandare se, nell’adesione a Dio Trinità si debba ammettere che Dio parli tre volte, o non piuttosto una sola volta, il rimarcare l’assolutezza di Dio, che così relativizza o-gni atto umano, compresa la fede, ha una sua forza e suggestività. Il libro si raccomanda per il suo tema, il suo rigore, la sua lucidità appassionata. Sommessamente, ci permettiamo di formulare due domande a Carlo Arata: 1) Come valuta il pensiero di autori cristiani che hanno sottolineato i limiti del principio di non contraddizione, come Cusano (per il quale tale principio vale solo «fuori delle mura del paradiso», ma non in Dio che ne è il creatore) o Florenskij (per il quale la verità, su questa terra, è un giudizio autocontraddittorio, perché nessuna proposizione può contenere tutti gli aspetti della realtà)? 2) Follia per follia, nello stesso libro dal quale è tratta la frase «Ego Sum Qui Sum» (Es 3, 14), vale a dire nella Bibbia, vi è qualcuno – un uomo, Gesù di Nazareth – che attribuisce a sé questa espressione: «Io Sono» (Gv 8, 24.28.58), con un inconfondibile ed inequivocabile richiamo alla frase esodica. Che pensarne? In nome di che cosa si può glissare su questo fatto, ignorarlo o addirittura respingerlo? Forse il professor Arata avrebbe anche lui dato di piglio alle pietre, come quanti erano presenti allora, per lapidare il folle, temerario blasfemo? O forse la ragione umana, limitata e frammentaria, trova qui non un «divieto a pensare» (Nietzsche), ma una sfida da raccogliere?
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose n. 1/2010
(http://www.facoltateologica.it/rivistadiscienzereligiose.html)
Nel 2004, Carlo Arata, professore emerito di filosofia teoretica presso l’Università di Genova, aveva pubblicato una raccolta di suoi scritti dall’intrigante titolo Ego sum qui sum. La Gloria di Dio, nella quale martellava l’idea dell’assolutezza di Dio (l’unico che di sé può dire pienamente « Io» e « Io sono») rispetto ad ogni discorso umano su di Lui, teologico o filosofico che sia. Questo comportava un radicale ripensamento di tutta la teologia filosofica classica, medievale e moderna, nella quale appare il pericolo di intronizzare la ragione umana, attraverso i « primi principi», a partire da quello di non contraddizione, al posto di Dio. In questo nuovo libro, nella medesima prospettiva, egli discute l’ontologia neoparmenidea di Emanuele Severino (pp. 9-61), mostrandone la radicale aporeticità, risponde ad alcune obiezioni mosse al libro precedente (pp. 63-101) e inserisce un ricordo di Gustavo Bontadini, suo antico maestro (pp. 103-110). Arata insiste nel rifiutare qualsiasi identificazione di Dio con l’essere e qualunque sottomissione di Dio al principio di non contraddizione, pena lo smarrimento di « Dio, Dio come Dio, solo Dio come Dio, Ego Sum Qui Sum», come in modo quasi ossessivo viene ripetuto in questo libro, come già nel precedente. Del resto, è proprio l’Autore a qualificare la sua insistenza come « follia», esattamente per questa sua posizione e per la veemenza con la quale la rivendica. Tutto viene investito da questa autoaffermazione di Dio che « de Se Sibi loquitur», e che parla una sola volta, non tre volte, e dunque – conclude Arata – non si può ammettere il Verbo giovanneo, né una tri-personalità di Dio; anche la fede ne viene coinvolta. A prescindere dal fatto che ci si potrebbe domandare se, nell’adesione a Dio Trinità si debba ammettere che Dio parli tre volte, o non piuttosto una sola volta, il rimarcare l’assolutezza di Dio, che così relativizza ogni atto umano, compresa la fede, ha una sua forza e suggestività. Il libro si raccomanda per il suo tema, il suo rigore, la sua lucidità appassionata. Sommessamente, ci permettiamo di formulare due domande a Carlo Arata: 1) Come valuta il pensiero di autori cristiani che hanno sottolineato i limiti del principio di non contraddizione, come Cusano (per il quale tale principio vale solo « fuori delle mura del paradiso», ma non in Dio che ne è il creatore) o Florenskij (per il quale la verità, su questa terra, è un giudizio autocontraddittorio, perché nessuna proposizione può contenere tutti gli aspetti della realtà)? 2) Follia per follia, nello stesso libro dal quale è tratta la frase « Ego Sum Qui Sum» (Es 3, 14), vale a dire nella Bibbia, vi è qualcuno – un uomo, Gesù di Nazareth – che attribuisce a sé questa espressione: « Io Sono» (Gv 8, 24.28.58), con un inconfondibile ed inequivocabile richiamo alla frase esodica. Che pensarne? In nome di che cosa si può glissare su questo fatto, ignorarlo o addirittura respingerlo? Forse il professor Arata avrebbe anche lui dato di piglio alle pietre, come quanti erano presenti allora, per lapidare il folle, temerario blasfemo? O forse la ragione umana, limitata e frammentaria, trova qui non un « divieto a pensare» (Nietzsche), ma una sfida da raccogliere?
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose di Brindisi "Parola e Storia" n.1-2010
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