L' infinitā di Dio. Il dibattito da Suārez a Caterus (1597-1641)
(Saggistica)EAN 9788835960706
«L’impostazione di fondo era quella avviata da Suárez. E non stupirà trovarsi di fronte, nella manualistica tomista del secolo successivo [il XIX], a soluzioni del problema dell’infinità di Dio condotte in perfetto stile suáreziano, o comunque sincretistico: da parte dei gesuiti come da parte dei domenicani. Nel pieno di quel periodo immediatamente seguente alla Aeterni patris di Leone XIII, nel quale pure si è individuata una profonda “decadencia de la escuela suareciana”, il suárezismo continuava a sopravvivere in un modo differente: nel cuore della sedicente ortodossia tomista» (pp. 383-384): sono queste le significative espressioni che chiudono il pregevole volume di Igor Agostini che costituisce la rielaborazione della prima parte della tesi di dottorato «Ne quidem ratione. Infinità e unità di Dio nella Scolastica dell’età moderna» discussa dall’autore presso l’Università di Lecce sotto la guida di Giulia Belgioioso ed Emanuela Scrivano. Agostini attualmente svolge attività di ricerca e di insegnamento presso la Cattedra di Storia della Filosofia ed il Centro Interdipartimentale di Studi su Descartes e il Seicento, di cui è membro del Comitato scientifico. Il libro ha il pregio di entrare in merito con notevole competenza su un dibattito che finora non era stato ancora sufficientemente approfondito né da parte degli storici della Scolastica moderna né da parte degli studiosi della filosofia cartesiana, ossia il dibattito sull’infinità divina e sulla sua ratio formalis. Un problema classico, quello dell’infinità divina, che se già presente in autori come Mario Vittorino, Gregorio di Nissa e Giovanni Damasceno, nel Medioevo era entrato direttamente nel dibattito teologico in rapporto con i commenti e le interpretazioni del libro III della Fisica aristotelica, affrontato attraverso la considerazione del rapporto all’interno della coppia concettuale infinito/perfetto. L’autore, che mostra di padroneggiare bene anche la specificità medievale di questo dibattito (cf. le note 4 e 5 di p. 10) e le modificazioni del concetto aristotelico di infinito proposte in quel contesto (particolarmente le distinzioni tra infinitum secundum quantitatem e secundum essentiam; tra infinitum in quantitate e intensive; tra infinitum secundum magnitudinem continuam e secundum magnitudinem spiritualem), concentra invece il suo studio sul XVI-XVII secolo, periodo nel quale questo dibattito si era potentemente riproposto con grande urgenza e con modalità per molti versi nuove nelle discussioni scolastiche dell’epoca che va dal 1597 (anno della pubblicazione delle Metaphysicae Disputationes di Suárez) al 1641 (anno delle Meditationes de prima philosophia di Descartes). Johannes Caterus (Jan de Kater), primo degli obiettori alle Meditationes di Descartes, si dimostrava infatti critico soprattutto rispetto alla seconda prova a posteriori dell’esistenza di Dio, «rilevando che essa prova l’esistenza di un ente a se senza riuscire a dimostrare che esso è infinito: infatti, dalla sola possibile accezione di aseità, ossia dall’essere non da altro, non segue necessariamente l’infinità. Questa Caterus sosteneva in opposizione a un argomento che attribuiva a Suárez: ogni limitazione viene da una causa che non ha potuto, o voluto, conferire una maggiore perfezione al proprio effetto; dunque un ente incausato è infinito. […] Caterus chiedeva a Descartes ragioni assenti in Suárez e alla cultura entro cui egli stesso si era formato […]. Nel cuore delle Meditationes era così importata, letteralmente, una questione scolastica […], Caterus congiunge due epoche: il gesto del primo obiettore sancisce di fatto l’ingresso, nelle Meditationes, del dibattito scolastico sull’infinità di Dio; e questo dibattito diviene con ciò stesso parte integrante dell’opera che ha inaugurato la filosofia moderna» (p. 10). I 12 capitoli del volume, cui si aggiungono alcune Postille, sono dedicati alla ricostruzione del contesto storico-culturale nel quale è venuto a collocarsi questo dibattito che agitava, a volte anche con forti polemiche, la cultura scolastica (si veda il dibattito sulla ratio formalis di cui si era reso responsabile Johannes Wiggers). Dopo aver affrontato nell’Introduzione le principali interpretazioni al testo della q. VII della I Pars della Summa Theologiae dell’Aquinate (Gaetano, Ferrarese, Molina, Bañez, Zumel, Pedro de Ledesma, Pedro de Godoy, ecc.), con particolare attenzione all’interpretazione suareziana della prova del Dottore Angelico, Agostini contribuisce a superare il troppo riduttivo schematismo tra tomisti e scotisti attraverso l’analisi dei testi di diversi di questi e di ulteriori autori della Scolastica moderna che – sullo sfondo della coincidenza tra infinità e perfezione – si sono cimentati di fronte alla questione della ragione formale dell’infinità di Dio, e tra tutti Suárez (di cui il cap. I tratta delle Metaphysicae disputationes e il cap. III del Tractatus de divina substantia). Con una particolare attenzione alla novità introdotta in questo dibattito da Gregorio di Valencia, e al ruolo dei Commentaria di Gabriel Vásquez per la risoluzione dell’infinità nell’aseità (cf. cap. II), il nostro autore sviluppa il proprio percorso storico culturale mostrando la crescente affermazione della posizione suareziana (cap. V, ove si tratta anche di Ganado, Tanner, Wiggers, Puteanus, Ysambert, e si offre un’interessante Postilla, alle pp. 183-186, sulla scolastica riformata) e la corrispettiva reazione tomista (cap. VI): «negli anni – scrive Agostini – delle polemiche contro Vásquez e Suárez, che pullulano nei grandi trattati di orientamento tomista dell’epoca, i seguaci di Tommaso spingeranno infatti la difesa della prova della Summa ben oltre il semplice riconoscimento del suo valore dimostrativo: edificheranno l’irrecettibilità, che in quell’argomento l’Aquinate utilizzava quale semplice termine medio per provare che Dio è infinito, come essenza stessa dell’infinità divina, opponendola a concezioni alternative che erano state proposte dai teologi più recenti nell’esplosione del dibattito sulla ragione formale» (p. 199). I capitoli dal VII al X proseguono il confronto con gli autori evidenziando l’assestamento della strategia antisuareziana in Giovanni di San Tommaso, le trasformazioni della prova tomista all’interno delle discussioni sia tra i domenicani che tra gli scotisti, il ritorno al tema dell’inferenza dell’infinità dall’aseità. Decisivo, dal nostro punto di vista, il penultimo capitolo, nel quale si entra in merito alla trasformazione dell’infinito da attributo negativo (Vásquez e Suárez lo avevano definito come tale) ad attributo positivo: Agostini mette molto bene in luce che se nel 1641 con le Meditationes Descartes teorizza la positività dell’idea di infinito, essa – che aveva già almeno un precedente medievale in Enrico di Gand (art. XLIV della Summa) – era presente sia nel gesuita Giulio Cesare Recupito (1637) che nel carmelitano Andrea della Croce (1650). La posizione cartesiana della positività dell’idea dell’infinito, asserendo che essa non si produce per negazione dell’idea di finito, non apparirà dunque del tutto inaudita, poiché – come mostra il nostro autore – «il legame con Scoto, più volte sottolineato dalla letteratura critica, non era solo una vecchia tesi di un dottore scolastico, ma con una dottrina largamente proposta dai suoi seguaci» (p. 294). In questo quadro così complesso l’ultimo capitolo, cui segue un’interessante Postilla sul tema della causa sui, viene dedicato al rapporto tra Caterus e Descartes. Agostini, che molto bene riassume le acquisizioni dell’intero percorso proposto nelle pagine della Conclusione (pp. 351-378), termina il suo scritto – dotato di Bibliografia assai accurata – aprendo alcuni spiragli agli ulteriori sviluppi (settecenteschi e ottocenteschi) della discussione tra i domenicani, e anche tra domenicani e gesuiti, su questo specifico tema. Un libro impegnativo, che merita segnalare non solo per i risultati che offre ma anche per le prospettive che apre, confermando l’idea che la dottrina della distinzione reale determina in modo decisivo l’esito della discussione anche sul problema dell’infinità di Dio e sulla direzione che prende la spiegazione della sua ratio formalis.
Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 1, 188-190
(http://las.unisal.it)
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