La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale
(Filosofia morale)EAN 9788834319048
«Chi sono io?». L’uomo di oggi è alla disperata ricerca di una risposta alla domanda «chi sono io, soggetto unico e irripetibile con una inconfondibile e personale esperienza di vita?». In altre parole: al centro dell’interesse sta la domanda sulla natura della persona umana. Karol Wojty?a propone un suo approccio originale al problema, sviluppando l’intuizione che l’io si conosca in azione.
Eloquenti sono in tal senso le parole con le quali descrive il progetto della sua opera Persona e atto: «Non sarà uno studio dell’atto che presuppone la persona, in quanto adottiamo un altro indirizzo di esperienza e di comprensione. Sarà invece uno studio dell’atto che rivela la persona; studio della persona attraverso l’atto». Nella sua opera filosofica principale Wojty?a stabilisce uno stretto nesso tra l’antropologia, la teoria dell’azione e l’etica, e invita i suoi lettori dunque a superare la frammentazione del sapere tipica della modernità. Il libro La genealogia del bene.
Gratuità ed esperienza morale di Francesco Botturi, ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano, si iscrive proprio in questo contesto culturale. Viene affrontata la questione della identità della persona umana a partire da un’analisi dell’esperienza del vissuto. Il libro consiste di undici capitoli che trattano temi antropologici (parte prima) e metaetici (parte seconda). Ciascuno di questi capitoli costituisce un trattato in sé, e offre una vasta panoramica sulla discussione filosofica attuale e classica. C’è una tesi filosofica, un vero fil rouge, che attraversa i vari capitoli del libro. Si tratta della convinzione, espressa già da Wojty?a, che la natura dell’io non possa essere adeguatamente descritta né in termini puramente oggettivi, né in termini puramente soggettivi. Affrontando diversi concetti chiave dell’antropologia e della metaetica, Botturi suggerisce costantemente che siano da evitare sia l’oggettivismo naturalista nudo e crudo sia il soggettivismo relativista. L’uomo è – per natura – un animale storico e comunionale.
Ovvero, per usare le espressioni di Botturi, l’uomo ha un’identità relazione generativa. In forza di queste caratteristiche ogni analisi della natura umana in termini puramente oggettivisti o soggettivisti rimane sempre riduttiva, insufficiente. In sede di questa recensione non si può riassumere tutto il contenuto, troppo ricco, dei vari capitoli. Ci limitiamo a indicarne solo le linee fondamentali. Il primo capitolo, che introduce la parte antropologica del libro, ha una funzione paradigmatica: Botturi parte dall’analisi del concetto di esperienza. Usa questo termine non in senso empirista, certamente prevalente nell’uso linguistico corrente, ma per indicare la suprema forma del sapere, come sinonimo della sapienza tradizionale. Oggetto dell’esperienza sono contemporaneamente il mondo e il soggetto stesso. «Si fa esperienza quando è possibile ricondurre a unità di senso ciò a cui si va incontro, quando e nella misura in cui il vissuto è veramente tale, cioè pensato. Ma si fa esperienza anche nella misura in cui essa è “mia” esperienza, cioè quando sono implicate l’identità e la coscienza di “chi” fa esperienza» (p. 7). L’esperienza nasce sempre da un ascolto, da una tradizione.
Per rendere il dato della tradizione oggettiva un possesso personale, sono indispensabili due attività del soggetto agente: domandare e giudicare. Volontà e intelletto sono in tal senso costitutivi dell’esperienza. Alla dimensione intellettuale sono dedicati il secondo e il terzo capitolo del libro (giudizio e verità). Che cos’ è la verità? L’ermeneutica moderna pone il problema del rapporto tra conoscenza personale (sempre storica e comunitaria) e verità universale (ontologica e oggettiva). Analizzando quattro diverse proposte (di Pareyson, Gadamer, Apel e Ruggenini), Botturi propone una «ontologia generativa del linguaggio che precede ogni oggettivazione o soggettivazione» (p. 84). La dimensione del desiderio, anch’essa indispensabile per la costituzione dell’esperienza, viene analizzata nei capitoli quattro e cinque (volontà e libertà). Botturi distingue tra la molteplicità dei bisogni (che si definiscono per la loro relazione a un «oggetto») e l’unicità del desiderio (che ha come oggetto una trasformazione-perfezione dell’io). Quest’ultimo non è infatti «desiderio di altro s/Soggetto, ma è desiderio di (divenire) un soggetto altro» (p. 101). Tale concetto di desiderio è in tal senso speculare a quello della libertà.
Questa consiste infatti per Botturi «non nella possibilità di scelta, ma nel potere di automotivazione, di autodeterminazione » (p. 130) e ha come fine l’autorealizzazione, il compimento della persona nell’amicizia con altre persone. Tema del sesto capitolo è l’autocoscienza della persona. Viene affrontata la questione come il soggetto umano possa scoprire il suo vero io. Sotto la cifra della «relazione di riconoscimento» Botturi difende la tesi che il soggetto sia costitutivamente posto nella condizione d’aver bisogno di altri per determinare la propria identità. L’uomo non può prendere coscienza di chi è se non viene riconosciuto da altri. «Nel riconoscimento è in gioco la verità dell’autocoscienza, cioè il suo potersi costituire come tale, il venirsi a conoscere della “coscienza” e lo sperimentarsi non come semplice “natura”, ma come “spirito”» (p. 169).
L’ultimo capitolo della parte antropologica del libro affronta l’importanza del corpo e degli affetti per l’autocoscienza della persona. Qual è il rapporto tra il corpo e l’io? Il corpo rivela il fatto che l’uomo sia un essere creato, riceva il proprio essere (l’uomo non può decidere su tutti gli aspetti della propria esistenza); il corpo gli permette inoltre di esprimersi, ma nel contempo lo espone al mondo, lo rende oggettivabile; il corpo è segno della mortalità. Riflettendo sulla natura degli affetti, Botturi sottolinea anzitutto il loro legame con la ragione. Paradigmatico è in tal senso il rapporto tra innamoramento e amore. Se il primo è frutto immediato del sentimento, il secondo consiste nel perfezionamento del primo mediante il giudizio. Nell’amore affettività e ragione si penetrano così reciprocamente. La seconda parte del libro, di impostazione metaetica, consiste di quattro capitoli. L’ottavo chiarisce il criterio di moralità degli atti umani. Che cosa rende morale un’azione? La sua tendenza a perfezionare il soggetto. Secondo Botturi è buona l’azione che perfeziona la persona. Tale concezione della morale presuppone una definizione della ragione pratica come desiderio di un fine meta-morale. La ragione pratica non mira tanto a dei beni particolari, quanto al compimento dell’io.
Ed è proprio per la loro concezione della ragione pratica che sono insufficienti sia l’utilitarismo che la deontologia kantiana. Il nono capitolo approfondisce quest’analisi della ragione pratica con un’indagine sul concetto di bene che Botturi coglie in stretta connessione con il soggetto. Bene è ciò che conviene all’io. Per un’adeguata comprensione del bene è dunque di primaria importanza l’analisi delle tendenze naturali del soggetto: inclinatio, appetitus, voluntas. L’analisi di queste tendenze trova il suo punto di sintesi ultimo nella considerazione della natura di colui che desidera, cioè nella considerazione della natura umana (capitolo dieci). A tal riguardo Botturi sottolinea che il concetto di natura umana non si oppone al concetto di ragione e di cultura. Se da una parte non esiste natura umana non incarnata in una certa cultura, dall’altra parte è vero che la natura è misura della concreta forma culturale. La varie forme culturali sono valutabili in base al loro fondamento, cioè in base alla natura. L’ultimo capitolo è dedicato al tema della legge naturale che sintetizza molti dei problemi antecedentemente trattati. Botturi insiste ancora una volta sulla molteplicità dei fattori in gioco. Con Finnis sottolinea l’importanza dell’esperienza dei beni umani nella loro oggettività, con Di Blasi invece insiste sulla necessità di una fondazione ontologica del concetto di natura in Dio, con Rhonheimer infine afferma l’indispensabilità della ragione umana per l’istituzione della legge naturale. Quest’ultima non dichiara infatti semplicemente una legge già esistente, ma interpretando la propria costituzione la istituisce.
«Se è Dio a orientare efficacemente l’uomo al suo fine, è però la ragion pratica umana a leggere la condizione umana secondo il valore morale. La ragione umana non deve solo registrare nella sua “natura” voluta da Dio un ordine già formulato, ma ha come suo il compito legislativo di ordinatio, che, come dice il termine, è istituzione di un ordine che altrimenti non ci sarebbe» (p. 375). Concludendo questo breve panorama su La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale di Francesco Botturi, si constata una continua tensione dell’autore ad una visione unitaria della realtà. I diversi temi vengono analizzati, uno dopo l’altro, tenendo conto del tutto. È sempre la stessa luce che illumina i diversi ambiti del reale. Che sia sempre la stessa luce non significa che si tratti di uno sguardo ideologico, pregiudiziale. Ciò che salva Botturi da questo pericolo è l’attenzione sempre nuova al particolare, la tensione ad imparare da molti pensatori, la fatica di valutare i problemi da tanti punti di vista. Egli incarna lo spirito di Joseph Maria Bochenski, il quale affermò, criticando il riduzionismo di Ockham: «Perché descrivere la realtà in modo semplice, se essa è complessa?».
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1/2010
(http://www.pul.it)
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