Libertà e amore. Filosofia ed esperienza cristologica
(Università/Ricerche/Filosofia)EAN 9788834315422
Sono passati oltre trent’anni da quando nel 1976 Xavier Tilliette a Gallarate presentò l’idea di una cristologia filosofica volta a mostrare come il Cristo non fosse affatto estraneo alla filosofia, ed in particolare alla filosofia moderna (più di tutte considerate nella storiografia, lontana se non “nemica” del cristianesimo) ma che anzi ne era il segreto ispiratore, la polla sorgiva. Conosciamo l’aspra reazione del padre Cornelio Fabro che in quella stessa circostanza presentò un intervento nel quale illustrò la tesi della dissoluzione dell’uomo-Dio nel pensiero moderno da Spinoza ad Hegel, passando per Lessing, Kant e Fichte. Attualmente la cristologia filosofica è unanimemente riconosciuta e in questo filone si inserisce la raccolta di saggi di G. Gioia accompagnata da una presentazione di X. Tilliette; si tratta di cinque densi capitoli in parte inediti e in parte rielaborazioni di pubblicazioni precedenti dell’autore all’interno di volumi di non immediata fruibilità per i lettori. La provocatorietà umano-divina del Cristo irrompe nella riflessione filosofica come invito etico all’uomo, metafisicamente fondato, ad aprire a chi bussa all’inquieto santuario riflessivo della filosofia. Una figura, quella di Cristo, che non evacua il “calvario speculativo” della ragione ma al contrario introduce «un orizzonte categoriale nuovo che permette di problematizzare perfino la ragione originaria della stessa tensione veritativa che caratterizza la riflessione filosofica» (7). Più avanti leggiamo: è evidente che «la conversione cristica richiesta alla filosofia non possa coincidere in alcun modo con la sua vanificazione speculativa ma, anzi, consista in una sorta di elevazione categoriale […] a un orizzonte nel quale risulta in gioco l’esperienza viva di un’autentica reciprocità di rapporto: l’accogliere in casa propria il Cristo (Tilliette) deve coincidere, per la riflessione filosofica, con una rinnovata tensione speculativa la cui assolutezza non sopporta appiattimenti, riduzionismi o giochi di contrapposizione di primati» (45). Allo stesso tempo la ri-conoscenza dell’evento cristico da parte della filosofia non conduce affatto all’annessione della rivelazione religiosa da parte della filosofia; a differenza di Hegel che vedeva nella rappresentazione (Vorstellung), propria dell’esperienza religiosa, un momento necessario ma inadeguato e quindi da superare e inverare nel momento filosofico con lo strumento del concetto (Begriff), ora la filosofia, puntando «sulla testimonianza, come fondamentale criterio di rapporto nei confronti della presenzialità del principio» (43), impedisce la riduzione dell’evento a rappresentazione inadeguata che deve esser inglobata nella ragione-filosofia. Da un lato allora la cristologicità della filosofia come tale, dall’altro una originaria “filosoficità” della cristologia, della prova testimoniale del Cristo (cf. 52-53). Al cuore, come nerbo concettuale di ogni cristologia filosofica, incontriamo l’Idea Christi, il Cristo in idea. L’Idea Christi esprime la condizione di possibilità (trascendentale), la “struttura euristica” che rende filosoficamente possibile la questione dell’Incarnazione (Menschwerdung) lasciando permanere l’interrogativo se la promessa sia realizzata nella storia, cioè si sia compiuta, o se l’idea sia asintotica e dunque la sua realizzazione debba accadere al di là, “oltre” la storia; e tale domanda, porta con sé quella relativa all’identificazione tra l’Idea e Gesù di Nazareth. Di qui l’aspetto decisivo per la cristologia filosofica: la sua provenienza dalla filosofia cristiana. La fede, nella prospettiva di Tilliette, lungi dal soggiogare o mortificare la filosofia, le consente di essere pienamente se stessa; l’evento di Cristo non può non assumere una rilevanza filosofica di enorme portata. Segue quindi il senso legittimo della filosofia cristiana, sia come autentica creazione emanata dall’essere di Cristo e nata dalla meditazione cristologica (Pascal, Kierkegaard, Cusano, T. de Chardin), sia come filosofia arricchita e articolata dall’apporto delle verità cristiane (Hegel, Kant, M. de Biran); il rischio di una cristologia secolarizzata è ineliminabile ma è un rischio che va corso e tutto sommato rappresenta poca cosa rispetto all’intenzione dell’impresa, soprattutto se si considera che anche coloro i quali, basandosi soltanto sull’idea o il simbolo hanno svuotato il contenuto di una cristologia filosofica, non sono riusciti a sbarazzarsi di Cristo. In ogni caso si tratta di non cadere in quella che nel testo di Gioia viene chiamata una “filosofia cristiana per eccesso” in cui la distinzione tra pensiero filosofico e rivelazione viene cancellata e il processo di razionalizzazione annulla la rivelazione (come in Hegel). Questo è l’orizzonte di senso e la cornice speculativa all’interno della quale si leggono proficuamente i saggi che compongono il volume. Alla specificità di alcuni temi, poi, rimandano i capp. 3 e 4: essi sono dedicati al rapporto tra l’esperienza mistica e la riflessione filosofica dapprima attraverso l’analisi della prospettiva di D. Barsotti e la sua “metafisica dell’atto” (cap. 3), quindi riprendendo le ricerche di Ch. A. Bernard (cap. 4).
Tratto dalla rivista Lateranum n. 2/2008
(http://www.pul.it)
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