Islam e storia
-Critica del discorso religioso
(Saggi.Storia, filosofia e scienze social)EAN 9788833914039
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DETTAGLI DI «Islam e storia»
Tipo
Libro
Titolo
Islam e storia - Critica del discorso religioso
Autore
Abu Zayd Nasr Hamid
Traduttore
Brivio G., Fiorentini G.
Editore
Bollati Boringhieri
EAN
9788833914039
Pagine
230
Data
2002
Collana
Saggi.Storia, filosofia e scienze social
COMMENTI DEI LETTORI A «Islam e storia»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Islam e storia»
Recensione di Carlo Saccone della rivista Studia Patavina
L’autore è stato protagonista di un vero e proprio “caso”: accusato di apostasia e processato in Egitto ha dovuto scegliere a metà degli anni ’90 la via dell’emigrazione nei Paesi Bassi, dove attualmente insegna a Leida. Certo, non si tratta di un caso isolato, si pensi ad esempio allo studioso pakistano Rahman emigrato in Nord America, al siriano Bassam Tibi in Germania e ad altri ancora.
Come dice il sottotitolo dell’opera qui presentata, egli si è prodotto in un lungo e paziente lavoro di ricerca critica e filologica che ha avuto di mira un obiettivo che suona ovvio e persino banale in Europa o in America, ma non nel mondo arabo. Ossia restituire il testo sacro, ci riferiamo naturalmente al Corano, alla sua dimensione di “prodotto culturale”, di documento di un periodo storico preciso all’interno del quale va in ogni caso collocato come preliminare operazione di ermeneutica.
Dicevamo non scontato perché la questione dell’esegesi del Corano ha una lunga storia che ha di fatto ignorato fino almeno al secondo dopoguerra ogni approccio moderno, “scientifico”, allo studio delle scritture sacre. Questo, dal medioevo alla metà del ’900 era rimasto sostanziale monopolio della classe religiosa che, stancamente, ripeteva -sino a ieri si può dire- moduli e metodologie ermeneutiche coniate nel medioevo. Anche il grande sommovimento “modernista” a cavallo tra ’800 e ’900, se aveva un po’ smosso le acque proclamando urbi et orbi l’esigenza di una nuova lettura delle scritture sacre, non aveva però minimamente sfiorato il nodo del rapporto tra la divina ispirazione e il suo umano trasmettitore. Il Corano restava per tutti, modernisti e tradizionalisti di ogni scuola, la Parola “eterna e increata” di Dio; Maometto restava per tutti il suo mero ricevitore passivo, quasi un registratore vivente che in nulla aveva potuto interferire col processo della rivelazione, non solo nei suoi contenuti, ma neppure nella scelta dei vocaboli, né nello stile, né in alcunché. Il dogma, resistito in pratica sino a oggi, affermava una ispirazione “diretta” e “letterale”, nel senso di parola per parola, da parte di Dio che, all’uopo, si era servito di un angelo dettante: Gabriele. Maometto non avrebbe fatto altro che ripetere quel che gli fu dettato dall’alto. Ossia una Parola pre-esistente a lui e alla sua comunità, esistente da sempre in Dio come suo attributo eterno, accanto all’Onnipotenza, l’Onniscienza ecc.
Date queste premesse, la tradizione esegetica non solo non concepiva neppure l’idea che il Corano potesse recare traccia di intervento umano, ma neppure arrivava a concepire il problema delle fonti del testo (sola fonte del Corano è Allah, punto). L’esegesi, in considerazione del fatto che Maometto andò rivelando il Corano a brani nel corso di circa vent’anni, ammette che la successione di brani e capitoli sia influenzata dalle c.d. “circostanze della rivelazione”, ma solo nel senso che questa o quella determinata occasione abbia fatto rivelare quello che comunque “stava scritto da sempre” nella Madre del Libro, la matrice celeste di ogni rivelazione “che è presso Dio”, non nel senso che quelle circostanze spieghino storicamente (culturalmente) il testo.
Abu Zayd, in questa raccolta di saggi, si sofferma soprattutto sul rapporto tra questa situazione, su brevemente descritta, e quello che egli chiama significativamente il “discorso religioso contemporaneo”. Nel quale egli distingue una corrente estremista e una moderata, ma comunque entrambe all’interno di una visione sostanzialmente unitaria e -a suo giudizio- intimamente reazionaria e deleteria per le sorti dell’Islam contemporaneo. Questo “discorso religioso” è quello che si dipana attraverso l’insegnamento nella gran parte delle scuole e università religiose, nella gran parte delle prediche di mullah e ulema, nelle pie allocuzioni di molti imam che predicano dal pulpito durante il servizio del venerdì. La matrice di questo “discorso religioso contemporaneo” è quella stampata dal movimento egiziano dei Fratelli Musulmani sin dagli anni ’20 e sistematizzata teoricamente da Sayyid Qutb, fatto giustiziare da Nasser nel 1966. Le tesi di Abu Zayd hanno come sfondo il dibattito politico religioso dell’Egitto degli anni tra la presidenza Nasser e quella di Sadat (m. 1981), in cui esplode il fenomeno islamista. I gruppi estremisti, ispirati dalle dottrine di Qutb, predicano un verbo molto semplice: il potere di Nasser (e Sadat poi) è in mano a gruppi di traditori dell’islam, venduti all’ateismo e al laicismo di marca marxista; è lecito contro costoro lanciare la scomunica (takfir) premessa a una jihad -tutta interna - contro il potere corrotto; inoltre è preciso dovere del “partito di Dio” (hizbullah) condurre all’interno di una società de-islamizzata una vera azione di correzione dei costumi (hisba), ovvero dare concreta attuazione al precetto coranico di “promuovere il bene e proibire il male”, insomma di attuare una sistematica, istituzionale, correctio morum. A queste posizioni estremiste rispose il consiglio dei dottori di al-Azhar, la più prestigiosa università religiosa del mondo islamico sunnita che si trova al Cairo, con diversi documenti nei quali si negava che le autorità politiche fossero ostili ai principi dell’Islam (donde l’illiceità di proclamare un takfir o scomunica contro di esse, e tantomeno di iniziare una jihad) e si sottolineava che, in un paese musulmano, la hisba (correzione dei costumi) spettava solo allo stato e al capofamiglia, nei rispettivi ambiti e nei limiti delle leggi.
Abu Zayd, discutendo queste prese di posizione, sottolinea una loro sottile ambiguità. Mentre, apparentemente, si assolvevano le autorità politiche, indirettamente si sottolineava che esse -visto che non sono ufficialmente ostili all’islam né alla correctio morum- poco o nulla facevano in realtà per “raddrizzare” una società comunque considerata dai religiosi “alla deriva” e in fase di allontanamento dai principi dell’Islam. Insomma, è la tesi di Abu Zayd, le autorità religiose di al-Azhar farebbero un “discorso religioso” doppio e opportunista, spesso moderato nella forma, ma nella sostanza non molto diverso da quello più esuberante dei movimenti violenti e estremisti.
Gli uni e gli altri - secondo l’Autore - indulgono ad un errore metodologico di fondo: parlano delle scritture sacre come di testi avulsi dalla storia e dalla realtà culturale che li ha prodotti, assolutizzando una “Parola di Dio” il cui significato non può essere definito uguale e inalterabile per i musulmani di ieri come per quelli di oggi. Il Corano come messaggio chiaro e univoco, che contiene prescrizioni valide in ogni tempo e luogo, che in fondo dunque “non ha bisogno di essere interpretato”: eccolo l’atteggiamento di fondo comune, secondo l’autore, a tutto il “discorso religioso contemporaneo”. Discorso che dunque -ecco la tesi forte dell’Autore- farebbe a pugni con la stessa tradizione esegetica islamica classica, infinitamente più aperta e pluralista, che conosce scuole e indirizzi diversi e anzi certifica la bontà di questa situazione con il detto del profeta secondo cui “la divergenza di opinioni nella mia comunità è una benedizione di Dio”. Il discorso religioso contemporaneo stenta ancora a riconoscere -osserva l’Autore- che, se il Corano è parola divina, l’interpretazione del profeta è già un discorso tutto umano, e, più tardi, quello di ulema e dottori è una fallibilissima interpretazione di interpretazioni… Invece, date le premesse, il “discorso religioso contemporaneo” si caratterizza per l’intolleranza e la perentorietà delle sue affermazioni e, a ben vedere, per un radicale atteggiamento di sfiducia nella ragione –resa subalterna alla lettera del testo e alla tradizione- come autonomo strumento di ricerca .
Questo discorso -osserva l’Autore- poggia sull’idea di “sovranità” (hakimiyya) assoluta di Dio, inteso non solo come Signore e Padrone di tutte le creature, ma anche come unico legislatore legittimo e, in definitiva, come unico “creatore di valori” che non tollera concorrenti umani di sorta. L’atteggiamento pio consisterebbe allora nell’abbandonarsi senza remore alla “sovranità” piena e totale di Dio, nell’accettare la Sua Parola come unico “discriminante” (furqan, un noto appellativo del Corano) tra il bene e il male. Questo riconoscere e abbandonarsi all’unica “sovranità” di Dio condurrebbe all’autentica libertà da ogni illegittima “sovranità” umana (nella sfera del politico, dove dominano ormai autorità “atee” e traditrici dell’islam, ma anche nella sfera intellettuale dominata da ideologie depravate, “cattivi maestri”, mode occidentali edoniste che degradano l’uomo a consumatore e tolgono dignità alla donna ecc.). La “sovranità” di Dio, nel “discorso religioso contemporaneo”, sarebbe insomma l’unica vera difesa davanti alle varie forme di “idolatria” (shirk) e alle corrispondenti derive del mondo moderno.
Sennonché, e qui Abu Zayd vede la pericolosa e insanabile contraddizione di questo discorso, il rimettersi all’unica sovranità legittima, che non può essere quella umana ma solo quella di Dio appunto, conduce in realtà a sottomettersi nel modo più acritico avvilente e incondizionato a coloro che detengono il monopolio dell’interpretazione della parola divina, gli ulema, ossia ancora a un potere umano… Quanto a dire che si rischia -avverte Abu Zayd i suoi correligionari- di conferire la “sovranità” a altri uomini (il “partito di Dio”) i quali, in buona sostanza, finiscono surrettiziamente per estendere alla loro particolare lettura fondamentalista delle Scritture lo stesso carattere astorico e indiscutibile della parola di Dio.
Il “discorso religioso contemporaneo”, negando che tutte le idee comprese quelle religiose hanno una storia fa sì che diventi dogma ovvero “che si trasformi in religioso ciò che non lo è e che si attribuisca un carattere sacro a discorsi umani -troppo umani- di carattere tristemente ideologico”. Questo porta tanti, troppi ulema, nel vicolo cieco della asserita assolutezza e astoricità della Parola Sacra, confortati in questo da arbitrari richiami alla lezione degli “antichi”, ossia i Compagni del profeta e i grandi dottori dei primi secoli, citati a profusione con grande disinvoltura e spregiudicatezza. Il risultato è che si va a finire “in una lettura ripetitiva e pietrificante che continua a rimasticare gli stessi concetti senza mai giungere a nulla di nuovo. Si tratta infine di una battaglia in cui la posta in gioco è la coscienza islamica odierna: continuerà a rimanere prigioniera della sua ecolalia o vorrà finalmente incamminarsi sulla strada della libera ricerca, che le permetterà di comprendere il proprio patrimonio culturale, di dialogare con esso e di alimentarlo?” (p. 92)
Come si vede, da questi pochi cenni, la raccolta di saggi qui presentata ci consente di cogliere dal vivo - e soprattutto dall’interno del mondo islamico - una voce critica di grande rigore e lucidità che si inserisce in un dibattito serrato dalle cui sorti, c’è da scommetterlo, dipenderanno importanti sviluppi nel futuro di tutti, musulmani e non musulmani.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Come dice il sottotitolo dell’opera qui presentata, egli si è prodotto in un lungo e paziente lavoro di ricerca critica e filologica che ha avuto di mira un obiettivo che suona ovvio e persino banale in Europa o in America, ma non nel mondo arabo. Ossia restituire il testo sacro, ci riferiamo naturalmente al Corano, alla sua dimensione di “prodotto culturale”, di documento di un periodo storico preciso all’interno del quale va in ogni caso collocato come preliminare operazione di ermeneutica.
Dicevamo non scontato perché la questione dell’esegesi del Corano ha una lunga storia che ha di fatto ignorato fino almeno al secondo dopoguerra ogni approccio moderno, “scientifico”, allo studio delle scritture sacre. Questo, dal medioevo alla metà del ’900 era rimasto sostanziale monopolio della classe religiosa che, stancamente, ripeteva -sino a ieri si può dire- moduli e metodologie ermeneutiche coniate nel medioevo. Anche il grande sommovimento “modernista” a cavallo tra ’800 e ’900, se aveva un po’ smosso le acque proclamando urbi et orbi l’esigenza di una nuova lettura delle scritture sacre, non aveva però minimamente sfiorato il nodo del rapporto tra la divina ispirazione e il suo umano trasmettitore. Il Corano restava per tutti, modernisti e tradizionalisti di ogni scuola, la Parola “eterna e increata” di Dio; Maometto restava per tutti il suo mero ricevitore passivo, quasi un registratore vivente che in nulla aveva potuto interferire col processo della rivelazione, non solo nei suoi contenuti, ma neppure nella scelta dei vocaboli, né nello stile, né in alcunché. Il dogma, resistito in pratica sino a oggi, affermava una ispirazione “diretta” e “letterale”, nel senso di parola per parola, da parte di Dio che, all’uopo, si era servito di un angelo dettante: Gabriele. Maometto non avrebbe fatto altro che ripetere quel che gli fu dettato dall’alto. Ossia una Parola pre-esistente a lui e alla sua comunità, esistente da sempre in Dio come suo attributo eterno, accanto all’Onnipotenza, l’Onniscienza ecc.
Date queste premesse, la tradizione esegetica non solo non concepiva neppure l’idea che il Corano potesse recare traccia di intervento umano, ma neppure arrivava a concepire il problema delle fonti del testo (sola fonte del Corano è Allah, punto). L’esegesi, in considerazione del fatto che Maometto andò rivelando il Corano a brani nel corso di circa vent’anni, ammette che la successione di brani e capitoli sia influenzata dalle c.d. “circostanze della rivelazione”, ma solo nel senso che questa o quella determinata occasione abbia fatto rivelare quello che comunque “stava scritto da sempre” nella Madre del Libro, la matrice celeste di ogni rivelazione “che è presso Dio”, non nel senso che quelle circostanze spieghino storicamente (culturalmente) il testo.
Abu Zayd, in questa raccolta di saggi, si sofferma soprattutto sul rapporto tra questa situazione, su brevemente descritta, e quello che egli chiama significativamente il “discorso religioso contemporaneo”. Nel quale egli distingue una corrente estremista e una moderata, ma comunque entrambe all’interno di una visione sostanzialmente unitaria e -a suo giudizio- intimamente reazionaria e deleteria per le sorti dell’Islam contemporaneo. Questo “discorso religioso” è quello che si dipana attraverso l’insegnamento nella gran parte delle scuole e università religiose, nella gran parte delle prediche di mullah e ulema, nelle pie allocuzioni di molti imam che predicano dal pulpito durante il servizio del venerdì. La matrice di questo “discorso religioso contemporaneo” è quella stampata dal movimento egiziano dei Fratelli Musulmani sin dagli anni ’20 e sistematizzata teoricamente da Sayyid Qutb, fatto giustiziare da Nasser nel 1966. Le tesi di Abu Zayd hanno come sfondo il dibattito politico religioso dell’Egitto degli anni tra la presidenza Nasser e quella di Sadat (m. 1981), in cui esplode il fenomeno islamista. I gruppi estremisti, ispirati dalle dottrine di Qutb, predicano un verbo molto semplice: il potere di Nasser (e Sadat poi) è in mano a gruppi di traditori dell’islam, venduti all’ateismo e al laicismo di marca marxista; è lecito contro costoro lanciare la scomunica (takfir) premessa a una jihad -tutta interna - contro il potere corrotto; inoltre è preciso dovere del “partito di Dio” (hizbullah) condurre all’interno di una società de-islamizzata una vera azione di correzione dei costumi (hisba), ovvero dare concreta attuazione al precetto coranico di “promuovere il bene e proibire il male”, insomma di attuare una sistematica, istituzionale, correctio morum. A queste posizioni estremiste rispose il consiglio dei dottori di al-Azhar, la più prestigiosa università religiosa del mondo islamico sunnita che si trova al Cairo, con diversi documenti nei quali si negava che le autorità politiche fossero ostili ai principi dell’Islam (donde l’illiceità di proclamare un takfir o scomunica contro di esse, e tantomeno di iniziare una jihad) e si sottolineava che, in un paese musulmano, la hisba (correzione dei costumi) spettava solo allo stato e al capofamiglia, nei rispettivi ambiti e nei limiti delle leggi.
Abu Zayd, discutendo queste prese di posizione, sottolinea una loro sottile ambiguità. Mentre, apparentemente, si assolvevano le autorità politiche, indirettamente si sottolineava che esse -visto che non sono ufficialmente ostili all’islam né alla correctio morum- poco o nulla facevano in realtà per “raddrizzare” una società comunque considerata dai religiosi “alla deriva” e in fase di allontanamento dai principi dell’Islam. Insomma, è la tesi di Abu Zayd, le autorità religiose di al-Azhar farebbero un “discorso religioso” doppio e opportunista, spesso moderato nella forma, ma nella sostanza non molto diverso da quello più esuberante dei movimenti violenti e estremisti.
Gli uni e gli altri - secondo l’Autore - indulgono ad un errore metodologico di fondo: parlano delle scritture sacre come di testi avulsi dalla storia e dalla realtà culturale che li ha prodotti, assolutizzando una “Parola di Dio” il cui significato non può essere definito uguale e inalterabile per i musulmani di ieri come per quelli di oggi. Il Corano come messaggio chiaro e univoco, che contiene prescrizioni valide in ogni tempo e luogo, che in fondo dunque “non ha bisogno di essere interpretato”: eccolo l’atteggiamento di fondo comune, secondo l’autore, a tutto il “discorso religioso contemporaneo”. Discorso che dunque -ecco la tesi forte dell’Autore- farebbe a pugni con la stessa tradizione esegetica islamica classica, infinitamente più aperta e pluralista, che conosce scuole e indirizzi diversi e anzi certifica la bontà di questa situazione con il detto del profeta secondo cui “la divergenza di opinioni nella mia comunità è una benedizione di Dio”. Il discorso religioso contemporaneo stenta ancora a riconoscere -osserva l’Autore- che, se il Corano è parola divina, l’interpretazione del profeta è già un discorso tutto umano, e, più tardi, quello di ulema e dottori è una fallibilissima interpretazione di interpretazioni… Invece, date le premesse, il “discorso religioso contemporaneo” si caratterizza per l’intolleranza e la perentorietà delle sue affermazioni e, a ben vedere, per un radicale atteggiamento di sfiducia nella ragione –resa subalterna alla lettera del testo e alla tradizione- come autonomo strumento di ricerca .
Questo discorso -osserva l’Autore- poggia sull’idea di “sovranità” (hakimiyya) assoluta di Dio, inteso non solo come Signore e Padrone di tutte le creature, ma anche come unico legislatore legittimo e, in definitiva, come unico “creatore di valori” che non tollera concorrenti umani di sorta. L’atteggiamento pio consisterebbe allora nell’abbandonarsi senza remore alla “sovranità” piena e totale di Dio, nell’accettare la Sua Parola come unico “discriminante” (furqan, un noto appellativo del Corano) tra il bene e il male. Questo riconoscere e abbandonarsi all’unica “sovranità” di Dio condurrebbe all’autentica libertà da ogni illegittima “sovranità” umana (nella sfera del politico, dove dominano ormai autorità “atee” e traditrici dell’islam, ma anche nella sfera intellettuale dominata da ideologie depravate, “cattivi maestri”, mode occidentali edoniste che degradano l’uomo a consumatore e tolgono dignità alla donna ecc.). La “sovranità” di Dio, nel “discorso religioso contemporaneo”, sarebbe insomma l’unica vera difesa davanti alle varie forme di “idolatria” (shirk) e alle corrispondenti derive del mondo moderno.
Sennonché, e qui Abu Zayd vede la pericolosa e insanabile contraddizione di questo discorso, il rimettersi all’unica sovranità legittima, che non può essere quella umana ma solo quella di Dio appunto, conduce in realtà a sottomettersi nel modo più acritico avvilente e incondizionato a coloro che detengono il monopolio dell’interpretazione della parola divina, gli ulema, ossia ancora a un potere umano… Quanto a dire che si rischia -avverte Abu Zayd i suoi correligionari- di conferire la “sovranità” a altri uomini (il “partito di Dio”) i quali, in buona sostanza, finiscono surrettiziamente per estendere alla loro particolare lettura fondamentalista delle Scritture lo stesso carattere astorico e indiscutibile della parola di Dio.
Il “discorso religioso contemporaneo”, negando che tutte le idee comprese quelle religiose hanno una storia fa sì che diventi dogma ovvero “che si trasformi in religioso ciò che non lo è e che si attribuisca un carattere sacro a discorsi umani -troppo umani- di carattere tristemente ideologico”. Questo porta tanti, troppi ulema, nel vicolo cieco della asserita assolutezza e astoricità della Parola Sacra, confortati in questo da arbitrari richiami alla lezione degli “antichi”, ossia i Compagni del profeta e i grandi dottori dei primi secoli, citati a profusione con grande disinvoltura e spregiudicatezza. Il risultato è che si va a finire “in una lettura ripetitiva e pietrificante che continua a rimasticare gli stessi concetti senza mai giungere a nulla di nuovo. Si tratta infine di una battaglia in cui la posta in gioco è la coscienza islamica odierna: continuerà a rimanere prigioniera della sua ecolalia o vorrà finalmente incamminarsi sulla strada della libera ricerca, che le permetterà di comprendere il proprio patrimonio culturale, di dialogare con esso e di alimentarlo?” (p. 92)
Come si vede, da questi pochi cenni, la raccolta di saggi qui presentata ci consente di cogliere dal vivo - e soprattutto dall’interno del mondo islamico - una voce critica di grande rigore e lucidità che si inserisce in un dibattito serrato dalle cui sorti, c’è da scommetterlo, dipenderanno importanti sviluppi nel futuro di tutti, musulmani e non musulmani.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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