A cinquecento anni dalla nascita, la figura di Tintoretto assume i contorni del mito, incarnandosi nei panni di un dotato figlio di tintore che, da autodidatta, avrebbe scelto come guida il disegno di Michelangelo e il colorito di Tiziano. Gli studi novecenteschi - da von Hadeln a Pallucchini - si sono impegnati a delineare un'immagine storicamente più credibile del pittore, mettendo in luce l'importanza che ebbe per lui, agli inizi, assistere al confronto fra la tradizione pittorica lagunare e la cultura figurativa dell'Italia centrale, promossa a Venezia dal doge Andrea Gritti e da un gruppo influente di patrizi legati alla curia romana. La questione è resa difficile dalla scarsità della documentazione nota prima dell'apparizione del "Miracolo dello schiavo", dipinto entro l'aprile del 1548, un'opera di forte originalità che destò reazioni anche nei cenacoli letterari legati allo stampatore Francesco Marcolini e a Pietro Aretino e nell'ambiente dell'attore e commediografo Andrea Calmo. L'itinerario della mostra si apre sulla Venezia degli anni trenta mettendo in scena le opere degli artisti più rilevanti per la formazione di Tintoretto, da Tiziano a Bonifacio Veronese, a Pordenone. Attraverso un gruppo di opere scelte ricostruisce l'arrivo dei toscani Giorgio Vasari e Francesco Salviati, attivi nei cantieri di Palazzo Cornaro e di Palazzo Grimani, e illustra le risposte che la generazione di Tintoretto diede a quelle presenze tramite le opere dell'olandese Lambert Sustris, di Andrea Schiavone, di Giuseppe Porta, il toscano che decise di restare a Venezia, e di Jacopo Bassano. Attraverso una sequenza di venti dipinti concessi da importanti istituzioni italiane e straniere e da collezioni private, la mostra affronta il complesso mondo figurativo del Tintoretto esordiente e ne indaga l'atteggiamento di rottura rispetto alla tradizione, pur nei termini di un confronto condotto nel segno di una grande originalità e di una frenetica sperimentazione che sfugge a facili codificazioni. Spiccano fra questi il soffitto con "La contesa tra Apollo e Marsia" di Hartford dipinto per Aretino, che introduce il tema della «prestezza» pittorica, e la "Disputa di Gesù nel tempio", che viene presentata dopo una delicata operazione di restauro. Nell'ultima sezione di grande interesse è la messa in scena dell'"Ultima Cena di San Marcuola" del 1547 accanto alle tele di identico tema di Jacopo Bassano e di Giuseppe Porta Salviati. Viene per la prima volta offerto alla possibilità di una verifica diretta lo snodo culturale segnato da queste tre opere pressoché contemporanee, così da mettere in luce l'incrocio di esperienze tra gli artisti e il gioco dei rimandi tra i rispettivi linguaggi, evidenziandone al tempo stesso i caratteri individuali. A solenne conclusione, il "Miracolo dello schiavo", con cui Tintoretto si accredita definitivamente nel contesto lagunare, apre sulla maturità del pittore e sul personalissimo confronto con la cultura michelangiolesca e con il mondo degli scultori.