Generare alla vita in Cristo
-Paolo, il Vangelo e la comunità
(Paolo di Tarso) [Con risvolti di copertina]EAN 9788831549363
L’autore di questa monografia, laureato al Pontificio Istituto Biblico e docente alla Facoltà Teologica di Napoli e alla Pontificia Università Urbaniana in Roma, aveva già pubblicato degli interessanti studi su Paolo. Ora ha scelto come oggetto di ricerca un tema di rilievo dal punto di vista tanto cristiano quanto anche umano. Ed è un argomento tutt’altro che astratto, poiché riguarda la persona storica dell’apostolo Paolo nei suoi concreti rapporti con le chiese da lui fondate. È appunto nel vissuto di questi rapporti che l’apostolo, benché in altri casi adotti un tono piuttosto duro, rivela in definitiva tutta la sua tenerezza coniugata con un forte senso di responsabilità pastorale.
Tra un’Introduzione e una Conclusione, Antonio Landi sviluppa tre capitoli che prendono in considerazione i tre casi, presenti in tre lettere diverse, in cui Paolo gioca il concetto di generazione e perfino di parto in rapporto rispettivamente alle tre comunità di Tessalonica, di Corinto, e della Galazia.
Nell’Introduzione (pp. 7-19) si fa un sommario ma opportuno rimando all’uso della metafora di padre e madre a proposito della divinità, sia nella grecità (dove la generazione divina concerne tutti gli uomini) sia in Israele (dove essa, almeno nell’Antico Testamento, è limitata a Israele, anche se si potrebbe aggiungere qualche testo del giudaismo ellenistico su di una paternità universale di Dio come in Filone Alessandrino, Decal. 64). Opportuna è pure la documentazione sui referenti umani delle metafore genitoriali, tratta da varie pagine bibliche.
Il capitolo I (pp. 25-71) prende in considerazione il testo di 1Ts 2,1-12, che documenta l’affetto materno e insieme l’autorevolezza paterna di Paolo verso i cristiani tessalonicesi. L’analisi è articolata e puntuale. Nel contesto di una memoria della prima permanenza in quella città l’apostolo sottolinea le caratteristiche di disinteresse e rigorosità del suo impegno. Soprattutto il tema della gratuità riguarda la metafora della cura materna e Landi discute la traduzione del v. 7b con la scelta testuale di n?pioi/“piccoli, bambini” (conforme all’edizione critica di Nestle-Aland) invece di ?pioi/“amorevoli, affabili” (così invece molte versioni, compresa la Bibbia-CEI). La responsabilità di padre è dimostrata da Paolo mediante la dedizione al suo lavoro, motivata dal non voler gravare sulla comunità, i cui membri sono ripetutamente chiamati «figli» a denotare un rapporto presente anche nella tradizione filosofica popolare greca. Nell’insieme, secondo Landi, il testo epistolare è finalizzato a suscitare nei destinatari il desiderio di imitare Paolo, anche se non si dovrebbe trascurarne un intento apologetico.
Il capitolo II (pp. 73-114) è dedicato al passo di 1Cor 4,14-21, dove Paolo tratta della generazione alla fede mediante il vangelo. L’autore mette bene in chiaro il tono dell’intervento di Paolo, che affronta con franchezza la condizione di immaturità spirituale dei Corinzi. L’uso della loro qualificazione come tékna (invece di hyioí) evidenzia la dimensione affettuosa della metafora della generazione (dal verbo tíkt?), tanto più che in aggiunta essi sono chiamati agap?toí/“cari, amati”. Con ciò l’apostolo mette le basi per far accettare il suo intervento correttivo di quanto c’è in loro di borioso e di fazioso. La sua differenziazione dai «pedagoghi», identificabili forse con i capi delle opposte fazioni presenti a Corinto, chiarifica l’identità genitoriale di Paolo, che può vantarsi di essere l’unico padre di quella comunità e per questo può permettersi di proporsi come esempio da imitare (cf. v. 16 e 11,1), anche perché la sua condotta, secondo il contesto epistolare, è ispirata alla sapienza della croce. In più nel v. 17 Paolo fa riferimento a Timoteo, qualificato anch’egli come figlio suo ma con una missione didattica. Il testo ha pure un accento polemico verso coloro che «si sono gonfiati d’orgoglio» nell’assenza dell’apostolo e, richiamando nel v. 20 il tema del regno di Dio, lo si disgiunge dall’eccellenza dell’eloquio e lo si connette alla potenza dello Spirito secondo quanto ha sperimentato lo stesso Paolo a Corinto (cf. 2,4-5). Se poi nel v. 21 egli minaccia il bastone in alternativa allo «spirito di mitezza» è ancora per esercitare la sua funzione severa di paterfamilias. In sostanza, Landi mette bene in luce la combinazione di tematiche fondamentali come quelle di paternità spirituale, di evangelo, e del binomio potenza-parola, con la concomitante opposizione alla spavalderia dei presuntuosi.
Il capitolo III (pp. 115-152) analizza il testo di Gal 4,12-20, in cui Paolo scrive che egli ancora partorisce i Galati nel dolore. Landi richiama giustamente lo sfondo storico-letterario del discorso paolino, che concerne la portata della Legge mosaica ormai superata oggettivamente da Cristo e soggettivamente dalla fede in lui, comprendente anche una vigorosa polemica nei confronti di altri predicatori giudaizzanti. Però, rispetto ai precedenti toni veementi, ora l’apostolo adotta un atteggiamento premuroso materiato da sentimenti di familiarità e addirittura di amicizia. Ricordando la sua prima presenza in Galazia, Paolo precisa che ciò avvenne «a motivo di una debolezza della carne», che vari autori identificano in diversi tipi di malattie, ma di cui Landi si astiene con ragione dal fare una qualunque diagnosi medica e legge il testo come riferimento alla semplice fragilità umana come presupposto della manifestazione della potenza di Dio. A proposito del topos dell’accoglienza degli ospiti come esseri celesti nel v. 14, aggiungiamo che si potrebbe rinviare, oltre che alla tradizione biblica, anche a quella greca come si può vedere anche solo nell’Odissea di Omero (1,105; 6,207-208; 9,270-271; 13,312-313; 14,57-58; 17,484-487). È comunque molto pertinente la trattazione del tema del parto doloroso, metafora delle sofferenze patite da Paolo per l’annuncio del vangelo, che ora si ripresentano nel sottrarre i galati alla fuorviante predicazione dei giudeo-cristiani.
Nella Conclusione (pp. 153-167) l’autore si chiede in quale senso Paolo ricorra al linguaggio genitoriale. La risposta sta nell’escludere la volontà di imporre la sua autorità ma nel proporsi come guida autorevole per l’incarico ricevuto dal Signore. A questa finalità appartengono pure la correzione, garantita anche dalla sua dedizione al lavoro, e soprattutto l’intenzione di presentare la relazione comunionale che egli vive con Cristo. In specie l’affabilità materna esprime la gratuita disponibilità tanto al vangelo quanto alla chiesa, di cui sono comprova le sofferenze da Paolo sperimentate.
Da questa breve presentazione non risultano purtroppo molte buone proprietà del lavoro di Landi, consistenti in accurate analisi esegetiche, supportate da una buona conoscenza della rispettiva bibliografia. Nel suo insieme, dunque, la pubblicazione rappresenta un eccellente contributo allo studio della personalità di Paolo, di cui fa assolutamente parte integrante un fecondo impegno messo in atto a favore della Parola e della comunità credente. Lo studio, perciò, potrà offrire un valido contributo alla necessità di approfondire e recuperare una dimensione irrinunciabile dell’identità propria sia dei cristiani sia ancor più dei loro pastori.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2018
(https://asprenas.it)
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