Paolo e la donna
(Paolo di Tarso) [Con sovraccoperta stampata]EAN 9788831535311
Docente di Nuovo Testamento alla Pontificia università urbaniana e al Pontificio istituto biblico, l’a. analizza due brani paolini – 1Cor 11 («La donna che prega o profetizza...») e 1Cor 14,33-40 («È vergognoso per la donna parlare nelle assemblee») –, che spesso hanno dato adito ad accuse di misoginia nei confronti dell’Apostolo. Attraverso l’analisi dei testi alla luce della loro struttura interna e del loro contesto, e soprattutto attraverso il confronto con la prassi apostolica di Paolo, che valorizzò e responsabilizzò le numerose collaboratrici della sua missione, si sostiene plausibilmente che l’accusa di maschilismo si basa su un’interpretazione maschilista dei suoi testi.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 2/2010
(htto://www.ilregno.it)
Giancarlo Biguzzi, sacerdote della diocesi di Cesena-Sarsina, ha conseguito la licenza in Teologia all’Università Lateranense, in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico e il dottorato in Teologia biblica all’Università Urbaniana. È professore ordinario all’Urbaniana per la cattedra di Nuovo Testamento ed è docente al Pontificio Istituto Biblico. Ha pubblicato diversi studi sui vangeli sinottici, sugli scritti giovannei e paolini, tra cui questo recente volume, nel quale affronta nuovamente la questione riguardante l’accusa di antifemminismo rivolta a Paolo, dopo averla già trattata in un precedente libro nel 2001 (Cf G. BIGUZZI, Velo e silenzio. Paolo e la donna in 1Cor 11, 2-16 e 14, 33b-36, EDB, Bologna 2001). Il volume è costituito da una parte introduttiva, tre capitoli e una conclusione.
Alla fine del libro vi è un’aggiornata bibliografia di tredici pagine contenente, tra gli altri, ben quattro libri e venti studi sull’argomento a cominciare dal 2000. Nella parte introduttiva, l’autore inquadra il suo lavoro nel solco della proverbiale disputa, in corso sin dai primi secoli, riguardo alla presunta misoginia di Paolo. Quindi, imposta metodologicamente il suo lavoro, concentrandosi sui due passi incriminati della prima lettera ai Corinzi: 1 Cor 11, 2-16 e 1Cor 14, 33b-40. Illustra le difficoltà che si celano nei testi e quali sono i limiti della sua ricerca. Contestualizza la lettera all’interno dell’epistolario paolino. Esclude dalla sua analisi i testi di Ef 5, 22-33 e 1Tm 2, 8-15 perché sono ormai unanimemente riconosciuti come deuteropaolini. Al fine di ricavare quali siano stati gli atteggiamenti di Paolo verso le donne, decide di ampliare la portata del suo studio considerando i testi della prassi paolina desunti dal suo epistolario e dagli Atti degli Apostoli. Il metodo usato è al contempo deduttivo e induttivo. Infatti, attraverso un’esegesi accurata dei testi suddetti, nei primi due capitoli l’autore smonta alcune tesi che sostengono l’antifemminismo paolino, giungendo così ad affermare la stima e la considerazione di Paolo nei riguardi della donna. L’analisi esegetica dei testi della prassi paolina condotta nel terzo capitolo, induce a comprendere meglio il passo concernente l’imposizione del silenzio alla donna. Inoltre egli riporta numerosi passi della Sacra Scrittura per progredire nel suo lavoro esegetico.
A volte cita le diverse versioni della CEI degli stessi testi per evidenziare le differenze. Ogni capitolo è arricchito da un erudito impianto di note esplicative e di rimando, le quali favoriscono la lettura approfondita delle pagine senza arrecare eccessivo disturbo e, allo stesso modo, sollecitano la ricerca personale del lettore. Nel primo capitolo affronta la questione della capigliatura che opportunamente deve tenere la donna che prega o profetizza nelle assemblee, pervenendo alla conclusione che dal testo si deduce un atteggiamento favorevole di Paolo verso la donna alla quale sono riconosciute le stesse prerogative concesse agli uomini durante le adunanze. Infine attraverso un esame retrospettivo, partendo dalla Sacra Scrittura, l’autore ricostruisce le probabili circostanze che indussero Paolo a intervenire in merito. In forza del battesimo amministrato indistintamente agli uomini e alle donne, ogni discriminazione femminile era abbattuta.
Pertanto era plausibile che alcune donne corinzie fossero spinte a portare un’acconciatura mascolina dei capelli per affermare la propria autonomia e libertà. Per evitare che nella comunità cristiana di Corinto si annidassero sospetti di omosessualità, Paolo si sente costretto nel ribadire che la libertà dei figli di Dio donata con il battesimo, pur conferendo pari dignità sia all’uomo che alla donna, non elimina la differenziazione sessuale stabilita nell’ordine della creazione. Nel secondo capitolo l’autore affronta l’intricata questione del silenzio imposto da Paolo alla donna. Il lavoro esegetico è condotto con acume e onestà intellettuale, al fine di pervenire a una soluzione equilibrata del dilemma, originato dal fatto che questo testo contrasta con quanto, nella stessa lettera, Paolo aveva già affermato a favore della donna e con la prassi paolina. Poi procede illustrando le diverse tesi esplicative che nel corso dei secoli si sono succedute, eviden-ziando per ognuna sia le difficoltà risolte sia gli insormontabili limiti. Respinge le tesi secondo le quali questo testo sarebbe deuteropaolino essendo il risultato di un’interpolazione redazionale compiuta da alcuni amanuensi o da alcuni suoi discepoli. Considera possibile l’ipotesi dello slogan paolino, attraverso l’analisi della presumibile punteggiatura, perché del tutto assente nei manoscritti antichi. In tal caso il silenzio imposto alle donne sarebbe paragonabile ad altre frasi usate da Paolo come slogan per confutare le tesi dei suoi avversari.
Infatti, tale silenzio sarebbe stato preteso da un ristretto gruppo di «maschilisti» presenti a Corinto, contro i quali Paolo reagisce piuttosto istintivamente. Seppur plausibilmente fon-data, l’ipotesi dello slogan paolino non riuscirebbe a dare una spiegazione scevra da dubbi, pertanto l’autore si accinge a ricercare una conclusione più esaustiva, dopo aver considerato attentamente i testi della prassi paolina nel terzo capitolo secondo il criterio della coerenza. Nell’ultimo capitolo emerge come Paolo durante i viaggi missionari, si sia avvalso anche della collaborazione pastorale di alcune donne: Evodia, Sintiche e Lidia a Filippi, Cloe e Priscilla a Corinto ed Efeso, Apfia a Colosse. Poi ancora, Febe tra Cencre, Corinto e Roma, Giunia, Maria, Trifena, Trifosa, Perside, la madre di Rufo e la sorella di Nereo a Roma. Pertanto l’autore termina il suo lavoro affermando che in realtà Paolo sia sta-to un attento estimatore delle donne. Infatti, ha dimostrato come Paolo le abbia coinvolto nella sua missione valorizzandone le loro capacità a servizio delle comunità per l’annuncio del vangelo. Il criterio della coerenza conseguentemente suggerisce che l’apostolo non poteva assumere atteggiamenti sfavorevoli e con-trastanti verso le donne, specialmente nella stessa lettera. Il lettore potrà così pervenire alla conclusione logica che sia piuttosto improbabile che il silenzio imposto alle donne abbia un’origine paolina.
Tratto dalla rivista "Parola e Storia" n. 2/2009
(http://www.scienzereligiose-br.it)
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