Apocalisse
(I libri biblici) [Con sovraccoperta stampata]EAN 9788831528757
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DETTAGLI DI «Apocalisse»
Tipo
Libro
Titolo
Apocalisse
Autore
Biguzzi Giancarlo
A cura di
Giancarlo Biguzzi
Editore
Paoline Edizioni
EAN
9788831528757
Pagine
496
Data
giugno 2005
Peso
845 grammi
Altezza
23 cm
Larghezza
15 cm
Profondità
2,9 cm
Collana
I libri biblici
COMMENTI DEI LETTORI A «Apocalisse»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Apocalisse»
Recensione di Tiziano Lorenzin della rivista Studia Patavina
Giancarlo Biguzzi, professore alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, definisce questo commentario il suo «terzo assalto» alla cittadella dell’Apocalisse giovannea. In un primo saggio (I settenari nella struttura dell’apocalisse, EDB, Bologna 1996) egli, infatti, ha già potuto affrontare la difficoltà maggiore del libro, quella dell’impianto letterario e narrativo. In un secondo studio (L’Apocalisse e i suoi enigmi [Studi Biblici 14)], Paideia, Brescia 2004) poi ha tentato di risolvere gli enigmi che riguardano le circostanze della composizione, del linguaggio e di quei testi che da sempre risultano ardui per gli interpreti. Ora in questo lavoro egli vuole guidare il lettore alla comprensione dei singoli episodi dell’Apocalisse evidenziando l’unitarietà della trama del libro, convinto che una trama esista. Il commentario non vuole essere una enciclopedia, quanto piuttosto un’ampia parafrasi, che aiuti il lettore a leggere l’intero testo senza perdersi per strada.
Secondo il piano tradizionale della collana «I libri biblici» il lavoro è diviso in tre parti. La «sezione introduttiva» inizia con la storia dell’interpretazione dell’Apocalisse dal II secolo fino ai secoli XIX-XX, caratterizzati dalla critica storica e letteraria. Si passa quindi a presentare l’articolazione e il contenuto del libro. Secondo B. presumibilmente l’Apocalisse di Giovanni ha un ordine non a schema concentrico, sembra invece procedere in avanti fino a terminare in crescendo. E di fatto lo fa con un finale così grandioso come non fa alcun altro libro del NT. Nel suo sviluppo lineare e progressivo l’Apocalisse è divisa secondo B. in due parti: «Il Cristo e le sette Chiese d’Asia» (Ap 1-3); «Piano e azione di Dio nella storia» (Ap 4-22). Nella struttura narrativa dell’Apocalisse sono importanti i quattro settenari: il comando di scrivere alle sette chiese (1,11 e 2,1-3,22), l’apertura dei sette sigilli (6,1-8,1) gli squilli delle sette trombe (8,7-11,15); i versamenti delle sette coppe (16,2-17).
L’autore quindi richiama le circostanze storiche della composizione. Per la loro ricostruzione è necessario prima identificare la città chiamata «Babilonia»: Gerusalemme o Roma? L’Apocalisse è un libello antigiudaico e antiromano? L’interpretazione tradizionale antiromana è decisamente da preferire secondo B. La seconda circostanza è quella della tribolazione delle chiese d’Asia. Le due parti del libro infatti sono una risposta a questo problema. Nella prima parte Cristo rivolge la sua parola alle chiese per invitarle a essere fedeli nelle prove, mentre la scena madre da cui scaturisce la seconda parte è quella del grido dei martiri: «Fino a quando non vendicherai il nostro sangue? (6,9-10). Il resto dell’Apocalisse è una risposta a questa protesta così audace che Giovanni trovava diffusa nelle chiese, sgomente per il martirio non vendicato dei credenti e per l’impurità dei persecutori. All’origine della composizione dell’Apocalisse però si trova in misura anche più consistente, l’idolatria, quella tradizionale e quella della Bestia, delle quali Giovanni parla rispettivamente nel settenario delle trombe e in quello delle coppe.
Per quanto poi riguarda la data di composizione dell’Apocalisse si fronteggiano un’opinione minoritaria, la quale ambienta la composizione del libro in epoca neroniana e una maggioritaria che rifacendosi a Ireneo di Lione, colloca la stesura del libro in epoca domizianea. Per l’autore sembra che l’Apocalisse sia stata scritta in polemica con gli sviluppi socioreligiosi e culturali presenti in Efeso tra gli anni 80 e 90 d.C., considerati come una sintesi di tutto quello che di blasfemo si trovava nella città di Roma.
B. poi identifica l’autore dell’Apocalisse e le tradizioni in cui si inserisce. Esclude una sua permanenza volontaria a Patmos. Probabilmente si può ritenere che Giovanni, ritenuto giuridicamente un vagus, fosse al confino in questa isola per qualche motivo collegato con l’annunzio cristiano. Egli si presenta come profeta in conflitto con altri profeti attivi nelle sette chiese. Nonostante i contatti con il paolinismo, il vocabolario dell’Apocalisse, i suoi temi, i suoi simboli, il tono generale collocano l’autore in area giovannea. Egli però non sembra avere l’autorità di Giovanni figlio di Zebedeo, appare piuttosto come un profeta itinerante che trova oppositori in piccole chiese locali e da essi viene messo in seria difficoltà. Sembra perciò sia vissuto nell’ambito giovanneo, o meglio, paolino-giovanneo, e si chiamasse davvero Giovanni, ma è diverso dall’autore del vangelo giovanneo.
B. si sofferma quindi a presentare la lingua, la logica narrativa e il simbolismo dell’Apocalisse. Una lingua ricca di solecismi, che disattende le regole della concordanza e della grammatica, piena di paradossi. La preminenza di episodi individuali, la mancanza di segnali del cambio di ambientazione, l’uso di duplicati anticipatori, la discontinuità degli scenari. Il vocabolario dell’Apocalisse (9.834 parole, di cui 916 differenti e 128 hapax legomena) è ricco nei campi semantici dei numeri, degli elementi e fenomeni cosmici e degli animali, dei minerali. I simboli dell’apocalisse non sono lasciati al caso, né all’arbitrio, ma hanno un senso e una motivazione. Il linguaggio simbolico di Giovanni non nasce dalla volontà di sottrarre il messaggio del libro alla comprensione dei persecutori come popolarmente si dice, ma dal fatto che è più evocativo del linguaggio corrente, è meno inadeguato di esso a dire l’inesprimibile, è universale e applicabile a ogni situazione.
B. presenta quindi il travagliato ingresso dell’Apocalisse nel Canone e la tradizione manoscritta del testo, l’unitarietà del libro, il suo genere letterario (epistolare, profetico, soprattutto apocalittico) e in particolare il suo pregio letterario ed estetico. Si tratta di un libro che si trova a casa in diverse situazioni e quindi è potenzialmente sempre attuale.
La parte seconda del lavoro di B. è costituita dalla traduzione e dal commento, dove possiamo cogliere il frutto dei suoi due precedenti studi sull’Apocalisse, in particolare nei suoi utilissimi undici excursus (la letteratura apocalittica; questioni preliminari circa i messaggi alle chiese; que-stioni circa il biblion di Ap 5-8; concatenazione e natura dei sigilli, confronto con trombe e coppe; Ap 11 e la particolare lingua narrativa giovannea; l’identità della Donna di Ap 12; calcolare il numero della Bestia 666; geografia politica e Ap 13 e identità delle due Bestie; l’idolatria imperiale in Asia e a Efeso; la teoria del crescendo da un settenario all’altro; l’identificazione dell’ottavo re di Ap. 17).
Il messaggio teologico dell’Apocalisse viene sintetizzato nella terza parte del commentario. Dopo aver presentato la trama narrativa del libro profetico di Giovanni Patos, B. richiama i temi principali del libro: il segno di Patmos sulla teologia dell’Apocalisse; il governo di Dio e la teologia della storia; il Cristo rivelatore, pastore e vincitore; la Chiesa, la soteriologia, lo Spirito e l’eschaton; teologia nella prassi di Giovanni di Patmos. Un lessico biblico-teologico, una bibliografia ragionata, e una bibliografia generale concludono il lavoro.
In questi ultimi anni va crescendo l’interesse di molti laici colti per l’Apocalisse. Credo che il commentario del B. potrà essere uno strumento utile che aiuterà il lettore a non perdersi nel labirinto del testo, mettendogli davanti agli occhi la trama narrativa del libro, che contiene una rivelazione per le chiese del tempo di Giovanni, ma anche per le nostre attuali comunità cristiane assetate di Parola. Il commentario del B. però è soprattutto un lavoro di cui ogni studioso del NT dovrà tenere conto.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Secondo il piano tradizionale della collana «I libri biblici» il lavoro è diviso in tre parti. La «sezione introduttiva» inizia con la storia dell’interpretazione dell’Apocalisse dal II secolo fino ai secoli XIX-XX, caratterizzati dalla critica storica e letteraria. Si passa quindi a presentare l’articolazione e il contenuto del libro. Secondo B. presumibilmente l’Apocalisse di Giovanni ha un ordine non a schema concentrico, sembra invece procedere in avanti fino a terminare in crescendo. E di fatto lo fa con un finale così grandioso come non fa alcun altro libro del NT. Nel suo sviluppo lineare e progressivo l’Apocalisse è divisa secondo B. in due parti: «Il Cristo e le sette Chiese d’Asia» (Ap 1-3); «Piano e azione di Dio nella storia» (Ap 4-22). Nella struttura narrativa dell’Apocalisse sono importanti i quattro settenari: il comando di scrivere alle sette chiese (1,11 e 2,1-3,22), l’apertura dei sette sigilli (6,1-8,1) gli squilli delle sette trombe (8,7-11,15); i versamenti delle sette coppe (16,2-17).
L’autore quindi richiama le circostanze storiche della composizione. Per la loro ricostruzione è necessario prima identificare la città chiamata «Babilonia»: Gerusalemme o Roma? L’Apocalisse è un libello antigiudaico e antiromano? L’interpretazione tradizionale antiromana è decisamente da preferire secondo B. La seconda circostanza è quella della tribolazione delle chiese d’Asia. Le due parti del libro infatti sono una risposta a questo problema. Nella prima parte Cristo rivolge la sua parola alle chiese per invitarle a essere fedeli nelle prove, mentre la scena madre da cui scaturisce la seconda parte è quella del grido dei martiri: «Fino a quando non vendicherai il nostro sangue? (6,9-10). Il resto dell’Apocalisse è una risposta a questa protesta così audace che Giovanni trovava diffusa nelle chiese, sgomente per il martirio non vendicato dei credenti e per l’impurità dei persecutori. All’origine della composizione dell’Apocalisse però si trova in misura anche più consistente, l’idolatria, quella tradizionale e quella della Bestia, delle quali Giovanni parla rispettivamente nel settenario delle trombe e in quello delle coppe.
Per quanto poi riguarda la data di composizione dell’Apocalisse si fronteggiano un’opinione minoritaria, la quale ambienta la composizione del libro in epoca neroniana e una maggioritaria che rifacendosi a Ireneo di Lione, colloca la stesura del libro in epoca domizianea. Per l’autore sembra che l’Apocalisse sia stata scritta in polemica con gli sviluppi socioreligiosi e culturali presenti in Efeso tra gli anni 80 e 90 d.C., considerati come una sintesi di tutto quello che di blasfemo si trovava nella città di Roma.
B. poi identifica l’autore dell’Apocalisse e le tradizioni in cui si inserisce. Esclude una sua permanenza volontaria a Patmos. Probabilmente si può ritenere che Giovanni, ritenuto giuridicamente un vagus, fosse al confino in questa isola per qualche motivo collegato con l’annunzio cristiano. Egli si presenta come profeta in conflitto con altri profeti attivi nelle sette chiese. Nonostante i contatti con il paolinismo, il vocabolario dell’Apocalisse, i suoi temi, i suoi simboli, il tono generale collocano l’autore in area giovannea. Egli però non sembra avere l’autorità di Giovanni figlio di Zebedeo, appare piuttosto come un profeta itinerante che trova oppositori in piccole chiese locali e da essi viene messo in seria difficoltà. Sembra perciò sia vissuto nell’ambito giovanneo, o meglio, paolino-giovanneo, e si chiamasse davvero Giovanni, ma è diverso dall’autore del vangelo giovanneo.
B. si sofferma quindi a presentare la lingua, la logica narrativa e il simbolismo dell’Apocalisse. Una lingua ricca di solecismi, che disattende le regole della concordanza e della grammatica, piena di paradossi. La preminenza di episodi individuali, la mancanza di segnali del cambio di ambientazione, l’uso di duplicati anticipatori, la discontinuità degli scenari. Il vocabolario dell’Apocalisse (9.834 parole, di cui 916 differenti e 128 hapax legomena) è ricco nei campi semantici dei numeri, degli elementi e fenomeni cosmici e degli animali, dei minerali. I simboli dell’apocalisse non sono lasciati al caso, né all’arbitrio, ma hanno un senso e una motivazione. Il linguaggio simbolico di Giovanni non nasce dalla volontà di sottrarre il messaggio del libro alla comprensione dei persecutori come popolarmente si dice, ma dal fatto che è più evocativo del linguaggio corrente, è meno inadeguato di esso a dire l’inesprimibile, è universale e applicabile a ogni situazione.
B. presenta quindi il travagliato ingresso dell’Apocalisse nel Canone e la tradizione manoscritta del testo, l’unitarietà del libro, il suo genere letterario (epistolare, profetico, soprattutto apocalittico) e in particolare il suo pregio letterario ed estetico. Si tratta di un libro che si trova a casa in diverse situazioni e quindi è potenzialmente sempre attuale.
La parte seconda del lavoro di B. è costituita dalla traduzione e dal commento, dove possiamo cogliere il frutto dei suoi due precedenti studi sull’Apocalisse, in particolare nei suoi utilissimi undici excursus (la letteratura apocalittica; questioni preliminari circa i messaggi alle chiese; que-stioni circa il biblion di Ap 5-8; concatenazione e natura dei sigilli, confronto con trombe e coppe; Ap 11 e la particolare lingua narrativa giovannea; l’identità della Donna di Ap 12; calcolare il numero della Bestia 666; geografia politica e Ap 13 e identità delle due Bestie; l’idolatria imperiale in Asia e a Efeso; la teoria del crescendo da un settenario all’altro; l’identificazione dell’ottavo re di Ap. 17).
Il messaggio teologico dell’Apocalisse viene sintetizzato nella terza parte del commentario. Dopo aver presentato la trama narrativa del libro profetico di Giovanni Patos, B. richiama i temi principali del libro: il segno di Patmos sulla teologia dell’Apocalisse; il governo di Dio e la teologia della storia; il Cristo rivelatore, pastore e vincitore; la Chiesa, la soteriologia, lo Spirito e l’eschaton; teologia nella prassi di Giovanni di Patmos. Un lessico biblico-teologico, una bibliografia ragionata, e una bibliografia generale concludono il lavoro.
In questi ultimi anni va crescendo l’interesse di molti laici colti per l’Apocalisse. Credo che il commentario del B. potrà essere uno strumento utile che aiuterà il lettore a non perdersi nel labirinto del testo, mettendogli davanti agli occhi la trama narrativa del libro, che contiene una rivelazione per le chiese del tempo di Giovanni, ma anche per le nostre attuali comunità cristiane assetate di Parola. Il commentario del B. però è soprattutto un lavoro di cui ogni studioso del NT dovrà tenere conto.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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