Opere di San Girolamo
-Vol. XV. Opere storiche e agiografiche
(Grandi opp. s.girolamo lat-ita) [Rilegato]EAN 9788831198530
Il saggio è diviso in quattro parti: la prima tratta Le Vitae geronimiane degli eremiti Paolo, Ilarione e Malco; la seconda la Continuazione geronimiana delle Cronache di Eusebio di Cesarea; la terza Gli uomini illustri, e la quarta la Prefazione geronimiana alla traduzione della Regola di Pacomio.
Nell’Introduzione è descritta l’autobiografia di Girolamo, dove si evidenzia e si esplicita la sua volontà di vivere «solus cum Deo solo» (p. 16). Dopo varie esperienze si stabilì nel deserto di Calcide e, in opposizione agli anacoreti che nutrivano un certo disprezzo per la cultura, oltre all’ascetismo provvide allo studio e alla formazione intellettuale: apprese l’ebraico, perfezionò il greco e la filologia diventando esperto esegeta e traduttore. Deluso dal “tradimento” di alcuni monaci dell’ideale di vita ascetico e preoccupato per la crisi ariana fece ritorno ad Antiochia dove fu ordinato presbitero. Trasferito a Costantinopoli sotto l’egida del vescovo Gregorio Nazianzeno, diede inizio alla traduzione di alcune opere di Origene. Nel 382 scelse Roma e spronato da papa Damaso, che ne conosceva il valore, iniziò la revisione e la traduzione latina della Bibbia. Lo studio della Parola riaccese il desiderio per la vita contemplativa e iniziò una proficua direzione spirituale diretta in particolar modo alle donne degli ambienti aristocratici. La sua austerità gli procurò nemici nel clero romano, che alla morte del papa gli si dimostrò molto ostile e Girolamo ripartì per l’Oriente, stabilendosi in Terra Santa seguito da alcune sue discepole: Paola, la figlia Eustochio, e altre, che contribuirono alla costruzione di monasteri maschili e femminili e di un ospizio per i pellegrini. Gli ultimi anni della sua vita furono costellati da tristezza e dolori, sia a motivo della controversia origenista che per la morte delle sue amate discepole. Prima parte. La Vita sancti Pauli è il primo scritto di Girolamo e rispecchia fedelmente la vita del santo e la sua ammirazione per gli anacoreti. L’opera narra la vocazione eremitica di Paolo di Tebe di famiglia agiata che, per motivi d’interesse, fu denunciato dal cognato come cristiano durante le persecuzioni di Decio e Valeriano. Seppure non cercata, la nuova condizione offrì a Paolo la possibilità di scoprire una vita dedicata interamente a Dio. Di lui, oltre che emulo del Battista per la severa penitenza, non sappiamo molto, ma di certo morì ultracentenario confortato anche dalla visita di Antonio, l’altro grande Padre del deserto. Dei due, infatti, molti autori ebbero grande considerazione: basti citare Giovanni Cassiano, Sulpicio Severo, Isidoro di Siviglia. Si discute se Paolo di Tebe sia reale o meno, ma l’intento di Girolamo non è di scrivere un’opera storica bensì un’opera didattica, eminentemente spirituale.
La Vita sancti Hilarionis fu scritta all’inizio della permanenza di Girolamo a Betlemme negli anni a cavallo del 390. Anche di lui non si sa molto, tranne che fu un monaco vissuto tra il 291 e il 371, fondatore del monachesimo in Palestina. La sua vocazione eremitica, su imitazione di Antonio, iniziò quando era ancora giovinetto, e Girolamo ne riferisce le battaglie spirituali, le tentazioni e la rigorosa penitenza proprio per presentare un modello veritiero, che insegni come si combatte la battaglia che è comune a tutti. Anche in questo caso l’intento non è una biografia storica, ma un’opera spirituale la cui narrazione è tesa a suscitare santità attraverso un delicato simbolismo. Pur non tenendo conto delle critiche mossegli per la prima opera, la Vita sancti Hilarionis si presenta in forma diversa narrando dei miracoli ai quali Ilarione non si sottrae sia per compassione che per suscitare pace e fede. Anche qui, come per l’opera precedente, protagonista è la presenza di Dio, e tutto ciò che viene scritto ne è la manifestazione.
La Vita Malchi, scritta dopo il 390 sempre a Betlemme, racconta le vicende di un vegliardo eremita che Girolamo aveva conosciuto da giovane nel deserto di Calcide. Anche qui si discosta da quanto scritto in precedenza per introdurre un tema nuovo: il mondo femminile nello spazio del monaco. Da molti quest’opera è considerata una specie di esercitazione per scritti più importanti che abbiano come fulcro la storia della chiesa, cosa che in effetti avverrà! L’intento, quindi, è quello storico, attingendo a fonti sicure. Il libro inizia con il racconto autobiografico del vecchio protagonista, Malco, che dopo tante peripezie riesce a coronare il sogno suo e della compagna di sventure che è con lui, dedicandosi completamente alla visione beatifica di Dio. Trattandosi di una coppia, Girolamo tratta qui il tema della castità, non singola ma comunionale: una castità, cioè, non forzata dalla solitudine ma perseguita accanto a una compagna. Qui si potrebbe intravedere uno spunto autobiografico che ci parla di Girolamo e dell’affetto alle sue monache, soprattutto a Paola, forse sua madre spirituale.
Gli scritti monastici costituiscono un genere letterario a sé stante che, mirato alla sola edificazione spirituale, resta estraneo a fini letterari. La letteratura monastica dell’Oriente cristiano nasce dalla sola esigenza di fissare gli esempi dei maestri di ascesi per tramandarne l’insegnamento. La forma è quella delle “massime” con una forma essenziale, scarna, anche perché l’intento pedagogico era indirizzato a tutti, tenendo in considerazione gli illetterati che all’epoca erano la maggioranza. Il tutto muta quando l’aristocrazia abbraccia la vita monastica e l’opera si tiene in una posizione media tra la letteratura storica e quella fiabesca. Così le Vitae di Girolamo, sebbene accessibili anche ai più semplici, non sono prive di elementi ricercati che rivelano la cultura dell’autore con citazioni scritturistiche e passaggi dottrinali sempre puntuali e felici. Ciò che rivela il talento di Girolamo è la sua capacità narrativa: cioè, intorno all’esile trama storica sa tessere il racconto di una vita esemplare. Il protagonista diventa vicino a noi per il suo stile di vita, per la sua semplicità e, contemporaneamente, ci attira verso l’alto. Una attenta e nutrita bibliografia di ben ventotto pagine precede la lettura delle Vitae.
Seconda parte: la Continuazione geronimiana delle Cronache di Eusebio di Cesarea. Prima di scrivere l’Historia ecclesiastica Eusebio aveva redatto un’opera storica in greco, il Chronicon, che Girolamo aveva scoperto a Costantinopoli e, comprendendone l’importanza, l’aveva tradotta fino all’anno 378. Nonostante numerosi errori e incongruenze degli autori, l’opera è utile ancora oggi come lo fu in passato, ispirando grandi autori paleocristiani quali Prospero di Aquitania, Cassiodoro o Vittore di Tunnuna. Anche qui una nutrita bibliografia di ventiquattro pagine anticipa il testo.
Terza parte: De viris inlustribus. Mentre Girolamo era intento alla traduzione della Bibbia, su invito di un certo Destro, prefetto del pretorio, iniziò a scrivere un “indice degli autori della nostra religione” (p. 38) e alla fine del 392 compose 135 capitoli su altrettanti scrittori cristiani. Il primo di questo elenco è san Pietro e l’ultimo Girolamo stesso. «Ho scritto un libro sui personaggi illustri, dagli apostoli ai nostri giorni, seguendo l’esempio di Svetonio e del greco Apollonio»: questa pare essere la prima informazione dello stesso Girolamo sul De viris inlustribus, contenuta in una lettera indirizzata a Desiderio e scritta a Betlemme nel 393. Il puntuale e preciso elenco delle opere permise di chiarire la giusta attribuzione di opere ai rispettivi autori. Forse l’opera si rifà al Brutus ciceroniano o a Svetonio, celebre modello per aver catalogato gli uomini illustri della letteratura pagana. Pur attingendo dall’Historia ecclesiastica e dal Chronicon di Eusebio o dal Panarion di Epifanio, l’opera si ispira alla tradizione classica e il merito di Girolamo è di aver conservato e trasmesso notizie preziose, salvando spesso, con impronta indelebile, la tradizione. La bibliografia riportata è utile per i molteplici riferimenti patristici.
Quarta parte: la Prefazione geronimiana alla traduzione della Regola di Pacomio. Nato in una famiglia pagana della Tebaide, Pacomio fu costretto ad abbracciare la dura vita militare e quando, durante una sosta, fu ristorato da alcuni cristiani, fece voto di consacrarsi a questo “Dio sconosciuto” se liberato dalla vita militare. Il Signore lo esaudì e grazie alla fine della guerra poté tornare libero. Si fermò a Shenesit, alloggiando in solitudine nei ruderi di un tempio pagano. Visse l’intransigenza evangelica e per poterlo diventare totalmente gli abitanti del luogo lo battezzarono inserendolo nella vita sacramentale del nascente cristianesimo. Il nuovo status coincise con l’andare a vivere nella comunità ascetico-monastica di abba Palamone, dove Pacomio divenne modello di virtù. Alla ricerca di sempre maggiore perfezione ascetica si inoltrò nel deserto dove un giorno “una voce” lo invitò a costruire un monastero. Lo stesso Palamone, informato dell’accaduto, lo aiutò a costruirsi una cella, primo nucleo del futuro monastero. Il suo primo discepolo fu il fratello maggiore, che si convertì assumendo il nome di Giovanni.
Così Pacomio decise di accogliere quanti si fossero rivolti a lui per farsi monaci, anzi di lavorare per proprio conto come degli eremiti ma di mettere tutto in comune come dei cenobiti. Pacomio aveva invocato e ottenuto da Dio il dono della pazienza, ma quando vide che molti suoi suggerimenti venivano disattesi, esortò i monaci a essere più ligi al lavoro e alla preghiera e, perseverando nel loro lassismo, li chiuse fuori dal monastero. A nulla valsero le loro lamentele presso il vescovo Serapione, che confermò l’operato di Pacomio. Dopo questa brutta esperienza fu premiato dalla venuta di discepoli attenti a seguirlo: se ne contarono fino a cento, e li istruiva sulla formazione ascetica basata sulla Sacra Scrittura. Ciò lo spinse a scrivere la prima Regola monastica. L’affluenza dei candidati alla vita monastica fu così grande che costruì ben quattro monasteri, avendo anche un ramo femminile facente capo a Maria, sua sorella. L’operato e la vita cenobitica di Pacomio furono pienamente approvati da Atanasio, vescovo di Alessandria. Ad appena sessant’anni morì e Teodoro, al quale aveva affidato la guida dell’ordine, lo seppellì segretamente, come lo stesso Pacomio gli aveva chiesto.
La vita di Pacomio e dei suoi successori ci è nota grazie a un insieme di Vitae che risalgono quasi alla stessa epoca e che sono molto importanti, perché divergono sui particolari, ma sono concordi nell’essenziale. La corposa bibliografia è anticipata da alcune pagine che descrivono la Regola di Pacomio e le più antiche Regole monastiche in lingua latina.
Un indice scritturistico, dei nomi e delle cose notevoli completano il corposo saggio.
Il volume, che prosegue le edizioni curate da Claudio Moreschini, fortuitamente o profeticamente vede la luce nell’Anno dedicato alla vita consacrata, un anno in cui tutti e la chiesa in particolar modo, sono chiamati a fare il punto e riflettere sulla situazione del monachesimo nel mondo. Occorre, ancora oggi, farci sorprendere dallo Spirito e la lettura di questo volume può predisporci più facilmente all’ascolto.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-2/2015
(http://www.pftim.it)
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