ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
1. Vita
Gregorio, che in greco significa « vigilante », nacque a Roma verso il 540. Il senatore Gordiano e la nobile Silvia, genitori di Gregorio, abitavano sul Celio, di fronte al Palatino, dove oggi sorge la chiesa a lui dedicata e il monastero camaldolese. Verso il 573 occupò la più alta carica civile, quella di prefetto della città, che esercitò con grande senso di responsabilità fino al 578, quando decise di dedicarsi totalmente al servizio di Dio. Trasformò il suo palazzo al Celio in un monastero intitolandolo all'apostolo sant'Andrea, e insieme con altri iniziò una vita nuova ispirata alla Regola di san Benedetto. Nel 579 Pelagio II inviò Gregorio a Costantinopoli come suo rappresentante presso l'imperatore. Una missione diplomatica vissuta con vero spirito di servizio e nell'assidua meditazione della parola di Dio. Nacque la prima sua opera: Moralia in Job, dove il commento al libro di Giobbe costituisce una vera introduzione alla contemplazione. Nel 586 fu richiamato a Roma e nel 590, quando la peste colpi Pelagio II, Gregorio non riuscì a sottrarsi al pesante fardello che cadde sulle sue spalle. Il 3 settembre di quell'anno fu consacrato vescovo di Roma e, come papa, diventò il servo di tutti i servi di Dio. Il suo servizio si concluse il 12 settembre del 604, quando lo colse la morte.
La sua figura di monaco e di pastore, di uomo pratico e di mistico, è complessa e insieme armoniosa, vigorosa e limpida, forte e soavissima: un corpo esile in cui ardeva una fiamma inestinguibile. Il paradosso paolino: « La forza di Dio si esplica nella debolezza umana », esprime bene questa figura che riassume in sé la pesantezza di un mondo decadente e di una civiltà al tramonto e insieme la luce di un'epoca nuova, una speranza per tutti gli uomini della terra, soprattutto per quelli che erano chiamati dalle tenebre alla luce. Un uomo totalmente sospeso nella contemplazione di Dio e insieme totalmente proteso nel servizio dei fratelli, che dopo essere approdato al monastero come un naufrago nel porto sicuro, impietosamente era stato gettato dalla mano di Dio nel mare in tempesta. Strappato violentemente alla pace monastica e maturato attraverso l'esperienza pastorale, da lui vissuta in piena dedizione e in circostanze davvero drammatiche, Gregorio giunse ad una spiritualità essenziale e robusta, da lui sintetizzata in una formula che troviamo nelle Omelie su Ezechiele: « Quanto più uno si dilata nell'amore del prossimo tanto più si innalza nella conoscenza di Dio ».
È una formula che ci riconduce alla spiritualità di Agostino, una figura che illumina quella di Gregorio, senza della quale anzi quella di Gregorio non è facilmente comprensibile. Agostino, commentando il Vangelo di Giovanni, aveva osservato che in ordine d'importanza c'è prima il precetto dell'amore di Dio, ma nell'ordine pratico c'è prima l'amore del prossimo. Accettando il prossimo e amandolo generosamente e pazientemente, il nostro cuore si purifica e noi diventiamo capaci di vedere Dio. Peraltro Paolo VI, nel discorso con cui concluse il Concilio Vaticano II, affermò chiaramente la necessità di amare l'uomo per giungere all'amore di Dio: amare l'uomo per amare Dio. Il monaco, che era partito dall'esperienza mistica, si trovò, come pastore, costretto ad arrivare alla conoscenza di Dio, alla contemplazione, esercitandosi nell'amore del prossimo senza tirarsi indietro. Quanto più si dilatava tanto più si innalzava.
Mi pare che questo basti a confermare l'attualità di Gregorio, non soltanto per i pastori d'anime, ma per tutti i credenti che oggi più che mai sono chiamati, anzi provocati, a misurarsi sull'essenziale. L'essenziale è l'amore di Dio e l'amore del prossimo. Si comincia dall'uomo, perché l'uomo è la via per arrivare a Dio. Poiché non si può arrivare da soli, né ci si può salvare da soli, ma insieme con gli altri, nostri condiscepoli nella scuola dell'unico maestro, che è Cristo.
2. Opere
a) La Regola Pastorale: Liber regulae pastoralis (a. 591). La Regola Pastorale è il ritratto ideale del pastore d'anime. È un'opera destinata ai vescovi chiamati ad assumere in prima persona la cura delle anime, definita da Gregorio ars artium. Gregorio la scrisse all'inizio del suo pontificato, nel 591, e la dedicò al vescovo di Ravenna, Giovanni, suo amico, il quale lo aveva amabilmente rimproverato d'essersi nascosto per sottrarsi alle responsabilità del ministero pastorale. Un'opera che in ogni tempo ebbe un grande successo.
b) Le Omelie sui Vangeli: Homiliae XL in Evangelia (a. 593). Di queste quaranta omelie, tenute durante l'anno liturgico 590-591 e pubblicate nel 593, venti soltanto furono pronunciate da Gregorio dinanzi ai fedeli nelle varie basiliche.