INTRODUZIONE AD APOCALISSE
È noto che a partire dalle riserve espresse da Eusebio di Cesarea sull'autenticità apostolica del libro di Giovanni (Storia ecclesiastica 3, 39, 5-6), il libro apocalittico fu scarsamente commentato in Oriente, come si evince dalle rarissime citazioni patristiche, fino a quelli che vanno considerati come i più antichi commentari orientali dell'Apocalisse, mi riferisco ai Commenti di Ecumenio (VI sec.) e di Andrea di Cesarea (VII sec. ).
Entrando gli scritti ritenuti canonici, tra quelli attribuibili con sicurezza all'evangelista Giovanni Eusebio cita, oltre al Vangelo, la prima delle Epistole, la cui paternità giovannea è indicata come "incontestabile" sulla scorta della tradizione a lui contemporanea e di quella precedente (Storia ecclesiastica 3, 24, 17), parlando invece di discussioni in merito all'attribuzione all'evangelista o ad un suo omonimo delle altre due lettere (ibid., cf. anche 3, 25, 3); per quanto riguarda poi l'Apocalisse, Eusebio classifica lo scritto tra quelli contestati e la cui autorità è messa in discussione (Storia ecclesiastica 3, 24, 18). Secondo quanto riferito da Eusebio, per alcuni il libro apocalittico sarebbe da respingere, mentre altri lo avrebbero incluso tra quelli canonici (Storia ecclesiastica 3, 25, 4).
Dell'identità dell'autore dell'Apocalisse Eusebio torna a parlare riportando un estratto della prefazione dell'opera di Papia di Gerapoli intitolata Spiegazione di parole del Signore (Storia ecclesiastica 3, 39, 1). Ireneo di Lione cita un detto, riferito da Papia nella sua opera, in cui Gesù parla della straordinaria fecondità della terra del Regno con accenti improntati ad estremo materialismo e che trovano significative e precise corrispondenze in testi apocalittici di ambiente giudaico quali 1 Enoch 10, 19 e 2 Baruch 29, 5 (Contro le eresie 5, 33, 3-4).
Come riferisce Eusebio, secondo Ireneo si sarebbe trattato di una tradizione trasmessa da Giovanni, il discepolo di Gesù di cui Papia, compagno di Policarpo, sarebbe stato uditore (Storia ecclesiastica 3, 39, 1). Situando Papia al tempo di Traiano e facendone un contemporaneo di Policarpo e di Ignazio (Storia ecclesiastica 3, 36, 2), Eusebio contesta Ireneo rilevando che nella prefazione alla propria opera Papia non si presenta come discepolo o uditore diretto degli apostoli, ma dei presbiteri, che a loro volta avevano ascoltato la testimonianza degli apostoli (Storia ecclesiastica 3, 39, 2- 4). Eusebio sottolinea come nella stessa prefazione Papia citi due volte il nome di Giovanni, menzionandolo una prima volta tra i discepoli del Signore e poi facendone il nome dopo quello di Aristione e indicandolo esplicitamente come "presbitero" (Storia ecclesiastica 3, 39, 5-6). Fondandosi su tale testimonianza e su una notizia desunta da Dionigi di Alessandria (cf. Storia ecclesiastica 7, 25, 16), Eusebio avanza quindi tesi che le due tombe esistenti a Efeso e dette di Giovanni appartengano l'una all'autore dell'Apocalisse e l'altra all'apostolo (Storia ecclesiastica 3, 39, 6).
Come detto, Eusebio fonda la propria ipotesi su quanto sostenuto da Dionigi di Alessandria che, confutando nella propria opera Sulle promesse Nepote, vescovo degli Egiziani che, appoggiando le proprie tesi sull'Apocalisse, sosteneva che le promesse dovessero essere intese in senso letterale, aveva dedicato il secondo libro della propria opera all'esame dell'Apocalisse. Dalle differenze stilistiche, linguistiche e di pensiero emerse dal confronto tra l'Apocalisse da un lato e il Vangelo giovanneo e l'Epistola dall'altro — Dionigi prende in considerazione la prima delle tre epistole giovannee, che, crome si è visto in precedenza, Eusebio considera incontestabilmente ascrivibile all'apostolo —, il vescovo di Alessandria aveva sostenuto la necessità di distinguere l'autore del Vangelo e dell'Epistola da quello dell'Apocalisse (Storia ecclesiastica 7, 25, 7), al quale, pur rilevando a proposito della lingua l'uso di un dialetto non propriamente greco e sottolineando il ricorso a barbarismi e a solecismi, aveva comunque riconosciuto l'ispirazione profetica (Storia ecclesiastica 7, 25, 26, cf. 7, 25, 7) chiamandolo esplicitamente "profeta" (Storia ecclesiastica 7, 25, 6)1.
Dionigi dichiara inoltre che molti dei suoi predecessori respinsero il libro apocalittico criticandolo capitolo per capitolo e dichiarandolo incoerente e inintelligibile e per questo non ascrivibile a uno degli apostoli (Storia ecclesiastica 7, 25, 1-2). Secondo tali critici l'autore dell'Apocalisse sarebbe stato invece Cerinto, il fondatore dell'eresia di ispirazione millenarista che da lui prese il nome (Storia ecclesiastica 7, 25, 2-3): si tratta della posizione espressa in senso antimontanista dal presbitero Gaio, attivo a Roma ai tempi del vescovo Zefirino (199-217) e dai cosiddetti "alogi", così definiti da Epifanio di Salamina in quanto negatori della teologia giovannea del Logos (Epifanio, Panarion 51, 1-35) 2. Da parte sua Dionigi dichiara di non poter respingere un libro accettato da molti fratelli e, insistendo sul primato della fede, ammette l'impossibilità di una comprensione razionale di questo testo dai tratti spesso oscuri e "meravigliosi", supponendo che dietro le parole ci sia un significato più profondo (Storia ecclesiastica 7, 25, 4-5).
Eusebio quindi, su posizioni antimillenariste e sulla scorta della testimonianza di Dionigi, non riconosce all'evangelista Giovanni la paternità del libro apocalittico e parla della necessità di un senso simbolico e mistico del testo che il millenarismo materialista di Papia, di indubbia matrice giudaica 3, non avrebbe colto (Storia ecclesiastica 3, 39, 11-13).
È opportuno a questo punto rilevare come sia fortemente rappresentata presso gli studiosi moderni la convinzione che riguarda il millenarismo del libro apocalittico.
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A. Di cola il 10 gennaio 2024 alle 21:44 ha scritto:
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