La Lettera agli Ebrei, che presenta nell'ambito del Nuovo Testamento caratteristiche peculiari nella forma, nel contenuto e nello stile - costituisce un testo fondamentale per il suo profondo messaggio cristologico e offre un contributo notevole alla comprensione di Gesù come sommo sacerdote. I Curatori hanno scelto di fondare questo volume sul Commento alla Lettera agli Ebrei composto da Giovanni Crisostomo (347-407). Si tratta del primo commentario esaustivo sulla Lettera, che ha esercitato una profonda influenza sull'interpretazione successiva del testo sia in Oriente che in Occidente, e la cui eloquenza retorica è stata a lungo e ampiamente riconosciuta. Il volume offre quindi una selezione di commenti estremamente varia per generi letterari, tempi e contesti culturali, spaziando dal primo al nono secolo e dalla tradizione orientale a quella occidentale. Un tesoro di antica sapienza per la Chiesa di oggi.
INTRODUZIONE A EBREI
Questo volume della collana "La Bibbia commentata dai Padri" dedicato alla Lettera agli Ebrei presenta alcune peculiari caratteristiche che vanno adeguatamente spiegate sotto i seguenti aspetti: la ricezione della lettera da parte della Chiesa delle origini; la giustificazione dell'inserimento nel volume del Commento sulla Lettera agli Ebrei di Giovanni Crisostomo; la natura delle selezioni tratte dagli altri commentatori patristici. La sezione finale si chiude con una discussione sugli esiti relativi al genere e al linguaggio utilizzati nel presente volume, aspetti che ne complicano decisamente la lettura. La selezione dei commenti dei primi esegeti cristiani rappresenta una varietà di generi interpretativi ed è spesso legata a tempi e contesti diversi, elementi che comportano interrogativi vari al lettore nel momento in cui si passa da un brano all'altro. Inoltre, la differenza cronologica tra la lingua originale della Lettera agli Ebrei (greco) e le lingue dei primi scrittori cristiani che l'hanno commentata (per es. greco, latino, armeno) pongono al lettore alcuni quesiti e meritano necessariamente un opportuno commento.
LA RICEZIONE DELLA LETTERA AGLI EBREI
La Lettera agli Ebrei occupa un posto distintivo nel Nuovo Testamento. È, per tradizione, associata al corpus paolino. Tuttavia, dubbi sulla paternità e sull'autorità emersero presto nella sua trasmissione e complicarono la sua ricezione, in particolare in Occidente (zona di lingua latina) fino al IV sec. In Occidente esigenze di ordine della Chiesa finirono per essere determinanti per l'intepretazione della Lettera agli Ebrei. Un'interpretazione rigorista di Eb 6, 4-6, Eb 10, 26-31 e Eb 12, 17 affermava l'impossibilità di pentimento per certi peccati dopo il battesimo. Questo fatto può essere notato già nel Pastore di Erma (120-140). E' anche evidente nella difesa della Lettera agli Ebrei di Tertulliano (160-225ca). Dopo la persecuzione di Decio del 249-250, il rigorista Novaziano usò la Lettera agli Ebrei per sostenere che coloro che avevano abiurato la fede non potevano essere perdonati e riammessi nella Chiesa. Cipriano, vescovo di Cartagine (m. 258), egli stesso un disciplinato difensore della fede, dichiarò che il peccatore poteva essere riconciliato con la Chiesa solo dopo rigorosa penitenza. Eppure, Cipriano non utilizzò la Lettera agli Ebrei nel proprio lavoro: non ne trae mai citazioni.
Nell'Oriente greco, sebbene si discutessero anche le questioni legate alla paternità paolina, i passaggi sul "secondo pentimento" non erano percepiti problematici tanto quanto in Occidente, e l'autorità della Lettera agli Ebrei non venne mai seriamente messa in discussione. I primi esegeti alessandrini, Panteno e Clemente, accettarono la paternità paolina, sebbene Clemente suggerisse che le differenze stilistiche nella Lettera agli Ebrei fossero dovute a Luca e alla sua traduzione della lettera di Paolo dall'originale ebraico al greco, una posizione che venne accolta nella glossa ordinaria e divenne l'opinione tradizionale della Chiesa occidentale nel medioevo. Origene affina questa nozione suggerendo che la forma finale della lettera rappresentava un ordine diverso di stesura rispetto a quello della traduzione. I commenti di Origene sulla paternità della Lettera agli Ebrei sono rappresentativi della tradizione greca in generale. Ci sono giunti in un testo spesso parafrasato che è citato per primo da Eusebio e che deriva dalle perdute Omelie sulla Lettera agli Ebrei: «Quanto a me, dovendo esprimere la mia opinione, direi che i pensieri sono dell'Apostolo, mentre lo stile e la composizione sono di uno che ricordava la dottrina apostolica, per così dire di un redattore che ha trascritto quanto era detto del maestro. Se dunque qualche Chiesa considera questa lettera veramente di Paolo, essa stessa si rallegri anche di questo: non è a caso, infatti, che gli antichi l'hanno tramandata come se fosse di Paolo. Quanto poi a chi ha scritto la lettera, Dio sa la verità».
In un papiro manoscritto che contiene la più antica raccolta greca delle lettere di san Paolo (200ca), la Lettera agli Ebrei segue la Lettera ai Romani, un'indicazione dell'importanza e dell'autorità che le veniva riconosciuta nella tradizione orientale. D'altra parte, la Lettera agli Ebrei manca dal canone latino Muratoriano, una lista che potrebbe datare allo stesso periodo di P46. In Occidente si deve attendere fino a Girolamo (347-420ca) e ad Agostino (354-430ca) perché il testo riceva i suoi primi autorevoli difensori. Tale svolta avvenne, apparentemente, come risultato della scoperta del profondo apprezzamento che la tradizione greca aveva per la Lettera, tanto quanto come conseguenza della comprovata utilità del testo per l'ortodossia nella controversia ariana (per es. l'uso di Eb i, 3 come testo di prova cristologica). Nessuno dei maggiori Padri latini produsse tuttavia un commentario al testo e sia Girolamo che Agostino dimostrarono prudenza rispetto alla questione della paternità.