Concili e cronache
(Scrittori della chiesa aquileia) [Libro rilegato]EAN 9788831190862
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DETTAGLI DI «Concili e cronache»
Tipo
Libro
Titolo
Concili e cronache
Autori
Fedalto Giorgio, Berto Luigi Andrea
A cura di
Giorgio Fedalto, Luigi A. Berto
Editore
Città Nuova
EAN
9788831190862
Pagine
512
Data
gennaio 2003
Peso
687 grammi
Dimensioni
14.5 x 23 cm
Collana
Scrittori della chiesa aquileia
COMMENTI DEI LETTORI A «Concili e cronache»
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Recensione di Renato D'Antiga della rivista Studia Patavina
La pubblicazione del XII/2 volume del “Corpus Scriptorum Ecclesiae Aquileiensis”, intitolato Cronache, ha il pregio immediato di porre a disposizione di un numero piú vasto di studiosi i testi originali delle cronache veneziane piú antiche riguardanti la nascita e lo sviluppo della chiesa gradense e della civiltà veneziana. Le cronache raccolte nel tomo, in latino con la traduzione italiana, sono: Istoria Veneticorum di Giovanni Diacono, la Chronica de singulis patriarchis Novae Aquileiae, il Chronicon Gradense, il Chronicon Venetum guod vulgo dicunt Altinate, la Chronica per extensum descripta del doge Andrea Dandolo e la Thanslatio sancti Marci.
Secondo quanto scrive Giorgio Fedalto nell’Introduzione, gli autori delle cronache raccolte, ad esclusione del doge Andrea Dandolo e dell’anonimo autore della Translatio, furono probabilmente degli ecclesiastici (p. l4), i quali si erano posti la finalità di evidenziare e di documentare la legittimità e la canonicità del patriarcato di Grado e dell’istituzione delle sei sedi vescovili lagunari. Per questo motivo i diversi autori, ampliando la narrazione, si soffermano, con particolari piú o meno ricchi, sulla celebrazione del sinodo del 579, convocata a Grado dal patriarca Elia. In tale assemblea, infatti, i vescovi presenti sancirono la definitiva translatio sedis dall’antiqua alla nova Aquileia, avvenuta de facto una decina di anni prima con la fuga del patriarca Paolo dalla città romana, il quale condusse con sé nelle lagune, poste sotto l’autorità. bizantina, le reliquie dei santi assieme al clero e al popolo, di fronte all’ormai prossima occupazione longobarda (568). Sempre durante questo sinodo, inoltre, vennero istituiti sei nuovi vescovadi nei diversi siti lagunari, lontani dalla terraferma, da poco riconquistati da Narsete durante lo svolgimento della guerra gotica e sottoposti all’autorità esarcale di Ravenna e a quella imperiale di Costantinopoli. Essi sono: il vescovado di Torcello, di Metamauco, di Olivolo, di Equilio,di Eraclea e di Caorle. I vescovi titolari di queste due ultime sedi avevano dovuto scappare dalla terraferma davanti all’incalzare dei longobardi; il primo proveniva dalla città di Oderzo e l’altro da Concordia.
¬Va ricordato pure che, nonostante l’ampia autonomia giurisdizionale goduta dalla metropoli gradente, quell’arcivescovo, non ancora patriarca, dopo la sua elezione riceveva il pallio dal papa quale segno di riconoscimento del suo legame canonico con la sede romana. Non va sottaciuto poi, come ricordano diversi cronisti, il fatto che l’imperatore d’Oriente Eraclio (610-640), dopo aver confermato la translatio sedis nella nova Aquileia, rafforzando così la posizione del patriarcato di Grado, inviò al metropolita quale suggello la presunta cattedra di san Marco, portata a suo tempo a Costantinopoli dall’Egitto dall’imperatrice Elena, che successivamente sarebbe stata considerata il collegamento con una precedente tradizione marciana.
La legittimità giurisdizionale della metropoli gradense di fronte al patriarcato di Aquileia, ripristinato in terraferma dopo la conquista longobarda, venne definitivamente ribadita da papa Gregorio II nel 731, il quale convocò i due patriarchi a Roma e stabilì le loro prerogative giurisdizionali, come viene ricordato nella Chronica de singulis patriarchis. Questo scritto ricorda, inoltre, che il sinodo del 579 aveva posto sotto la giurisdizione della metropoli gradense anche i territori dell’Istria e delle Venezie, territori quest’ultimi ormai ridotti alle isole delle varie lagune del nord Adriatico, riconquistati con le guerre gotiche all’autorità romana.
Fra tutti gli scritti cronachistici raccolti in questo volume, l’Istoria Veneticorum di Giovanni Diacono, tradotta da Luigi Andrea Berto, è ritenuto il piú antico (inizio XI secolo) in quanto gli altri testi risalirebbero ad un arco di tempo che va dalla metà dell’XI secolo agli inizi del XIII. Lo scritto attribuito a Giovanni Diacono, funzionario ducale e cappellano del doge Pietro II Orseolo (99l-1008), mette in rilievo le diverse vicende ecclesiastiche all’interno di una visione unitaria della storia civile e religiosa dei veneziani. Essa vede nell’evoluzione politica del ducato rivoaltino l’affermarsi di una autonomia che pone lo stato veneziano quale cerniera di comunicazione tra l’impero d’Oriente e il Sacro romano Impero, dopo essersi assicurato la sottomissione dei territori dalmati per meglio contrastare le incursioni dei saraceni nell’Adriatico e di altri possibili nemici.
Tra le diverse cronache qui raccolte incontriamo pure la prima parte della Chronica per extensum descripta del doge Andrea Dandolo (1306-l354), già autore di una Chronica brevis dove narra le vicende storiche veneziane dalle origini sino alla morte del doge Bartolomeo Gradenigo (m. l342), in riferimento al periodo patristico aquileiese di cui si occupa la collana. La cronaca del Dandolo si apre con l’ampliamento della tradizione marciana precedente, secondo cui l’evangelista Marco avrebbe predicato ad Aquileia e ivi fondato la prima comunità cristiana portando poi con sé a Roma l’aquileise Ermacora che venne consacrato vescovo della città da san Pietro, e si conclude nell’anno 1280. L’Extensa si presenta utile anche per la storia della chiesa e della religiosità veneziane, perché in essa l’autore si sofferma minuziosamente sui santi ricordati nella liturgia patriarchina oppure sull’acquisizione da parte dei veneziani delle numerose reliquie di santi orientali sparse nelle numerose chiese cittadine e su diversi altri eventi ecclesiastici.
Dopo la raccolta delle cronache incontriamo il testo della Translatio sancti Marci che narra il trafugamento del corpo dell’evangelista da Alessandria d’Egitto da parte dei due mercanti veneziani Rustico da Torcello e Bono di Malamocco, i quali, una volta giunti a Venezia lo donarono al doge Giustiniano Partiaciaco, il quale nel suo testamento redatto nell’828/829 assegnò alla moglie Felicita il compito di innalzare una basilica in onore dell’evangelista nel territorio appartenente al monastero di San Zaccaria. Il testo della Translatio, secondo le ultime dimostrazioni come rileva L.A. Berto (p. 467), era conosciuto pure da Giovanni Diacono per cui la data della sua composizione va retrodata alla fine del X secolo almeno.
Il lettore che si addentra in queste antiche cronache veneziane, per la retta comprensione dei testi, utile che tenga presente il consiglio offerto nell’Introduzione, secondo cui il problema di questi scritti sta nella loro valutazione critica che deve essere svolta cercando la comprensione degli eventi tralasciando i pregiudizi logici proposti dalla contemporaneità (pp.l3-l4).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Secondo quanto scrive Giorgio Fedalto nell’Introduzione, gli autori delle cronache raccolte, ad esclusione del doge Andrea Dandolo e dell’anonimo autore della Translatio, furono probabilmente degli ecclesiastici (p. l4), i quali si erano posti la finalità di evidenziare e di documentare la legittimità e la canonicità del patriarcato di Grado e dell’istituzione delle sei sedi vescovili lagunari. Per questo motivo i diversi autori, ampliando la narrazione, si soffermano, con particolari piú o meno ricchi, sulla celebrazione del sinodo del 579, convocata a Grado dal patriarca Elia. In tale assemblea, infatti, i vescovi presenti sancirono la definitiva translatio sedis dall’antiqua alla nova Aquileia, avvenuta de facto una decina di anni prima con la fuga del patriarca Paolo dalla città romana, il quale condusse con sé nelle lagune, poste sotto l’autorità. bizantina, le reliquie dei santi assieme al clero e al popolo, di fronte all’ormai prossima occupazione longobarda (568). Sempre durante questo sinodo, inoltre, vennero istituiti sei nuovi vescovadi nei diversi siti lagunari, lontani dalla terraferma, da poco riconquistati da Narsete durante lo svolgimento della guerra gotica e sottoposti all’autorità esarcale di Ravenna e a quella imperiale di Costantinopoli. Essi sono: il vescovado di Torcello, di Metamauco, di Olivolo, di Equilio,di Eraclea e di Caorle. I vescovi titolari di queste due ultime sedi avevano dovuto scappare dalla terraferma davanti all’incalzare dei longobardi; il primo proveniva dalla città di Oderzo e l’altro da Concordia.
¬Va ricordato pure che, nonostante l’ampia autonomia giurisdizionale goduta dalla metropoli gradente, quell’arcivescovo, non ancora patriarca, dopo la sua elezione riceveva il pallio dal papa quale segno di riconoscimento del suo legame canonico con la sede romana. Non va sottaciuto poi, come ricordano diversi cronisti, il fatto che l’imperatore d’Oriente Eraclio (610-640), dopo aver confermato la translatio sedis nella nova Aquileia, rafforzando così la posizione del patriarcato di Grado, inviò al metropolita quale suggello la presunta cattedra di san Marco, portata a suo tempo a Costantinopoli dall’Egitto dall’imperatrice Elena, che successivamente sarebbe stata considerata il collegamento con una precedente tradizione marciana.
La legittimità giurisdizionale della metropoli gradense di fronte al patriarcato di Aquileia, ripristinato in terraferma dopo la conquista longobarda, venne definitivamente ribadita da papa Gregorio II nel 731, il quale convocò i due patriarchi a Roma e stabilì le loro prerogative giurisdizionali, come viene ricordato nella Chronica de singulis patriarchis. Questo scritto ricorda, inoltre, che il sinodo del 579 aveva posto sotto la giurisdizione della metropoli gradense anche i territori dell’Istria e delle Venezie, territori quest’ultimi ormai ridotti alle isole delle varie lagune del nord Adriatico, riconquistati con le guerre gotiche all’autorità romana.
Fra tutti gli scritti cronachistici raccolti in questo volume, l’Istoria Veneticorum di Giovanni Diacono, tradotta da Luigi Andrea Berto, è ritenuto il piú antico (inizio XI secolo) in quanto gli altri testi risalirebbero ad un arco di tempo che va dalla metà dell’XI secolo agli inizi del XIII. Lo scritto attribuito a Giovanni Diacono, funzionario ducale e cappellano del doge Pietro II Orseolo (99l-1008), mette in rilievo le diverse vicende ecclesiastiche all’interno di una visione unitaria della storia civile e religiosa dei veneziani. Essa vede nell’evoluzione politica del ducato rivoaltino l’affermarsi di una autonomia che pone lo stato veneziano quale cerniera di comunicazione tra l’impero d’Oriente e il Sacro romano Impero, dopo essersi assicurato la sottomissione dei territori dalmati per meglio contrastare le incursioni dei saraceni nell’Adriatico e di altri possibili nemici.
Tra le diverse cronache qui raccolte incontriamo pure la prima parte della Chronica per extensum descripta del doge Andrea Dandolo (1306-l354), già autore di una Chronica brevis dove narra le vicende storiche veneziane dalle origini sino alla morte del doge Bartolomeo Gradenigo (m. l342), in riferimento al periodo patristico aquileiese di cui si occupa la collana. La cronaca del Dandolo si apre con l’ampliamento della tradizione marciana precedente, secondo cui l’evangelista Marco avrebbe predicato ad Aquileia e ivi fondato la prima comunità cristiana portando poi con sé a Roma l’aquileise Ermacora che venne consacrato vescovo della città da san Pietro, e si conclude nell’anno 1280. L’Extensa si presenta utile anche per la storia della chiesa e della religiosità veneziane, perché in essa l’autore si sofferma minuziosamente sui santi ricordati nella liturgia patriarchina oppure sull’acquisizione da parte dei veneziani delle numerose reliquie di santi orientali sparse nelle numerose chiese cittadine e su diversi altri eventi ecclesiastici.
Dopo la raccolta delle cronache incontriamo il testo della Translatio sancti Marci che narra il trafugamento del corpo dell’evangelista da Alessandria d’Egitto da parte dei due mercanti veneziani Rustico da Torcello e Bono di Malamocco, i quali, una volta giunti a Venezia lo donarono al doge Giustiniano Partiaciaco, il quale nel suo testamento redatto nell’828/829 assegnò alla moglie Felicita il compito di innalzare una basilica in onore dell’evangelista nel territorio appartenente al monastero di San Zaccaria. Il testo della Translatio, secondo le ultime dimostrazioni come rileva L.A. Berto (p. 467), era conosciuto pure da Giovanni Diacono per cui la data della sua composizione va retrodata alla fine del X secolo almeno.
Il lettore che si addentra in queste antiche cronache veneziane, per la retta comprensione dei testi, utile che tenga presente il consiglio offerto nell’Introduzione, secondo cui il problema di questi scritti sta nella loro valutazione critica che deve essere svolta cercando la comprensione degli eventi tralasciando i pregiudizi logici proposti dalla contemporaneità (pp.l3-l4).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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