Confutazione di alcune dottrine aristoteliche
(Testi patristici)EAN 9788831182539
Corredato di una densa introduzione e un approfondito commento, compare per la prima volta in traduzione italiana la Confutazione di alcune dottrine aristoteliche, a cura di Maria Grazia Crepaldi, professore aggregato all’Università di Padova. Questa studiosa ha dedicato la sua ricerca al processo di inculturazione tra cristianesimo e cultura ellenistica, con particolare attenzione al pensiero di Filone di Alessandria e del platonismo. Questo volume costituisce una novità perché l’opera presentata ha avuto solo una traduzione in francese nel 1559, una parziale in tedesco nel 1901 e una recente in castigliano nel 2002. Il testo greco, infatti, presenta molti punti impegnativi d’interpretazione, dato il forte sapore filosofico del suo contenuto, espresso anche con tecnicismi, che la stessa curatrice spiega di aver reso preferendo la chiarezza, per un lettore meno abituato al lessico dello Stagirita e dei suoi commentatori. La Confutazione di alcune dottrine aristoteliche è un’opera del tutto singolare. Essa s’inserisce nel dibattito tra filosofia cristiana e filosofia aristotelica, mostrando la grande perizia del suo autore, che ha la peculiarità di attingere direttamente alle opere dello Stagirita. A differenza di altri scrittori, che si rifanno al suo pensiero attraverso la mediazione del medio e neoplatonismo o di compendi, in quest’opera l’autore riporta di volta in volta i testi di Aristotele che passa poi a commentare.
La Confutazione è stata trasmessa nel corpus delle opere del martire Giustino, poiché probabilmente fu ritenuta frutto delle lezioni tenute dal grande apologista di Flavia Neapolis, che aveva stabilito a Roma la sua scuola di filosofia cristiana. A partire dal 1700 la sua attribuzione a Giustino fu messa in discussione e il lungo dibattitto non ha trovato ancora oggi una soluzione definitiva. Certamente ascrivendo l’opera nel registro della pseudoepigrafia, si richiama quel fenomeno per cui all’autorità e alla fama di un grande autore venivano attribuite diverse opere.
Così è accaduto anche per Giustino, per il quale, come fa notare Maria Grazia Crepaldi, le opere considerate spurie o dubbie si contraddistinguono in gran parte per il comune procedere per «questioni e soluzioni oppure (come nel caso della Confutatio) per argomentazioni razionali del tipo dialettico confutatorio» (p. 9). Ed è forse questa impostazione filosofica a far considerare plausibile la loro attribuzione all’Apologista. Lo stesso Giustino, inoltre, nella Seconda Apologia 3 dà notizia di dibattiti avuti con filosofi.
È stata avanzata anche l’ipotesi di una possibile identificazione di personaggi diversi con lo stesso nome “Giustino”. Benché non sia inusuale un’eventuale confusione tra due autori omonimi – basti pensare alla questione giovannea o a quella di Ippolito romano – sembra però troppo forte il parere di Crepaldi di attribuire agli studiosi antichi come causa di ciò uno «scarso criterio critico» e l’essere «in genere piuttosto disponibili ad accogliere le opinioni comuni circa la paternità dei testi, senza darsi troppa pena di accettarne la fondatezza» (p. 9). A tal riguardo, invece, proprio la scuola filologica di Alessandria circa i poemi omerici, o i dubbi degli autori dei primi secoli sui testi da attribuire agli scrittori sacri e da ritenere “canonici” e l’attenzione dei commentatori ai problemi esegetici dei libri biblici testimoniano un grande senso critico degli antichi, certamente non paragonabile alla coscienza storico-critica dei contemporanei.
Nell’introduzione, la studiosa padovana, con grande puntualità e chiarezza espone la questione sulla paternità, l’origine e la datazione dell’opera. La Confutazione fu innanzitutto considerata legata ad altri scritti spuri attribuiti a Giustino, le Quaestiones et responsiones ad orthodoxos, le Quaestiones christianorum ad gentiles, le Quaestiones gentilium ad christianos per il contenuto filosofico, e da questa tesi muovono tutte le ricerche.
Una prima ipotesi riconduce l’opera al IV secolo e all’ambiente antiocheno, forse a Diodoro di Tarso, come sostenne Adolf von Harnack; per altri invece l’attribuzione resta dubbia o irrisolvibile (Johannes Quasten). Una seconda ipotesi colloca tutte queste opere nel V secolo (Franz X. Funk), valutando le affermazioni teologiche in ambito trinitario troppo chiare per essere retrodatabili al IV secolo, periodo in cui erano appunto discusse. Come probabile autore viene indicato Teodoreto di Cirro, ipotesi avvalorata anche da alcuni dati della tradizione manoscritta, ma tuttavia non condivisa da tutti, in particolare da Prudent Maran, seguito da Johannes Carl T. Otto, editore critico della Confutazione. Maran, considerando che nella Quaestiones et responsiones ad orthodoxos vi sono espresse teorie pelagiane, colloca tutto il corpus dello Pseudo-Giustino tra la fine del IV secolo e l’inizio del V. A questo periodo e prima dell’epoca di Giustiniano (527-565) ascrive la Confutazione, attribuendola a Diodoro di Tarso. In una terza ipotesi già avanzata nel 1700 (Gottfried Lumper) si spostava la datazione al VI o addirittura agli inizi del VII e si considerava la Confutazione opera di uno scrittore che si prefiggeva di dimostrare non solo la discontinuità tra cristianesimo e aristotelismo, ma anche di mostrare l’incongruenza insita nel pensiero stesso dello Stagirita e perciò fallace.
Crepaldi presenta alla fine della disamina delle varie ipotesi un’ottima sintesi dei dati acquisiti. La Confutazione sembrerebbe dunque essere opera dello stesso autore degli altri scritti pseudo-giustinei, il quale sarebbe da considerarsi «un cristiano colto di area siriaca», inquadrabile in una cronologia ampia che va dal II secolo agli inizi del V, ipotesi maggiormente sostenuta (p. 14). A proposito della collocazione della la Confutazione tra le altre opere spurie di Giustino, Crepaldi sostiene con forza che «le profonde differenze di stile e di contenuto (in particolare, l’appoggio ad argomentazioni puramente razionali, senza il ricorso a citazioni scritturali) rispetto alle opere autentiche ne impediscono l’attribuzione a Giustino» (p. 8). Una questione forse qui non considerata e di cui bisognerebbe tener conto è quella del genere letterario: che cos’è una confutatio rispetto a un’apologia o ancor di più rispetto a un dialogus?
Forse questa ricerca non risolverebbe la questione della paternità, ma aiuterebbe a non fondarsi sull’assenza di citazioni scritturali, che non sempre costituisce un criterio efficace. Del resto si può osservare già la notevole differenza della quantità di citazioni della Scrittura tra l’Apologia e il Dialogus cum Triphone, dettate dal diverso destinatario e dal diverso genere. Oppure si possono prendere a modello i Dialogi agostiniani, in cui la poca presenza di termini specificamente cristiani non può essere compresa senza la considerazione delle regole del genere letterario e rischia di diventare un criterio per erronee considerazioni sul pensiero dell’autore.
Un nuovo approccio che la studiosa introduce per comprendere questo testo è passare dalla sola analisi di criteri stilistici e letterari a un’analisi di tipo filosofico, che muova dal confronto delle tesi discusse nell’opera con il pensiero del tardo aristotelismo, al fine di evidenziare elementi nuovi che aiutino a sciogliere le questioni di paternità, datazione e collocazione. Come dichiarato dallo stesso misterioso autore nel prologo, l’intento della Confutazione è di «fornire una beve selezione delle dottrine greche su Dio e sul creato» (p. 35). Questa ricerca è compiuta non perché il destinatario, il presbitero Paolo, impari qualcosa di nuovo, ma per mostrare come i greci non abbiano condotto la loro ricerca basandosi su una “scienza dimostrativa” (ajpodeiktikh; ejpisthvmh), come essi invece affermarono, ma «attraverso il [loro personale] congetturare» (p. 36). Lo Pseudo-Giustino vuole dunque mostrare come sia stato inesatto il modo di indagare e argomentare dei greci; la sua è soprattutto una questione di metodo, perché possa apparire quale sia il vero contenuto che si ottiene da un retto ragionare.
Egli, infatti, nello stesso prologo, aveva introdotto una distinzione tra due tipi d’insegnamento che procedono da due diverse autorità. Aveva esplicitato che la sua ricerca non mirava a fornire nuove conoscenze, poiché il suo interlocutore aveva ricevuto per mezzo dei profeti l’insegnamento sulla divinità e il creato, ossia direttamente dallo stesso Dio, autore e creatore. Questa conoscenza fondata su una tale autorità pone già di per sé in secondo piano l’altra fonte di conoscenza, che per giunta egli si appresta dimostrare errata, quando si fonda su un umano congetturare.
L’opera è struttura in 65 paragrafi che propongono un testo di Aristotele, che l’autore poi analizza. Le citazioni sono prese dalla Physica e dal De caelo dello Stagirita e delle quali la curatrice del volume offre un indice che consente facilmente di verificare quali passi aristotelici sono analizzati in ogni paragrafo della Confutazione. Nelle note, inoltre, puntualmente Crepaldi segnala le varianti al testo di Aristotele citato dallo Pseudo-Giustino che si distaccano dall’edizione critica principale dello Stagirita.
Alla fine del trattato si trova un testo con diciannove punti, che costituisce una sintesi di quanto affrontato in precedenza. Per un certo tempo esso fu separato dall’opera, ma l’editore Otto lo ha ricollocato in continuità con la Confutazione, scelta sostenuta da Crepaldi che nota la continuità stretta di contenuti (pp. 16-17).
Lo Pseudo-Giustino sviluppa le due argomentazioni principali su Dio e il creato attraverso la discussione di diverse questioni tra cui si segnalano: il modo della generazione, in cui la visione legata al mutamento naturale come processo eterno e ciclico si confronta con quella cristiana della creatio ex nihilo; la sostanzialità della materia, punto critico della dottrina fisica aristotelica; i principi e la loro enumerazione; l’eternità della materia; la soluzione aristotelica di atto e potenza alla negazione del divenire formulata dagli eleati, che si confronta con quella dello Pseudo-Giustino che introduce nella questione l’intervento di Dio (su questo punto sono da notare le osservazioni della curatrice, cf. p. 57 nota 2); la questione del primo motore immobile; i concetti di infinito, di luogo, di tempo e di moto; la concezione aristotelica di Dio, a cui l’autore della Confutazione attribuisce una concezione antropomorfa; la natura del cielo.
Bisogna indubbiamente riconoscere a Maria Grazia Crepaldi di aver fornito, con la sua traduzione e soprattutto con il suo apparato di commento, uno strumento indispensabile per la navigazione attraverso gli innumerevoli quesiti che lo Pseudo-Giustino solleva dalla sua lettura di Aristotele, onde evitare naufragi o arenamenti, in un testo della letteratura cristiana antica non certamente d’immediata e facile comprensione.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2018
(https://asprenas.it)
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