Il Commento ad Abacuc, composto tra il 389 e il 392, è dedicato a Cromazio, vescovo di Aquileia. Girolamo offre una lettura spirituale: Nabucodonosor è il diavolo e i Caldei sono i suoi seguaci, ovvero i demoni o gli eretici. Nel Commento ad Abdia, composto intorno al 396, gli Idumei che aggrediscono gli Israeliti alludono agli eretici che insidiano i credenti e li spingono ad uscire dalla Chiesa. Nei due commenti, seppure in misure diverse, Girolamo ricorre al suo repertorio esegetico consueto che combina letteratura patristica, cultura classica profana e tradizione giudaica.
INTRODUZIONE
1. DATA DI COMPOSIZIONE DEI DUE COMMENTI
Girolamo compose il commento ad Abacuc tra il 389 e il 392 durante il suo soggiorno in Oriente: a questo periodo risalgono anche i commenti a Naum, Michea, Sofonia e Aggeo. In questa stessa epoca egli si dedicò a vari altri lavori, non solo esegetici: la traduzione delle omelie di Origene sul Vangelo di Luca, la composizione di libri di erudizione quali il Liber interpretationis Hebraicorum nominum e il De situ et nominibus locorum Hebraicorum, di una biografia come la Vita Hilarionis, di opere di esegesi come le Quaestiones Hebraicae in Genesim, i Commentarioli in Psalmos e il Tractatus in Psalmos X-XVI, la revisione della traduzione latina dei Settanta dei libri agiografici, delle Cronache, dei Salmi e di Giobbe, la traduzione dall'ebraico dei profeti, sia maggiori che minori, dei Salmi, dei quattro libri dei Re e di Giobbe. Proprio quest'intensa attività di esegeta, di traduttore e di erudito aveva permesso a Girolamo l'acquisizione di un metodo efficace per affrontare lo studio e l'esame delle Scritture, soprattutto per quanto riguardava l'Antico Testamento. Infatti, se come traduttore all'inizio si era prefissato semplicemente di rivedere la versione latina tràdita sulla base del testo greco dei Settanta, in seguito si convertì all'originale ebraico e intraprese il progetto di una traduzione latina integrale direttamente da questa lingua. A tale scopo Si avvalse di uno strumento che si rivelò utile anche all'esegeta, ossia gli Hexapla di Origene.
Nel commento ad ricorso a quest'opera è ben documentato e attesta d'e geronimiano è ormai chiaramente definito: l' interpretazione del testo biblico immancabilmente da un confronto fra l'originale ebraico, la traduzione dei Settanta e spesso anche le altre versioni. Naturalmente in questa maniera si privilegia aspetto filologico su quello teologico, come è facile attendersi dall'antico discepolo del grammatico Elio Donato: peraltro Girolamo. al contrario di Origene, in tutte le sue opere è alieno da speculazioni troppo intellettualistiche e da elaborazioni filosofiche originali.
Non vi è, inoltre, alcuna traccia della polemica antiorigeniana che sarebbe cominciata solo nel 393, anzi vi sono soltanto nove accenni. e neppure troppo accesi, a interpretazioni di commentatori di cui si tace il nome: nel primo caso, a proposito della parte finale del versetto 1. 12 di Abacuc secondo i Settanta («Mi forgiò per accusare secondo la sua disciplina»), si afferma che alcuni ritengono che si parli di Cristo, il quale fu forgiato dal Padre e assunse un corpo umano per insegnare agli uomini la sua dottrina, ma Girolamo si affretta ad aggiungere che quest'ipotesi stona con i versetti precedenti e con l'intero passo; nel secondo caso, si asserisce che i versetti 2, 5-8, secondo alcuni, si riferiscono alla fine della visione e al compimento dell'aiuto di Dio; nel terzo caso, sempre nella stessa chiosa, è presentata l'opinione di chi crede che le parole del profeta («Guai a chi moltiplica per sé la roba non propria») siano rivolte ai ricchi; nel quarto caso, relativamente ai versetti 2, 9--11, si legge che molti interpretano il passo come una dimostrazione dell'incredulità degli ebrei e della fede di cui, al contrario, daranno testimonianza le genti; nel quinto caso, lo scarabeo del testo biblico è assimilato agli eretici, sulla scia di un'interpretazione letta in un libro non precisato; nel sesto caso, sempre nella stessa chiosa, è introdotta con riserva l'ipotesi di chi identifica la «pietra che urlerà dalla parete» con Cristo e lo scarabeo che parla dal legno con il ladrone che bestemmiò il Signore sulla croce; nel settimo caso, poco più in là, a proposito degli stessi versetti, il verme che parla dal legno è ricondotto da qualcuno a Sal 21, 7 («Ma io sono un verme e non un uomo»); nell'ottavo caso, si parte ancora dal testo dei Settanta, più precisamente dal versetto 3, 2a («In mezzo a due animali sarai conosciuto»), e si spiega che per alcuni significa che il Padre è compreso per mezzo del Figlio e dello Spirito e per altri i due animali fanno riferimento ai due Testamenti, il Nuovo e il Vecchio, che sono davvero esseri animati e viventi, che respirano e in mezzo ai quali il Signore è conosciuto.
Peraltro, Girolamo non specifica se lui personalmente accolga o rigetti questa chiosa. In ogni caso, è proprio Origene che, in De principiis 1, 3, 4 e nel Commento ai Romani 3, 5-5, 7, ha affermato di credere che Ab 3, 2 vada riferito a Cristo e allo Spirito Santo e che questi due, definiti animali dal profeta, esistano allo scopo di far conoscere il Padre 5, alla stessa maniera in cui, secondo l' esegesi giudaica del propiziatorio in Es 25, 17 e in Nm 7, 8-9, Dio si manifesta tra i due cherubini 6. Nel nono caso, riguardo al versetto 3, 17, il fico, la vigna e l'olivo, menzionati nel testo