Tra il IV e il VI secolo il genere gnomico e sapienziale si diffonde negli ambienti e tra gli scrittori cristiani. Il volume presenta una raccolta di sentenze di Padri della Chiesa (Basilio Magno, Isaia di Scete, Iperechio, Marco l'Eremita) risalenti a tale periodo: testi per lo più di provenienza monastica, molti dei quali inediti, che avvicinano il lettore alle tematiche specifiche dell'ascetismo cristiano e gli danno la possibilità di riflettere sulla sua vita interiore. La brevità e l'immediatezza le rendono ancora oggi un agile e utile strumento per la meditazione alla luce di quella saggezza e di quella sapienza del cuore che esse comunicano.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Dio opera in chi lo ascolta per come crede. - Marco l'Eremita
1. RICOGNIZIONI
Questo libro propone una raccolta di sentenze di Padri della Chiesa in un periodo che va tra il IV e il VI secolo, quando il genere gnomico e sapienziale si diffonde negli ambienti e tra gli scrittori cristiani. Si tratta di testi per lo più di provenienza monastica, molti dei quali inediti, che avvicinano il lettore alle tematiche specifiche dell'ascetismo cristiano e nello stesso tempo gli danno la possibilità di riflettere sulla sua vita interiore. In questo approfondimento egli è aiutato proprio dalla forma di frammento che tali materiali assumono, che ben si accosta alla sensibilità moderna h riflettendo contemporaneamente il gusto degli antichi Padri «che amavano l'insegnamento dei proverbi, molto più di quello delle ammonizioni diffuse e delle considerazioni prolisse. Piaceva senza I dubbio di più al loro tipo di memoria e al loro senso della meditazione prolungata; aveva più affinità con la rettitudine e il rigore della loro volontà» (Wilmart 3, p. 152). La brevità, la rapidità, l'immediatezza, che costituiscono le caratteristiche formali più evidenti delle raccolte di sentenze, le rendono infatti ancora oggi un agile e utile strumento per entrare subito in contatto con i contenuti e le questioni della propria esperienza spirituale luce di quella saggezza e di quella sapienza del cuore che esse esprimono e comunicano.
1.1. Le sentenze di Evagrio
Molto spesso Evagrio Politico fa ricorso nella sua produzione letteraria al genere gnomico. Egli infatti si serve di sentenze rivolgendosi e volendo fornire istruzioni ai monaci delle comunità (Sententiae ad monachos — CPG 2435.) oppure a una vergine (Ad virginem — CPG 2436) e in altre raccolte, fra di esse molto simili tanto sotto il profilo formale che sostanziale trattandosi di ammonimenti e consigli di vita espressi in modo breve ed essenziale (Esortazione ai monaci, Sentenze parenetiche, Sentenze spirituali, Altre sentenze; per lo studio di questi testi cf. il mio Evagrio, Sentenze, TP 215). Nel lessico evagriano si tratta di kephalaia e anche alcuni codici conservano questo riferimento. Per esempio il Barberinianus graecus 515 (XIII sec.) titola le Sentenze ai monaci come kephalaia diàphora psychophelé («diversi capitoli utili all'anima», cf. Sinkewicz, p. 299). Tuttavia la traduzione «capitolo» nell'accezione comune non rende conto del significato antico di «sintesi», di un «raggruppare tutto in poco», di un «ridurre all'uno» che il vocabolo ha e che nella lingua moderna potrebbe essere accostato a un «esporre per capi», a un «ricapitolare».
Un kephalaion, un capitolo, è dunque, facendo riferimento a questa etimologia, meno una parte píù breve in cui viene suddiviso qualcosa, secondo la definizione corrente, che una proposizione in forma sintetica che, separata dalle altre, chiude nel giro di poche parole un'affermazione, un concetto, un pensiero. Con questo significato viene usato nella tradizione classica. Isocrate, infatti, nell'Antidosi parla del discorso indirizzato A Nicode e afferma che, invece di servirsi di unperiodare «accordato e collegato con il resto» (15, 67; testo critico in Isocrate, Discours, Les Beiles Lettres, Paris 1950, vol. III, pp. 120-121), in esso ha separato ogni periodo e «trattandolo a sé, come si dice, per capitoli ikephalaíai» ha cercato «di esprimere in forma breve [dià brachéon] i suoi consigli» (15, 67-68). E
d Evagrio vuole che si presti attenzione anche alla grafica di questi testi, tanto che in un piccolo preambolo che introduce Trattato pratico, riportato da alcuni. codici, tra i consigli che dà ai copisti — ricordiamo che egli stesso esercitava questo mestiere (cf HL 38, 10; 201) — inserisce quello di separare i capitoli [kephgaia] andando a capo [apó ídías archesthai archés] in modo che ciò che è detto risulti più chiaro kai saphé génetai tà legómenal; cf. A. e C. Guillaumont 2, t. I, pp. 384-385; t. II, p. 496. Le caratteristiche congiunte della brevità e della sintesi e il suo essere un testo isolato da ciò che nel discorso precede e segue rendono il kephalaion molto simile a una sentenza, per cui quando in latino si fa riferimento alle raccolte di questi brevi scritti evagriani si parla, quasi si trattasse di un sinonimo, in maniera automatica di sententiae. Così fa per esempio san Gerolamo, che ricorda un libro di sentenze pubblicato da Evagrio (Epistola 133, 3 La Ctesifonte]; PL 22, 1151: edidit librum et sententias...). Ed è anche il caso di Gennadio di Marsiglia (V secolo) che alla voce Evagrius le cita espressamente, informandoci anche di averle tradotte: edidit et paucas sententiolas valle obscuras, et, ut ipse in his ait, solis monachorum cordibus cognoscibiles: quas similiter ego Latinas edili (De scriptoribus ecclesiasticis 11; PL 58, 1067). Passando a tempi più recenti, nella Notitia tratta dalle Institutiones Patrologiae di J. Fesslerl, che Migne premette all'edizione delle opere di Evagrio-Nilo, questa identificazione viene nuovamente ripresa e confermata laddove egli riferisce di cinque collezioni Sententiarum [gnómai] seu Capitolo-rum [kephalaia], quae S. Nilo ascribuntur.