Sotto il titolo di Sentenze si raccoglie, serie completa, inedita, dei testi gnomici di Evagrio che nell'offrire consigli utili alla vita cenobitica, colmano un vuoto relativo alla conoscenza diretta dell'opera e del suo pensiero ascetico. Gli otto spiriti della malvagità è un'opera molto nota, per la prima volta edita nella sua forma più estesa. Evagrio affronta il discorso dei vizi e delle passioni situandole all'interno di un percorso di affrancamento del monaco.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
GLI OPERA GNOMICA
Evagrio, nato ad Ibora nel Ponto verso il 345, aveva seguito a Costantinopoli, in occasione della sua nomina a vescovo (380), Gregorio di Nazianzo che l'aveva ordinato diacono. Successivamente, in seguito al ritiro del Padre cappadoce (381) per le controversie sorte sulla legittimità del suo insediamento, dopo essersi trattenuto nella città, si era trasferito a Gerusalemme e qui su consiglio di Melania maggiore, fondatrice sul Monte Oliveto di due monasteri, uno maschile e uno femminile, e di un ospizio per pellegrini, nel 383 si era recato nel deserto egiziano per dedicarsi alla vita monastica prima a Nitria e poi alle Celle (385) dove sarebbe morto nel 399.
Di questa esperienza di monaco nel deserto Evagrio ci ha lasciato testi capitali come il Trattato pratico (Practicus, CPG 243W, che descrive il percorso che deve fare l'asceta per vincere le passioni e giungere alla beatitudine della contemplazione di Dio; le Ragioni delle osservanze monastiche (Rerum monachalium rationes, CPG 2441), sui requisiti imprescindibili e fondamentali della vita monastica; il trattato Al monaco Eulogio (Tractatus ad Eulogium, CPG 2447), che affronta il tema della confessione dei pensieri e fornisce contemporaneamente diversi consigli di vita, riprendendo in esso uno stile quello apoftegmatico (cf. Ed. capp. 4, 7, 19, 24, 25, 2 7), che contraddistingue molte opere di Evagrio. Infatti già nel Trattato pratico (Practic. capp. 91-100), con l'intestazione Detti di santi monaci , e nel libro su La preghiera (De or. nn. 106-109 e 111-112) egli aveva inserito un discreto numero di detti e di massime per illustrare e dare risalto al suo insegnamento. Seguendo la traccia di questa particolare produzione letteraria e allo scopo approfondirla; nella prima parte di questo lavoro, sotto il titolo redazionale di Sentenze si raccoglie la serie completa dei testi gnomici del monaco pontico. Per buona parte si tratta di material i finora inediti perché affidati a tradizioni manoscritte per lo più sconosciute ai compilatori della Patrologia graeca e ricostruite in tempi decisamente più recenti.
La loro edizione, che qui si propone insieme ad un aggiornato studio critico, viene a colmare un vuoto relativo alla conoscenza diretta dell'opera e del pensiero ascetico di questo importante Padre del deserto. In queste sentenze infatti è possibile ritrovare disseminati, in ragione della sua predilezione per il frammento — ma proprio tramite questo resi più efficaci e incisivi —, molti temi della riflessione evagriana che a loro volta riprendono le istanze spirituali e religiose del monachesimo del deserto egiziano, alla cui vita e al cui sviluppo Evagrio ha dato un impulso notevole tanto che la critica recente ha potuto definirlo «il primo teorico del monachesimo» (Regnault, p. 92).
Lo storico Gennadio di Marsiglia, vissuto nel V secolo, elenca tra le opere di Evagrio alcune collezioni di sentenze — un gruppo di cento «per gli anacoreti», un gruppo di cinquanta «per gli eruditi e gli studiosi», che lui stesso dichiara di aver tradotto — e ancora altre «sentenze veramente oscure la cui comprensione... è possibile solo al cuore dei monaci» (Edidit et paucas sententiolas valde obscuras... solis cordibus monachorum cognoscibiles: Gennadio, De scriptoribus ecclesíasticis, 11; PL 58, 1067). Egli raccoglie così il mito della oscurità degli scritti e dello stile di Evagrio, assimilabile alla difficoltà di un altro pensatore "oscuro" per definizione che è Eraclito (cf. Diogene Laerzio, Víte dei filosofi, /X, 6, 16; Aristotele, Retorica, 3, 5, 1407b 11) e ci mette per altro verso in contatto con la tradizione classica anche per il riferimento alla produzione di sentenze del monaco egiziano.
Il genere gnomico infatti appartiene in maniera precipua alla storia della filosofia e della letteratura greca antica e sin dalle origini si era consolidato attraverso le raccolte di detti di Esiodo, Solone e Teognide fino a innervarsi nell'opera del citato Eraclito e negli Aforismi di Ippocrate. Lo stesso genere facilmente passa nella cultura cristiana; i nostri padri — scrive doli Wilmart — amavano l'insegnamento dei proverbi, molto più di quello delle ammonizioni diffuse e delle considerazioni prolisse. Piaceva senza dubbio di più al loro tipo di memoria e al loro senso della meditazione prolungata; aveva più affinità con la rettitudine e rigore della loro volontà» (Wilmart,p. 152). In questo senso le sentenze di Evagrio si pongono all'interno di una produzione sentenziosa e aforistica che trova un riscontro fin nei titoli che nella tradizione manoscritta vengono attribuiti a queste collezioni (Proverbia ad instructionem morum; Regula ad bene vivendum; cf. Leclercq, pp. 196, 198) e che si inserisce in un genere già ben definito e strutturato, comprendente il Discorso sull'ascesi di san Basilio (cf. PG 31, 648-652) e l'antica traduzione latina di questo Discorso risalente al V-VI secolo, che si presenta con meno manipolazioni del testo greco che ci è pervenuto - i Monita dell'abate Porcario - e giunge fino alla Regula Benedicti, il cui quarto capitolo contiene una serie di brevi precetti - gli Instrumenta bonorum operum — che san Benedetto riprende da una tradizione gnomologica già da lungo tempo acquisita e consolidata (cf. Wilmart, p. 152)