In questo consistente volume, Giuseppe Di Corrado, presbitero della diocesi di Ragusa, ha pubblicato la sua tesi di dottorato difesa presso l’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. Il lavoro si inserisce all’interno della riflessione teologica, di ampio respiro ecumenico, iniziata a partire dal 1995 sotto la spinta coraggiosa e lungimirante di Giovanni Paolo II che, nell’enciclica Ut unum sint, chiedeva ai vescovi e ai teologi della Chiesa cattolica, ma anche di altre comunità ecclesiali, di essere aiutato a «trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione» (n. 95), si aprisse a nuove situazioni. Così il papa lanciava l’idea, audace e innovativa, di un ripensamento del ruolo del papato e della sua missione, attraverso un dialogo fraterno, paziente e costruttivo, per una comune, nuova modalità di attuazione di quello che è tuttora considerato l’ostacolo più grande alla via dell’unità, cioè l’esercizio del ministero petrino. L’appello di Giovanni Paolo II fu accolto favorevolmente dai cattolici, ma anche dai cristiani non cattolici e avviò una serie di proposte e di iniziative che, pur non avendo ancora sciolto il nodo, tuttavia hanno dato un grande contributo per una nuova comprensione e attuazione del primato petrino.
Il saggio di Giuseppe Di Corrado s’inserisce tra le numerose e interessanti pubblicazioni prodotte dalla ricerca e offre un valido contributo riguardo al pensiero di Agostino e di tutto l’episcopato africano, di cui il vescovo di Ippona fu il rappresentante più illustre, circa il ruolo di Pietro e dei suoi successori. L’autore, pur non riscontrando negli scritti agostiniani una trattazione sistematica sull’apostolo Pietro, tuttavia fa notare che non mancano abbondanti riferimenti sparsi un po’ ovunque. Agostino, infatti, ripetutamente, nei suoi scritti parla di Pietro, soffermandosi sui limiti umani, sulla santità della sua persona e meditando sulla dottrina, che traspare dalle lettere a lui attribuite. Questi numerosi riferimenti sono, però, discontinui e circoscritti, fatti in momenti diversi, corrispondenti alle varie fasi della sua vita e riflettono «il perenne atteggiamento di ricerca di Agostino, che lo portava spesso a rivedere molte delle sue idee, sia per un approfondimento teologico, che per adattarle alla capacità dei diversi destinatari» (p. 475).
Forse, proprio a causa della frammentarietà della trattazione e della difficoltà di pervenire a una sintesi sistematica sull’argomento, molti studiosi hanno dedicato poca attenzione a questo tema, sostenendo, in modo superficiale, che il pensiero di Agostino sul primato petrino fosse troppo confuso e disorganico. Ed è proprio in quest’ambito di ricerca, ancora poco esplorato, che Di Corrado, attraverso un appassionante e attento studio critico sui vari riferimenti a Pietro e ai suoi successori, presenti nelle diverse opere agostiniane, fa emergere, nel suo saggio, in modo reale e uniforme, l’autentico pensiero di Agostino circa il ruolo di Pietro e dei suoi successori.
La specificità e la novità del lavoro consiste nell’aver analizzato in modo sistematico il pensiero di Agostino e, di conseguenza, dell’episcopato africano, mettendo in relazione i linguaggi apparentemente variegati utilizzati dal vescovo di Ippona, contestualizzandoli nelle singole problematiche affrontate nelle sue opere e facendo così emergere la sua inequivocabile unità di pensiero riguardo a Pietro e ai suoi successori. Il lavoro di Giuseppe Di Corrado, raccogliendo in un unico volume tutti i riferimenti di Agostino su Pietro, viene a colmare una lacuna all’interno degli scritti agostiniani e mette a disposizione degli studiosi un testo di riferimento valido e sicuro. Inoltre, il saggio, ricco di preziose indicazioni, richiami e stimolazioni offre un solido e prezioso contributo per la comprensione del primato petrino tra il IV e V secolo.
Lo stile è scorrevole e piano, ma anche coinvolgente e intrigante. Il linguaggio è chiaro e, pur essendo la trattazione alquanto impegnativa, risulta di gradevole lettura.
Il testo si presenta strutturato in quattro ampi capitoli. Nel primo (pp. 29-144) l’autore si sofferma ampiamente sull’esegesi agostiniana circa il primato petrino, in particolare sulla pericope di Mt 16,18-19, facendo rilevare la variabilità delle interpretazioni date da Agostino al testo. La pietra, cui Cristo allude nel Vangelo di Matteo, prima è identificata con l’apostolo Pietro, poi con Cristo stesso, ma anche con la chiesa, rappresentata da Pietro e con la fede stessa di Pietro. Lo studio diacronico degli scritti agostiniani presenta un risultato alquanto variegato, che risente delle due fasi della vita di Agostino: quella prima dell’episcopato, tra la fine del IV secolo e i primi anni del V, e quella successiva, dai primi anni del V secolo sino alla fine della sua vita. Lo stesso Agostino, poi, confermerà queste posizioni nelle sue Retractationes, in cui non disconosce le diverse interpretazioni del brano evangelico sul primato, ma lascia inaspettatamente al lettore la libertà di scegliere l’interpretazione più consona. Per comprendere la disomogeneità dell’interpretazione del testo matteano Di Corrado confronta l’esegesi agostiniana con altri autori del IV secolo e scopre che Agostino si è inserito in una tradizione di pensiero precedente, provando che anche Ambrogio e Girolamo avevano fatto confluire nel simbolo della pietra gli stessi variabili significati. Da quest’analisi l’autore perviene alla seguente conclusione: «Osservando nella loro globalità i testi agostiniani e confrontati con quelli di altri autori, penso che Ambrogio e Girolamo potrebbero aver costituito l’origine della libertà interiore di Agostino nello specifico approfondimento e nell’attribuzione di significati diversi all’immagine matteana della pietra» (pp. 143-144).
Il secondo capitolo (pp. 145-334) è di natura filologico-linguistica. L’autore presenta il linguaggio utilizzato da Agostino per indicare il ruolo di Pietro come vescovo di Roma e pastore della chiesa universale. Il repertorio lessicale è molto ampio e Di Corrado lo esamina con ordine, raccogliendo prima i testi che si riferiscono alla persona di Pietro, che definisce: Primus apostolorum, Primatus apostolatus, Pastor ecclesiae, Totius ecclesiae figuram gerens; poi si sofferma ad analizzare le diverse espressioni che si riferiscono alla Chiesa di Roma, definita: Cathedra Petri, Cathedra unitatis, Principatus apostolicae cathedrae, Sedes Petri, Sedes apostolica, Sancta Sedes. Dall’analisi attenta di questi titoli, “visitati” anche sotto l’aspetto storico-letterario, l’autore afferma che Agostino non solo riconosce a Pietro un primato tra gli apostoli, ma, in virtù di tale primato, egli continua ad avere un ruolo di preminenza anche nella chiesa universale. Per Agostino, Pietro è segno visibile e garante dell’unità della chiesa. L’Ipponense sollecita tutti a prestare sempre il massimo assenso alle sentenze della Sedes Apostolica, poiché in essa confluisce l’auctoritas di Pietro, di cui il successore esprime il pensiero in maniera fedele e autorevole (cf. p. 332).
Particolarmente interessante è il terzo capitolo, nel quale l’autore giunge a conclusioni innovative (pp. 335-424), analizzando gli scambi epistolari che Agostino ebbe, sia collegialmente con gli altri vescovi africani, sia personalmente con il vescovo di Roma. I papi che si avvicendarono sotto l’episcopato di Agostino furono in tutto sei. Il capitolo analizza i diversi linguaggi utilizzati nelle varie lettere, cogliendo in essi i diversi modi con cui Agostino e i vescovi africani approfondivano il senso dell’auctoritas del vescovo di Roma sotto l’aspetto prevalentemente dottrinale e spirituale.
Nel 416 l’episcopato africano si appellava a Roma per sollecitare un intervento autorevole riguardo alla condanna della dottrina pelagiana. L’appello era motivato e poggiava sulla forte convinzione dell’auctoritas della Sede Apostolica, in particolare sotto l’aspetto teologico e spirituale e per questo posta più in alto rispetto alle altre sedi episcopali. L’atteggiamento deferente e di sottomissione filiale, assunto dai vescovi africani verso Roma e la pronta accoglienza del pontefice alle loro richieste rappresenta, ed è la chiara testimonianza, del pensiero dei vescovi africani e di Agostino in particolare sul ruolo della Sede Apostolica nelle questioni dottrinali. L’autore, inoltre, si sofferma a considerare anche episodi che avrebbero potuto incrinare l’armonia tra l’episcopato africano e la Sede Apostolica e mettere in discussione l’auctoritas del vescovo di Roma, come, ad esempio, nel caso di papa Zosimo, che ebbe un atteggiamento critico nei confronti dei vescovi africani e delle loro decisioni. Di Corrado ci pone di fronte a uno spaccato quanto mai realistico della vita della Chiesa africana e di quella di Roma nei primi decenni del V secolo. Alla Sede Apostolica i vescovi africani riconoscono, senza alcuna discussione, il giudizio di ultimo appello non solo su questioni dottrinali, ma anche su quelle disciplinari, almeno su quelle riguardanti i vescovi (cf. p. 11). Nel quarto capitolo (pp. 425-474) l’orizzonte della ricerca si allarga ai concili episcopali nella Chiesa africana e alla loro relazione con la Sede Apostolica. Dall’analisi dei testi l’autore fa emergere una chiara e inequivocabile gerarchia dell’auctoritas nella Chiesa africana. Al primo posto emerge l’auctoritas piena della Sede Apostolica, seguono, poi, i concili plenari e provinciali, con autorità differente. Ai primi, Agostino riconosceva un’autorità piena (saluberrima auctoritas); ai secondi, un’autorità limitata ai singoli territori. Da queste osservazioni l’autore, con sicura e indubbia convinzione, afferma che tra l’auctoritas della Sede Apostolica e dei concili non vi era affatto opposizione, piuttosto un rapporto di mutua relazione.
Così Giuseppe Di Corrado respinge le affermazioni di alcuni storici che sostengono un’autonomia della Chiesa africana nei confronti di Roma. Per Agostino e i vescovi africani, la Sede Apostolica è centro e garanzia di unità della chiesa, non per motivi politici o di onore, ma per disposizione divina.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2013
(http://www.pftim.it)
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