Dio come Spirito e le scienze della natura. In dialogo con Wolfhart Pannenberg
(Scienze e fede)EAN 9788831135030
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 14
(http://www.ilregno.it)
L’agile volume curato da S. Rondinara documenta l’interessante progetto di ricerca avviato presso la Pontificia Università Lateranense di Roma e denominato Scienza e fede sull’interpretazione del reale (SEFIR). Il libro, infatti, raccoglie gli Atti di una giornata di studio svoltasi a Roma il 6 dicembre 2001 e alla quale è intervenuto W. Pannenberg, teologo evangelico di Monaco di Baviera tra i più noti e apprezzati sulla scena internazionale. Al cuore della pubblicazione troviamo il testo della relazione che Pannenberg ha pronunciato per l’occasione e che si intitola: Dio come spirito e le scienze della natura (pp. 63-78). A questo contributo il curatore ha poi fatto precedere un secondo intervento di Pannenberg (Teologia della creazione, già pubblicato nel 2003, pp. 45-62) e due saggi introduttivi firmati da G.L. Brena (Teologia della creazione e cosmologia. La proposta di Wolfhart Pannenberg, pp. 25-43) e dallo stesso S. Rondinara (Teologia e scienze della natura in W. Pannenberg, pp. 9-24); in chiusura del volume, infine, si può trovare la trascrizione del dibattito seminariale, moderato dai proff. G. Cicchese e P. Coda (pp. 79-117).
Grazie a questa impostazione ragionata e puntuale, anche il lettore meno informato può addentrarsi nella trama delle considerazioni che Pannenberg disegna con maestria, nel tentativo di affrontare in modo rigoroso un tema affascinante ma certamente complesso come quello del rapporto tra filosofia, teologia e scienze della natura. Limitandoci a segnalare i principali passaggi dei due contributi di Pannenberg, possiamo sottolineare i seguenti aspetti di maggiore rilievo.
Innanzi tutto, l’idea che la dottrina teologica della creazione, nel suo tentativo di pensare il mondo come creato dal Dio della Bibbia, non può misconoscere le attuali conoscenze offerte dalla scienza. Infatti, senza perdere di vista la diversità dei livelli entro i quali si collocano l’interpretazione teologica e la descrizione scientifica del mondo, riconoscere come «creazione di Dio» un mondo che non ha nulla in comune con il mondo comunemente sperimentato e conosciuto significherebbe pronunciare una formula vuota (pp. 49-50).
In secondo luogo, però, Pannenberg precisa che il terreno sul quale si deve condurre il dialogo tra teologi e scienziati non può che essere quello della «riflessione filosofica sui termini scientifici e sulle teorie e dottrine religiose» (p. 63). Scienza e teologia, infatti, si possono incontrare a questo livello proprio perché molti dei loro discorsi esibiscono gradi di riflessione filosoficamente costruita. Concetti, per esempio, come quelli di causalità, di legge e di contingenza sono indispensabili per discutere dell’azione di Dio nel mondo che è sua creazione. Analogamente, «la presenza del Dio trascendente nel mondo da lui creato non può non essere considerata in rapporto ai concetti di spazio e tempo» (p. 63); concetti che – come oggi tutti riconoscono – trascendono quanto può essere determinato servendosi esclusivamente della conoscenza empirica (p. 51).
Per illustrare al meglio la portata di queste ultime affermazioni, si consideri il problema del rapporto di Dio con lo spazio e il tempo, questione che Pannenberg affronta nello svolgimento della sua tesi sulla possibilità di parlare di Dio come spirito utilizzando il concetto di «campo di forza» della fisica moderna. Il nostro autore, in proposito, ricorda la celebre controversia tra Leibniz e S. Clarke, che aveva per argomento la relazione tra lo spazio e l’onnipresenza di Dio alle sue creature. Contro Leibniz, che sosteneva l’impossibilità di concepire lo spazio come un attributo di Dio – affermazione che, a suo giudizio, comportava di pensare Dio come composto da parti e quindi divisibile in parti – Clarke, a nome dell’amico I. Newton, rispose che lo spazio geometrico divisibile in parti presuppone uno spazio indiviso e infinito, perché ogni atto di composizione o divisione può avvenire solamente in forza di uno spazio previo entro il quale la divisione o la composizione hanno luogo. In questo modo Clarke poteva asserire che questo spazio infinito e indiviso è identico all’immensità di Dio (p. 71). La conseguenza di questo argomento, che Pannenberg ricostruisce anche nella versione offerta da I. Kant, è che la definizione dei concetti di spazio e tempo non può essere una prerogativa esclusiva del fisico e del matematico. Le misurazioni dello spazio e del tempo operate da costoro, infatti, avvengono all’interno di una «concezione intuitivamente presente dello spazio e del tempo che non è costituita né esaurita dalle loro misurazioni» (p. 73). In questa linea, allora, Pannenberg può concludere così la sua argomentazione: «L’immensità e l’eternità di Dio precedono la realtà finita del mondo della creazione che è oggetto di costruzione geometrica e di misurazione matematica. Tuttavia lo spazio infinito dell’immensità di Dio e la totalità infinita della presenza simultanea che è l’eternità di Dio sono implicati e presupposti nelle nostre concezioni umane e nelle nostre misurazioni dello spazio e del tempo. Così, l’eternità di Dio è diversa dal tempo delle sue creature ma di esso è costitutiva, e la sua immensità è costitutiva dello spazio delle sue creature» (p. 72).
Ora, tornando al concetto di «campo», che permette di pensare l’energia dei corpi non come un loro attributo, ma come una realtà a sé stante, indipendente da essi e che li trascende pur manifestandosi in essi, Pannenberg ricorda come lo spazio-tempo sono gli unici requisiti di base del concetto di campo. Di conseguenza, se tutte le descrizioni geometriche del tempo e dello spazio dipendono dalla concezione preesistente del tempo e dello spazio come totalità infinita e indivisa, l’immensità e l’eternità di Dio, allora questa totalità infinita e indivisa si può descrivere anche come campo infinito, il «campo dello spirito di Dio che costituisce tutti i campi finiti che vengono indagati e descritti dai fisici, compreso lo spazio-tempo della teoria della relatività». Una conclusione – quest’ultima – che oltre a rendere «intelligibile come lo Spirito divino operi nella sua creazione attraverso la realtà creata dei campi e delle forze della natura», fornisce la chiave indispensabile «per giungere a una comprensione del rapporto fondamentale di Dio con il mondo della natura» (p. 74).
Al termine di questa scheda di presentazione, speriamo di essere riusciti a offrire al lettore un assaggio del «molto» che rimane ancora da scoprire e da gustare; un assaggio che, per quanto parziale e limitato, contribuisca tuttavia a incuriosirlo, motivandolo a servirsi di questo volume per introdursi a un pensiero difficile ma suggestivo come pochi altri. Pannenberg merita senz’altro questo sforzo.
Tratto dalla rivista "CredereOggi" n. 1 del 2010
(http://www.credereoggi.it)
Il presente volume riporta gli atti del Seminario di studi svoltosi a Roma il 6 dicembre 2001, presso la Pontificia Università Lateranense, sede di Sefir, con il professor Wolfhart Pannenberg, docente emerito di Teologia sistematica e Teologia ecumenica nella Facoltà di Teologia evangelica dell’Università di Monaco di Baviera, noto per la sua apprezzata opera teologica e per essere originalmente entrato in dialogo con autorevoli membri della comunità scientifica internazionale formulando loro delle domande teologiche. Il testo riporta la relazione di Pannenberg e la trascrizione del dibattito seminariale, il tutto anticipato da alcuni saggi: Teologia e scienza in W. Pannenberg e Teologia della creazione e cosmologia, con l’intento di introdurre il lettore al pensiero e alle opere del teologo tedesco, favorendone così una più efficace comprensione. Intento del professore è di mostrare come la cosmologia attuale e la teoria evolutiva delle specie possono essere interpretate in modo convergente con la visione biblica e cristiana del mondo.
È per questo che sono esplicitati i vari aspetti dei testi biblici che suggeriscono un’interpretazione evolutiva, dato che questi aspetti non sono stati sviluppati dalla tradizione cristiana, che in questo è stata prevalentemente influenzata dalla mentalità greca. Anche ripercorrendo la tradizione patristica e teologica, Pannenberg valorizza diversi spunti che essa offre per un’interpretazione evolutiva ed escatologica della realtà. In questa prospettiva, egli esplicita delle implicazioni anche empiricamente rilevanti della teologia della creazione che invitano a confrontarsi con i risultati delle scienze attuali. Da quest’opera ci giunge una lezione che pone una soglia di non ritorno alla teologia contemporanea. Una teologia che non sappia farsi carico di un dialogo serio e rischioso al tempo stesso con la ragione moderna e postmoderna, con le scienze naturali e con le scienze umane, è una teologia che risulterà infedele a se stessa. In questo senso, la soglia di non ritorno è segno di un’opera pioneristica, che va molto al di là dei risultati concreti su questo o quel punto, sui quali i filosofi, i teologi e gli scienziati possono discutere. Ma la questione rimane essenzialmente epistemica e riguarda lo statuto della teologia che ripensa se stessa e tenta nuove strade per realizzare ciò che deve essere nell’oggi.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 4/2009
(http://www.pftim.it)
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