Il logos e il nulla. Trinità, religioni, mistica
(Teologia)EAN 9788831133463
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DETTAGLI DI «Il logos e il nulla. Trinità, religioni, mistica»
Tipo
Libro
Titolo
Il logos e il nulla. Trinità, religioni, mistica
Autore
Coda Piero
Editore
Città Nuova
EAN
9788831133463
Pagine
560
Data
gennaio 2003
Peso
694 grammi
Dimensioni
14 x 21 cm
Collana
Teologia
COMMENTI DEI LETTORI A «Il logos e il nulla. Trinità, religioni, mistica»
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Recensione di Valerio Bortolin della rivista Studia Patavina
Il poderoso volume di Coda, i cui capitoli sono costituiti da saggi in parte inediti e in parte già pubblicati in altre occasioni, ma profondamente rielaborati per poter essere collocati all’interno di un percorso coerente ed unitario, affronta una questione che oramai è diventata centrale per la riflessione teologica contemporanea: il rapporto tra la fede cristiana e l’esperienza religiosa dell’umanità così come si è condensata all’interno delle grandi religioni mondiali. Si tratta di una questione che non riguarda più un singolo e, tutto sommato, marginale trattato: la teologia delle religioni, e nemmeno più uno specifico e particolare problema: la possibilità della salvezza per i non cristiani, ma che pone il problema cruciale del senso e del valore universale del cristianesimo di fronte alla presa di coscienza della realtà del pluralismo religioso.
Tale questione diventa oggi sempre più urgente dal momento che l’incontro tra le religioni, nel contesto di un mondo globalizzato, sembra dar luogo a due fenomeni inquietanti, di segno opposto, ma per un certo verso speculari l’uno all’altro: il fenomeno del fondamentalismo e quello del relativismo. Il primo risolve l’incontro tra le religioni in una lotta per l’affermazione e la supremazia di una religione sulle altre; il secondo, assumendo un atteggiamento di in-differenza n verso tutte le religioni, relega le diversità religiose nell’ambito delle diversità culturali, interessanti dal punto di vista storico, ma prive in sé di valore veritativo.
Si deve inoltre tener presente che, di fatto, esiste una cultura che si sta affermando a livello mondiale, una cultura che sembra davvero possedere un carattere di verità e di universalità: la cultura scientifico-tecnologica. Di fronte alla sua persuasiva efficacia le diverse tradizioni religiose appaiono come residui di mondi che stanno oramai definitivamente tramontando e che, in ogni caso, hanno puramente la funzione di soddisfare i bisogni psicologici dei soggetti più deboli e labili. Di fronte alla sua inarrestabile avanzata le grandi e le piccole tradizioni religiose rischiano di venire definitivamente schiacciate. Basti pensare a quanto sta avvenendo non solo nell’Occidente secolarizzato, ma anche in grandi paesi dell’Oriente come il Giappone e la Cina, nei quali la vertiginosa modernizzazione economica sta relegando sempre più ai margini della società la loro ricca tradizione religiosa. Il rischio di una radicale marginalizzazione e svalutazione dell’esperienza religiosa, che sembra toccare da vicino tutte le religioni, rende ancora più urgente il loro incontro e rende ancora più significativi i tentativi, come quelli del presente volume, che vengono compiuti in tale direzione.
Il suggestivo titolo indica chiaramente l’intuizione di fondo che sta alla base del volume e illumina il senso del suo percorso. Se il termine “Logos” sta ad indicare il rivelarsi del mistero di Dio nella Parola ed esprime pertanto il nascere della religione “dall’alto”, il termine “Nulla” dice invece l’approdo ultimo della ricerca di Dio compiuto dall’uomo stesso, definisce la religione nel suo nascere “dal basso” come espressione del desiderio religioso dell’umanità. La “rivelazione” e la “mistica” sembrano essere pertanto le due parola capaci di offrirci una comprensione unitaria del fenomeno religioso al di là della varietà e molteplicità delle sue espressioni empiriche esteriori. Si potrebbe pensare che in questo modo Coda, secondo uno schema abbastanza consueto, voglia distinguere le religioni “occidentali”, le religioni storiche, basate su una rivelazione nella quale Dio chiama l’uomo ad una relazione personale (ebraismo, cristianesimo ed islamismo), dalle “religioni orientali”, le religioni cosmiche, che intendono condurre l’uomo al superamento dei limiti della sua individualità per inabissarsi nel mare del Nulla, per diventare uno con l’Uno. L’A. in realtà percorre una pista diversa. La rivelazione e la mistica vengono viste, sia ponendosi in ascolto dei risultati delle scienze della religione, sia a partire da una punto di vista genuinamente teologico, come due momenti costitutivi dell’esperienza religiosa, che ne designano insieme l’inizio e la meta, due momenti chiamati idealmente ad incontrarsi e a completarsi reciprocamente. Il filo rosso che permette di cogliere l’unità del percorso complesso che viene compiuto attraverso i territori più vari delle scienze della religione e della teologia è dato appunto dall’interesse sia per la rivelazione che per la mistica e dal desiderio di mostrare la possibilità di un loro reciproco incontro. Naturalmente la prospettiva ermeneutica che presiede a tutto il cammino è di tipo teologico, anche là dove ci si confronta con grande serietà sia con le scienze della religione che con la filosofia. È l’evento rivelativo di Gesù Cristo che fornisce la chiave di comprensione dell’esperienza mistica e religiosa dell’umanità e che ne permette un autentico apprezzamento.
Alla luce di queste considerazioni diventa chiara la struttura di fondo del volume. Nella prima parte si prende le mosse da una riflessione sulla rivelazione in rapporto alla religione come universale esperienza umana. La terza parte è dedicata alla questione della mistica, esaminata sia sotto il profilo storico che teoretico. Nella seconda parte, quella propriamente teologica, viene tematizzato l’evento di Gesù Cristo e l’esperienza del Dio Trinità nel contesto del pluralismo religioso contemporaneo come chiave di lettura dell’intero percorso, che illumina quanto precede e quanto segue, ma che viene anche da essi sollecitata e stimolata. È nella seconda parte dunque che vengono approfondite quelle riflessioni teologiche che guidano il confronto con la mistica e le religioni, ed in questo senso, come dice l’A., questa seconda parte “rappresenta lo snodo dell’intero percorso” (p. 10). Ciò non toglie tuttavia che, almeno per chi scrive questa nota, le riflessioni maggiormente interessanti e stimolanti, quelle che offrono degli spunti nuovi e originali, si trovino piuttosto nella prima e nella terza parte, quelle maggiormente dedicate al confronto e al dialogo.
La prima parte comincia con una vasta ed aggiornata sintesi delle acquisizioni più originali nei campi della storia, della fenomenologia e della filosofia della religione. L’obiettivo ultimo è quello di giungere ad “un’ermeneutica del significato teologico del pluralismo delle religioni nella luce dell’evento cristologico, compreso in prospettiva trinitaria” (p. 13). La domanda di fondo che ci si pone è quale sia, dal punto di vista cristiano, il significato del pluralismo religioso nel contesto del piano salvifico di Dio. La risposta a tale domanda non può in alcun modo, per Coda, portare ad una relativizzazione dell’evento di Gesù Cristo nella concretezza della sua realtà storica, come se la sua rivelazione fosse solo “una, anche se la più alta e definitiva, tra le molte rivelazioni dell’unico Logos” (p. 65), e ad un disconoscimento della necessità della sua azione salvifica universale, ma non può nemmeno indurre ad un deprezzamento e ad una svalutazione della varietà e della ricchezza delle forme religiose, in nome di una unità astratta ed artificiosa. La via mediana proposta dall’A. sottolinea come ciò che caratterizza l’identità cristiana non sia “la riconduzione a sé d’ogni alterità”, ma, al contrario, “la comprensione del rispetto, anzi, della fondazione dell’alterità” (p. 42). Nell’evento di Gesù Cristo infatti, e in maniera particolare nella sua morte in croce, si manifesta “il paradosso del raggiungimento della piena e gratuita identità con sé attraverso la libera espropriazione di sé” (p. 42). Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, il Verbo incarnato, proprio perché fa dono della sua vita all’umanità fino al punto dell’abbandono e della solitudine suprema che egli sperimenta sulla croce. E, d’altra parte, il mistero cristologico diventa comprensibile alla luce del mistero trinitario, del mistero di un Dio la cui identità è data dalla relazione con un’alterità che è interna e costitutiva dello stesso Dio. Nella Trinità il Padre è se stesso, è Padre, nel suo essere per il Figlio, nel suo fare dono di sé al Figlio. Allo stesso modo, il Figlio è Figlio nel suo accettarsi donato dal Padre e nel suo fare dono di sé al Padre. E lo Spirito Santo manifesta appunto l’essere relazione, l’essere dono che costituisce l’essere stesso di Dio. Il dono incondizionato di sé all’umanità che Dio realizza nell’incarnazione e nella morte e risurrezione di Gesù trova pertanto il suo fondamento nell’ontologia trinitaria, nella struttura agapica che caratterizza l’essere di Dio.
È a partire da tale prospettiva cristologico-trinitaria, a lungo sviluppata nei capitoli della seconda parte, che diventa possibile pensare in maniera positiva, secondo un’ottica autenticamente teologica l’alterità delle religioni rispetto al cristianesimo. Nelle religioni, infatti, è possibile cogliere, dal punto di vista cristiano, l’attiva presenza del Mistero di Dio che le ha suscitate in ordine alla realizzazione del suo universale disegno rivelativo e salvifico. Anch’esse pertanto appartengono al disegno imperscrutabile del Padre, appartengono all’evento della rivelazione. E tuttavia sono inserite nell’evento della rivelazione proprio nella misura in cui, fin dall’origine, sono orientate a Cristo e Cristo agisce in esse. Con la sua morte in croce, con il dono di sé spinto fino all’estremo, Cristo ha distrutto ogni muro di separazione tra gli uomini, egli si è collocato al-di-dentro di ogni realtà umana e di ogni esperienza religiosa, egli si è fatto prossimo ad ogni alterità. “Ma è proprio grazie a questo suo porsi, in quanto Crocifisso, al-di-dentro d’ogni situazione religiosa, che Cristo risorto spinge nella forza dello Spirito ciascuna di esse – assumendola, giudicandola, purificandola e trascinandola con Sé nel suo esodo pasquale – ad un trascendimento verso un comune al-di-là … nel quale possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito…” (p. 63). L’evento Cristo rappresenta pertanto la giustificazione, ma anche il compimento di ogni esperienza religiosa colta nella sua autenticità. È la presenza di Cristo che la rende rivelazione autentica del Padre, ed è questa stessa presenza che la spinge a quell’auto-trascendimento che ne permette la piena realizzazione.
Ma se ciò vale per ogni esperienza religiosa, vale anche per lo stesso cristianesimo in quanto religione. Anche il cristianesimo, pur testimoniando la rivelazione definitiva del Padre in Gesù Cristo, è chiamato continuamente, come Cristo, all’esodo pasquale, ad uscire da sé, al riconoscimento dei suoi limiti storici, dei suoi errori per aprirsi sempre più e sempre meglio alla verità tutta intera. In particolare, il cristianesimo deve riconoscere che, come Cristo, esso trova la sua identità “nell’atto del suo donarsi all’altro da Sé” (p. 57) nella sua capacità di entrare in relazione con i diversi soggetti religiosi nei loro diversi contesti culturali. Certamente al fine di <>, “ma a partire dalle rispettive peculiarità e nel rispetto di esse” (p. 57), senza nessuna pretesa di ricondurre il molteplice all’identico, di ridurre all’uno ogni alterità.
È in tale prospettiva che può essere compreso nel suo giusto significato il carattere universale del cristianesimo come religione. Esso è chiamato a riconoscere “l’inabitazione dello stesso spirito del Cristo crocifisso/risorto nelle differenti identità religiose che le spinge ciascuna, dal proprio interno, a riconoscersi reciprocamente in tensione verso quel telos (il punto omega) che tutte le trascende e che può prendere figura solo attraverso la comunicazione delle rispettive identità, vincendone, progressivamente e drammaticamente nel corso della storia, la deriva/tentazione integrista ed esclusivista” (p. 108). L’apertura all’universalità che caratterizza la rivelazione cristologia diventa possibile per la religione cristiana solo nella misura in cui riconosce la presenza/azione di Cristo per lo Spirito anche nelle altre religioni, soltanto nella misura in cui l’identità cristiana si apre e diventa accogliente nei confronti delle altre identità.
Sulla base di tali considerazioni, l’auspicio di Coda è che questo nostro tempo possa, nel futuro, essere compreso come l’inizio di un’epoca nuova dell’umanità, un’epoca caratterizzata non più, come è avvenuto nel passato, dalla orgogliosa riaffermazione delle singole diversità contro le altre diversità, ma dal dialogo rispettoso ed accogliente tra le varie identità religiose. Ciò non significa contraddire la storia precedente dell’umanità, nella quale sempre si è resa presente l’azione illuminante dello Spirito di Dio, ma, nella ripresa autentica di quell’esperienza di Dio che sta alla base della propria tradizione religiosa, rimanere “nell’apertura a un <> avvento di Dio – atteso secondo le specificità di ciascuna religione – che (…) non può non coinvolgere anche le altre religioni” (p. 124)
Lo stesso approccio metodologico, che riconosce e valorizza l’alterità dall’interno dell’identità cristiana, lo ritroviamo operante nella terza parte, là dove l’A. si confronta con l’esperienza mistica. Dopo un primo capitolo, in cui si compie un’ampia rassegna del ritorno della mistica che sembra caratterizzare il ’900 e che tocca da vicino sia le nuove forme di religiosità sia notevoli correnti del pensiero filosofico, sempre più consapevoli dei limiti di una razionalità formale ed astratta, e un secondo capitolo, nel quale ci si interroga sul senso della mistica cristiana, il terzo capitolo affronta la questione cruciale del rapporto tra la rivelazione cristologica e l’esperienza di Dio che ha caratterizzato la storia religiosa dell’umanità. Sulla base di uno schema dialettico di tipo hegeliano, l’A. individua tre momenti in tale storia. Il primo è rappresentato dalle religioni extrabibliche, caratterizzate, pur all’interno di una grande diversità, da un dato comune: la “percezione del Divino nella sua alterità, più o meno radicale, dal naturale” (p. 473). Il punto di arrivo di tale esperienza del divino è quello proprio delle grandi religioni orientali, ma anche di una filosofia profondamente religiosa e dai forti connotati mistici come quella di Plotino: la divinità “è esperita non solo come l’alterità ma propriamente come il Nulla dalla/della natura” (p. 477) di fronte al quale l’uomo è chiamato a svuotarsi di sé e della sua identità nella consapevolezza della sua nullità, al fine di superare l’esilio della separazione e fondersi così con l’Unità originaria. Questa Unità, che è al di là di ogni molteplicità, pur essendo in realtà il vero Essere, ciò che assolutamente È, viene da noi esperita come il Non-Essere, ciò che non è possibile né conoscere né dire: appunto, il Nulla. L’esperienza mistica, in questo caso, consiste appunto in quella tensione che porta l’uomo a superare la sua particolarità individuale, la coscienza del suo sé, per giungere ad una fusione e ad una identificazione con il Sé assoluto.
Anche l’esperienza di Dio fatta da Israele è l’esperienza di un Dio unico e uno. Questi tuttavia, pur nella sua assoluta trascendenza, ha un carattere eminentemente personale. Con la sua Parola interpella direttamente l’uomo, lo chiama ad un dialogo interpersonale che avviene nella storia, la quale, grazie all’ intervento di Dio, diventa storia di salvezza. In questa prospettiva non c’è spazio per una mistica del Nulla. L’uomo non è chiamato ad annullarsi nell’oceano dell’Essere/Nulla, ma a rispondere a quella Parola del Tu divino grazie alla quale l’uomo stesso può ritrovare il significato profondo del suo io. “Se l’È impersonale è l’ultima parola della precedente figura (…); l’IO SONO, e dunque l’Essere in relazione, che pure in essa permane in Sé trascendente, misterioso e adveniente, è ciò che specifica la seconda figura” (p. 492).
Il terzo momento è quello della rivelazione cristologica. Qui “la formula sintetica della rivelazione/esperienza di Dio (…) è Noi Siamo, tratta dal quarto vangelo: Io e il Padre siamo uno (Gv 10,30)” (p. 497), formula che rivela l’esperienza di Dio propria di Gesù e che getta luce sull’esperienza degli apostoli nel loro rapporto con lo stesso Gesù. Così come l’Unità di Dio è una unità che salvaguarda la distinzione e l’alterità, allo stesso modo è possibile per l’uomo, in rapporto a Cristo, “essere in lui, essere Lui, restando da Lui distinti – come Lui è Uno e distinto col/dal Padre nello Spirito” (p. 499). Decisivo inoltre, nell’esperienza di fede di Gesù è l’evento della crocifissione, e in particolare il grido dell’abbandono che egli rivolge al Padre sulla croce. Gesù, sulla croce, “patisce l’abbandono perché si priva, per donarla agli uomini, della sua condizione divina. Solo <> di Dio (…) lo può realmente donare agli uomini” (p. 507). L’esperienza del Nulla, dell’annullamento di sé, che caratterizza la vita di Dio deve essere vista pertanto all’interno della logica relazionale dell’amore, è, nella sua essenza, esperienza di amore. Lo stesso uomo corrisponde al dono di Dio in Cristo se rivive la stessa esperienza, se accetta di perdersi per ritrovarsi, se acconsente, per amore, di svuotarsi di sé per donarsi completamente ai fratelli. L’esperienza del Nulla diventa in tal modo esperienza di un Dio che si annulla per l’uomo, affinché anche l’uomo svuotandosi di sé possa partecipare alla vita divina che è vita di amore.
Alla luce di tale esperienza di Dio propria del cristianesimo è possibile comprendere il significato degli altri due momenti. “Ognuna di esse è vera in sé, anche se s’invera pienamente solo nella successiva e, in definitiva, nella terza: letta, a sua volta, quale prolessi efficace della meta escatologica definitiva. Ciò viene a dire, non solo che le prime due tappe o figure possono permanere nella loro distinzione (…) anche se tendono intrinsecamente – se fedeli a se medesime e alla sollecitazione della grazia dello Spirito che le inibita – a compiersi nella terza, quand’essa si fa per esse avvento; ma anche che la terza non può essere compresa senza le altre” (p. 515).
In queste parole si può cogliere l’idea chiave che sta alla base di tutto il volume: l’esperienza cristologica e cristiana di Dio supera le altre esperienze di Dio. Tale superamento, tuttavia, deve essere inteso non come annullamento e cancellazione di quanto venuto prima, ma come inveramento, vale a dire conservazione e compimento di quella verità che prima si annunciava in forma ancora incerta e germinale. Conservazione poiché le tappe precedenti possiedono una loro autonomia e una loro verità che non permette la loro pura e semplice dissoluzione nella verità cristiana e compimento poiché la verità in esse presente già le indirizzava verso un oltre verso, già indicava un loro trascendimento.
La prospettiva teologica dell’A. è pertanto decisamente inclusivista, ben attenta ad evitare ogni per quanto minimo cedimento al relativismo dominante, ma, nello stesso tempo, aperta al riconoscimento e al rispetto delle altre identità religiose. Il tentativo che viene compiuto è quello di mostrare come il massimo di apertura possibile nei confronti delle altre esperienze e tradizioni religiose possa essere attuato non solo senza mettere tra parentesi la propria identità, ma, anzi, proprio a partire da essa e grazie ad essa. Probabilmente la sottolineatura che può essere fatta al riguardo è che tale modo di rapportarsi all’alterità non è specifico della fede cristiana, ma appartiene alla fede in quanto tale. Ogni fede, mentre appare, dal punto di vista storico-fattuale, come una prospettiva particolare, come una fede accanto a tante altre, viene colta, da chi la vive e si affida totalmente ad essa in quanto verità della propria esistenza, come l’orizzonte di comprensione intrascendibile, e quindi universale, all’interno del quale ogni altro elemento non può che essere collocato e venire ricompreso. In altre parole, la fede, che di fatto è sempre particolare, in quanto fede non può che esperirsi e pensarsi come universale, poiché, nel caso riconoscesse la sua particolarità, non soltanto dal punto di vista fattuale, ma anche in riferimento alla questione della verità ultima, verrebbe a riconoscere un orizzonte di verità (filosofico, scientifico o genericamente religioso) rispetto ad essa trascendente, riconoscimento che implicherebbe una sua radicale relativizzazione. E sarebbe allora tale orizzonte che, come criterio ultimo di senso e di verità, richiederebbe la nostra adesione incondizionata. La stessa forma della fede pertanto, pur nel suo non poter essere che determinata e particolare, porta in sé l’esigenza dell’assoluto e dell’incondizionato, dell’universale e dell’eterno. L’inclusivismo, per quanto aperto e rispettoso dell’altrui identità, non può che essere la posizione di una fede che non voglia rinunciare ad essere tale, che non voglia ridursi a semplice opinione.
D’altra parte, l’altro può essere riconosciuto e accolto in quanto altro unicamente in rapporto ad una identità. Non esiste l’altro in termini assoluti ed astratti, ma solo per me ed in rapporto a me. L’altro è un termine eminentemente relativo. Ciò vale tuttavia anche per la propria identità. Io divento consapevole di me e della mia identità non solo davanti all’altro, cogliendomi come altro rispetto a lui, ma anche grazie all’altro, nella misura in cui ogni identità non solo si oppone a ciò che è altro, ma anche si costituisce sulla base di provocazioni, stimoli, apporti, fecondazioni che vengono dall’altro. Non è possibile pertanto rapportarsi all’altro se non nella prospettiva dell’inclusione, poiché è sempre a partire da me che l’altro viene compreso, valutato, accolto, nella consapevolezza che, proprio in quanto altro da me, l’altro è anche in me, è parte di me.
Inoltre non posso non tener conto che anch’io sono altro per l’altro, che anch’io vengo incluso nell’orizzonte dell’altro, che l’altro mi valuta e mi giudica sulla base della sua esperienza e comprensione della verità. Ciò potrebbe far sorgere in me la curiosa e spiacevole sensazione che la mia identità venga considerata relativa e subordinata all’altrui verità. E tuttavia è proprio accettando tale esperienza che, pur consapevoli dell’impossibilità di giungere ad una fusione dei rispettivi orizzonti di verità, riusciamo a rispettare l’altro, riconoscendo nell’altro il nostro stesso modo di essere in rapporto alla verità mediante la fede.
Tali considerazioni, metodologiche e formali, esulano dal discorso teologico condotto da Coda, ma, nello stesso tempo, mostrano, mi sembra, la preziosità del suo itinerario. La prospettiva inclusivista non deve essere vista come un limite, ma come la necessaria condizione di possibilità di un autentico dialogo interreligioso, purché l’alterità venga rispettata e riconosciuta in quanto tale e purché la tensione escatologica renda dinamico anche il mio orizzonte di verità rispetto a quell’orizzonte metastorico, a quella Verità assoluta (“il Dio che è tutto in tutti”) nella quale siamo e verso la quale tutti camminiamo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2004, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Tale questione diventa oggi sempre più urgente dal momento che l’incontro tra le religioni, nel contesto di un mondo globalizzato, sembra dar luogo a due fenomeni inquietanti, di segno opposto, ma per un certo verso speculari l’uno all’altro: il fenomeno del fondamentalismo e quello del relativismo. Il primo risolve l’incontro tra le religioni in una lotta per l’affermazione e la supremazia di una religione sulle altre; il secondo, assumendo un atteggiamento di in-differenza n verso tutte le religioni, relega le diversità religiose nell’ambito delle diversità culturali, interessanti dal punto di vista storico, ma prive in sé di valore veritativo.
Si deve inoltre tener presente che, di fatto, esiste una cultura che si sta affermando a livello mondiale, una cultura che sembra davvero possedere un carattere di verità e di universalità: la cultura scientifico-tecnologica. Di fronte alla sua persuasiva efficacia le diverse tradizioni religiose appaiono come residui di mondi che stanno oramai definitivamente tramontando e che, in ogni caso, hanno puramente la funzione di soddisfare i bisogni psicologici dei soggetti più deboli e labili. Di fronte alla sua inarrestabile avanzata le grandi e le piccole tradizioni religiose rischiano di venire definitivamente schiacciate. Basti pensare a quanto sta avvenendo non solo nell’Occidente secolarizzato, ma anche in grandi paesi dell’Oriente come il Giappone e la Cina, nei quali la vertiginosa modernizzazione economica sta relegando sempre più ai margini della società la loro ricca tradizione religiosa. Il rischio di una radicale marginalizzazione e svalutazione dell’esperienza religiosa, che sembra toccare da vicino tutte le religioni, rende ancora più urgente il loro incontro e rende ancora più significativi i tentativi, come quelli del presente volume, che vengono compiuti in tale direzione.
Il suggestivo titolo indica chiaramente l’intuizione di fondo che sta alla base del volume e illumina il senso del suo percorso. Se il termine “Logos” sta ad indicare il rivelarsi del mistero di Dio nella Parola ed esprime pertanto il nascere della religione “dall’alto”, il termine “Nulla” dice invece l’approdo ultimo della ricerca di Dio compiuto dall’uomo stesso, definisce la religione nel suo nascere “dal basso” come espressione del desiderio religioso dell’umanità. La “rivelazione” e la “mistica” sembrano essere pertanto le due parola capaci di offrirci una comprensione unitaria del fenomeno religioso al di là della varietà e molteplicità delle sue espressioni empiriche esteriori. Si potrebbe pensare che in questo modo Coda, secondo uno schema abbastanza consueto, voglia distinguere le religioni “occidentali”, le religioni storiche, basate su una rivelazione nella quale Dio chiama l’uomo ad una relazione personale (ebraismo, cristianesimo ed islamismo), dalle “religioni orientali”, le religioni cosmiche, che intendono condurre l’uomo al superamento dei limiti della sua individualità per inabissarsi nel mare del Nulla, per diventare uno con l’Uno. L’A. in realtà percorre una pista diversa. La rivelazione e la mistica vengono viste, sia ponendosi in ascolto dei risultati delle scienze della religione, sia a partire da una punto di vista genuinamente teologico, come due momenti costitutivi dell’esperienza religiosa, che ne designano insieme l’inizio e la meta, due momenti chiamati idealmente ad incontrarsi e a completarsi reciprocamente. Il filo rosso che permette di cogliere l’unità del percorso complesso che viene compiuto attraverso i territori più vari delle scienze della religione e della teologia è dato appunto dall’interesse sia per la rivelazione che per la mistica e dal desiderio di mostrare la possibilità di un loro reciproco incontro. Naturalmente la prospettiva ermeneutica che presiede a tutto il cammino è di tipo teologico, anche là dove ci si confronta con grande serietà sia con le scienze della religione che con la filosofia. È l’evento rivelativo di Gesù Cristo che fornisce la chiave di comprensione dell’esperienza mistica e religiosa dell’umanità e che ne permette un autentico apprezzamento.
Alla luce di queste considerazioni diventa chiara la struttura di fondo del volume. Nella prima parte si prende le mosse da una riflessione sulla rivelazione in rapporto alla religione come universale esperienza umana. La terza parte è dedicata alla questione della mistica, esaminata sia sotto il profilo storico che teoretico. Nella seconda parte, quella propriamente teologica, viene tematizzato l’evento di Gesù Cristo e l’esperienza del Dio Trinità nel contesto del pluralismo religioso contemporaneo come chiave di lettura dell’intero percorso, che illumina quanto precede e quanto segue, ma che viene anche da essi sollecitata e stimolata. È nella seconda parte dunque che vengono approfondite quelle riflessioni teologiche che guidano il confronto con la mistica e le religioni, ed in questo senso, come dice l’A., questa seconda parte “rappresenta lo snodo dell’intero percorso” (p. 10). Ciò non toglie tuttavia che, almeno per chi scrive questa nota, le riflessioni maggiormente interessanti e stimolanti, quelle che offrono degli spunti nuovi e originali, si trovino piuttosto nella prima e nella terza parte, quelle maggiormente dedicate al confronto e al dialogo.
La prima parte comincia con una vasta ed aggiornata sintesi delle acquisizioni più originali nei campi della storia, della fenomenologia e della filosofia della religione. L’obiettivo ultimo è quello di giungere ad “un’ermeneutica del significato teologico del pluralismo delle religioni nella luce dell’evento cristologico, compreso in prospettiva trinitaria” (p. 13). La domanda di fondo che ci si pone è quale sia, dal punto di vista cristiano, il significato del pluralismo religioso nel contesto del piano salvifico di Dio. La risposta a tale domanda non può in alcun modo, per Coda, portare ad una relativizzazione dell’evento di Gesù Cristo nella concretezza della sua realtà storica, come se la sua rivelazione fosse solo “una, anche se la più alta e definitiva, tra le molte rivelazioni dell’unico Logos” (p. 65), e ad un disconoscimento della necessità della sua azione salvifica universale, ma non può nemmeno indurre ad un deprezzamento e ad una svalutazione della varietà e della ricchezza delle forme religiose, in nome di una unità astratta ed artificiosa. La via mediana proposta dall’A. sottolinea come ciò che caratterizza l’identità cristiana non sia “la riconduzione a sé d’ogni alterità”, ma, al contrario, “la comprensione del rispetto, anzi, della fondazione dell’alterità” (p. 42). Nell’evento di Gesù Cristo infatti, e in maniera particolare nella sua morte in croce, si manifesta “il paradosso del raggiungimento della piena e gratuita identità con sé attraverso la libera espropriazione di sé” (p. 42). Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, il Verbo incarnato, proprio perché fa dono della sua vita all’umanità fino al punto dell’abbandono e della solitudine suprema che egli sperimenta sulla croce. E, d’altra parte, il mistero cristologico diventa comprensibile alla luce del mistero trinitario, del mistero di un Dio la cui identità è data dalla relazione con un’alterità che è interna e costitutiva dello stesso Dio. Nella Trinità il Padre è se stesso, è Padre, nel suo essere per il Figlio, nel suo fare dono di sé al Figlio. Allo stesso modo, il Figlio è Figlio nel suo accettarsi donato dal Padre e nel suo fare dono di sé al Padre. E lo Spirito Santo manifesta appunto l’essere relazione, l’essere dono che costituisce l’essere stesso di Dio. Il dono incondizionato di sé all’umanità che Dio realizza nell’incarnazione e nella morte e risurrezione di Gesù trova pertanto il suo fondamento nell’ontologia trinitaria, nella struttura agapica che caratterizza l’essere di Dio.
È a partire da tale prospettiva cristologico-trinitaria, a lungo sviluppata nei capitoli della seconda parte, che diventa possibile pensare in maniera positiva, secondo un’ottica autenticamente teologica l’alterità delle religioni rispetto al cristianesimo. Nelle religioni, infatti, è possibile cogliere, dal punto di vista cristiano, l’attiva presenza del Mistero di Dio che le ha suscitate in ordine alla realizzazione del suo universale disegno rivelativo e salvifico. Anch’esse pertanto appartengono al disegno imperscrutabile del Padre, appartengono all’evento della rivelazione. E tuttavia sono inserite nell’evento della rivelazione proprio nella misura in cui, fin dall’origine, sono orientate a Cristo e Cristo agisce in esse. Con la sua morte in croce, con il dono di sé spinto fino all’estremo, Cristo ha distrutto ogni muro di separazione tra gli uomini, egli si è collocato al-di-dentro di ogni realtà umana e di ogni esperienza religiosa, egli si è fatto prossimo ad ogni alterità. “Ma è proprio grazie a questo suo porsi, in quanto Crocifisso, al-di-dentro d’ogni situazione religiosa, che Cristo risorto spinge nella forza dello Spirito ciascuna di esse – assumendola, giudicandola, purificandola e trascinandola con Sé nel suo esodo pasquale – ad un trascendimento verso un comune al-di-là … nel quale possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito…” (p. 63). L’evento Cristo rappresenta pertanto la giustificazione, ma anche il compimento di ogni esperienza religiosa colta nella sua autenticità. È la presenza di Cristo che la rende rivelazione autentica del Padre, ed è questa stessa presenza che la spinge a quell’auto-trascendimento che ne permette la piena realizzazione.
Ma se ciò vale per ogni esperienza religiosa, vale anche per lo stesso cristianesimo in quanto religione. Anche il cristianesimo, pur testimoniando la rivelazione definitiva del Padre in Gesù Cristo, è chiamato continuamente, come Cristo, all’esodo pasquale, ad uscire da sé, al riconoscimento dei suoi limiti storici, dei suoi errori per aprirsi sempre più e sempre meglio alla verità tutta intera. In particolare, il cristianesimo deve riconoscere che, come Cristo, esso trova la sua identità “nell’atto del suo donarsi all’altro da Sé” (p. 57) nella sua capacità di entrare in relazione con i diversi soggetti religiosi nei loro diversi contesti culturali. Certamente al fine di <
È in tale prospettiva che può essere compreso nel suo giusto significato il carattere universale del cristianesimo come religione. Esso è chiamato a riconoscere “l’inabitazione dello stesso spirito del Cristo crocifisso/risorto nelle differenti identità religiose che le spinge ciascuna, dal proprio interno, a riconoscersi reciprocamente in tensione verso quel telos (il punto omega) che tutte le trascende e che può prendere figura solo attraverso la comunicazione delle rispettive identità, vincendone, progressivamente e drammaticamente nel corso della storia, la deriva/tentazione integrista ed esclusivista” (p. 108). L’apertura all’universalità che caratterizza la rivelazione cristologia diventa possibile per la religione cristiana solo nella misura in cui riconosce la presenza/azione di Cristo per lo Spirito anche nelle altre religioni, soltanto nella misura in cui l’identità cristiana si apre e diventa accogliente nei confronti delle altre identità.
Sulla base di tali considerazioni, l’auspicio di Coda è che questo nostro tempo possa, nel futuro, essere compreso come l’inizio di un’epoca nuova dell’umanità, un’epoca caratterizzata non più, come è avvenuto nel passato, dalla orgogliosa riaffermazione delle singole diversità contro le altre diversità, ma dal dialogo rispettoso ed accogliente tra le varie identità religiose. Ciò non significa contraddire la storia precedente dell’umanità, nella quale sempre si è resa presente l’azione illuminante dello Spirito di Dio, ma, nella ripresa autentica di quell’esperienza di Dio che sta alla base della propria tradizione religiosa, rimanere “nell’apertura a un <
Lo stesso approccio metodologico, che riconosce e valorizza l’alterità dall’interno dell’identità cristiana, lo ritroviamo operante nella terza parte, là dove l’A. si confronta con l’esperienza mistica. Dopo un primo capitolo, in cui si compie un’ampia rassegna del ritorno della mistica che sembra caratterizzare il ’900 e che tocca da vicino sia le nuove forme di religiosità sia notevoli correnti del pensiero filosofico, sempre più consapevoli dei limiti di una razionalità formale ed astratta, e un secondo capitolo, nel quale ci si interroga sul senso della mistica cristiana, il terzo capitolo affronta la questione cruciale del rapporto tra la rivelazione cristologica e l’esperienza di Dio che ha caratterizzato la storia religiosa dell’umanità. Sulla base di uno schema dialettico di tipo hegeliano, l’A. individua tre momenti in tale storia. Il primo è rappresentato dalle religioni extrabibliche, caratterizzate, pur all’interno di una grande diversità, da un dato comune: la “percezione del Divino nella sua alterità, più o meno radicale, dal naturale” (p. 473). Il punto di arrivo di tale esperienza del divino è quello proprio delle grandi religioni orientali, ma anche di una filosofia profondamente religiosa e dai forti connotati mistici come quella di Plotino: la divinità “è esperita non solo come l’alterità ma propriamente come il Nulla dalla/della natura” (p. 477) di fronte al quale l’uomo è chiamato a svuotarsi di sé e della sua identità nella consapevolezza della sua nullità, al fine di superare l’esilio della separazione e fondersi così con l’Unità originaria. Questa Unità, che è al di là di ogni molteplicità, pur essendo in realtà il vero Essere, ciò che assolutamente È, viene da noi esperita come il Non-Essere, ciò che non è possibile né conoscere né dire: appunto, il Nulla. L’esperienza mistica, in questo caso, consiste appunto in quella tensione che porta l’uomo a superare la sua particolarità individuale, la coscienza del suo sé, per giungere ad una fusione e ad una identificazione con il Sé assoluto.
Anche l’esperienza di Dio fatta da Israele è l’esperienza di un Dio unico e uno. Questi tuttavia, pur nella sua assoluta trascendenza, ha un carattere eminentemente personale. Con la sua Parola interpella direttamente l’uomo, lo chiama ad un dialogo interpersonale che avviene nella storia, la quale, grazie all’ intervento di Dio, diventa storia di salvezza. In questa prospettiva non c’è spazio per una mistica del Nulla. L’uomo non è chiamato ad annullarsi nell’oceano dell’Essere/Nulla, ma a rispondere a quella Parola del Tu divino grazie alla quale l’uomo stesso può ritrovare il significato profondo del suo io. “Se l’È impersonale è l’ultima parola della precedente figura (…); l’IO SONO, e dunque l’Essere in relazione, che pure in essa permane in Sé trascendente, misterioso e adveniente, è ciò che specifica la seconda figura” (p. 492).
Il terzo momento è quello della rivelazione cristologica. Qui “la formula sintetica della rivelazione/esperienza di Dio (…) è Noi Siamo, tratta dal quarto vangelo: Io e il Padre siamo uno (Gv 10,30)” (p. 497), formula che rivela l’esperienza di Dio propria di Gesù e che getta luce sull’esperienza degli apostoli nel loro rapporto con lo stesso Gesù. Così come l’Unità di Dio è una unità che salvaguarda la distinzione e l’alterità, allo stesso modo è possibile per l’uomo, in rapporto a Cristo, “essere in lui, essere Lui, restando da Lui distinti – come Lui è Uno e distinto col/dal Padre nello Spirito” (p. 499). Decisivo inoltre, nell’esperienza di fede di Gesù è l’evento della crocifissione, e in particolare il grido dell’abbandono che egli rivolge al Padre sulla croce. Gesù, sulla croce, “patisce l’abbandono perché si priva, per donarla agli uomini, della sua condizione divina. Solo <
Alla luce di tale esperienza di Dio propria del cristianesimo è possibile comprendere il significato degli altri due momenti. “Ognuna di esse è vera in sé, anche se s’invera pienamente solo nella successiva e, in definitiva, nella terza: letta, a sua volta, quale prolessi efficace della meta escatologica definitiva. Ciò viene a dire, non solo che le prime due tappe o figure possono permanere nella loro distinzione (…) anche se tendono intrinsecamente – se fedeli a se medesime e alla sollecitazione della grazia dello Spirito che le inibita – a compiersi nella terza, quand’essa si fa per esse avvento; ma anche che la terza non può essere compresa senza le altre” (p. 515).
In queste parole si può cogliere l’idea chiave che sta alla base di tutto il volume: l’esperienza cristologica e cristiana di Dio supera le altre esperienze di Dio. Tale superamento, tuttavia, deve essere inteso non come annullamento e cancellazione di quanto venuto prima, ma come inveramento, vale a dire conservazione e compimento di quella verità che prima si annunciava in forma ancora incerta e germinale. Conservazione poiché le tappe precedenti possiedono una loro autonomia e una loro verità che non permette la loro pura e semplice dissoluzione nella verità cristiana e compimento poiché la verità in esse presente già le indirizzava verso un oltre verso, già indicava un loro trascendimento.
La prospettiva teologica dell’A. è pertanto decisamente inclusivista, ben attenta ad evitare ogni per quanto minimo cedimento al relativismo dominante, ma, nello stesso tempo, aperta al riconoscimento e al rispetto delle altre identità religiose. Il tentativo che viene compiuto è quello di mostrare come il massimo di apertura possibile nei confronti delle altre esperienze e tradizioni religiose possa essere attuato non solo senza mettere tra parentesi la propria identità, ma, anzi, proprio a partire da essa e grazie ad essa. Probabilmente la sottolineatura che può essere fatta al riguardo è che tale modo di rapportarsi all’alterità non è specifico della fede cristiana, ma appartiene alla fede in quanto tale. Ogni fede, mentre appare, dal punto di vista storico-fattuale, come una prospettiva particolare, come una fede accanto a tante altre, viene colta, da chi la vive e si affida totalmente ad essa in quanto verità della propria esistenza, come l’orizzonte di comprensione intrascendibile, e quindi universale, all’interno del quale ogni altro elemento non può che essere collocato e venire ricompreso. In altre parole, la fede, che di fatto è sempre particolare, in quanto fede non può che esperirsi e pensarsi come universale, poiché, nel caso riconoscesse la sua particolarità, non soltanto dal punto di vista fattuale, ma anche in riferimento alla questione della verità ultima, verrebbe a riconoscere un orizzonte di verità (filosofico, scientifico o genericamente religioso) rispetto ad essa trascendente, riconoscimento che implicherebbe una sua radicale relativizzazione. E sarebbe allora tale orizzonte che, come criterio ultimo di senso e di verità, richiederebbe la nostra adesione incondizionata. La stessa forma della fede pertanto, pur nel suo non poter essere che determinata e particolare, porta in sé l’esigenza dell’assoluto e dell’incondizionato, dell’universale e dell’eterno. L’inclusivismo, per quanto aperto e rispettoso dell’altrui identità, non può che essere la posizione di una fede che non voglia rinunciare ad essere tale, che non voglia ridursi a semplice opinione.
D’altra parte, l’altro può essere riconosciuto e accolto in quanto altro unicamente in rapporto ad una identità. Non esiste l’altro in termini assoluti ed astratti, ma solo per me ed in rapporto a me. L’altro è un termine eminentemente relativo. Ciò vale tuttavia anche per la propria identità. Io divento consapevole di me e della mia identità non solo davanti all’altro, cogliendomi come altro rispetto a lui, ma anche grazie all’altro, nella misura in cui ogni identità non solo si oppone a ciò che è altro, ma anche si costituisce sulla base di provocazioni, stimoli, apporti, fecondazioni che vengono dall’altro. Non è possibile pertanto rapportarsi all’altro se non nella prospettiva dell’inclusione, poiché è sempre a partire da me che l’altro viene compreso, valutato, accolto, nella consapevolezza che, proprio in quanto altro da me, l’altro è anche in me, è parte di me.
Inoltre non posso non tener conto che anch’io sono altro per l’altro, che anch’io vengo incluso nell’orizzonte dell’altro, che l’altro mi valuta e mi giudica sulla base della sua esperienza e comprensione della verità. Ciò potrebbe far sorgere in me la curiosa e spiacevole sensazione che la mia identità venga considerata relativa e subordinata all’altrui verità. E tuttavia è proprio accettando tale esperienza che, pur consapevoli dell’impossibilità di giungere ad una fusione dei rispettivi orizzonti di verità, riusciamo a rispettare l’altro, riconoscendo nell’altro il nostro stesso modo di essere in rapporto alla verità mediante la fede.
Tali considerazioni, metodologiche e formali, esulano dal discorso teologico condotto da Coda, ma, nello stesso tempo, mostrano, mi sembra, la preziosità del suo itinerario. La prospettiva inclusivista non deve essere vista come un limite, ma come la necessaria condizione di possibilità di un autentico dialogo interreligioso, purché l’alterità venga rispettata e riconosciuta in quanto tale e purché la tensione escatologica renda dinamico anche il mio orizzonte di verità rispetto a quell’orizzonte metastorico, a quella Verità assoluta (“il Dio che è tutto in tutti”) nella quale siamo e verso la quale tutti camminiamo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2004, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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