Dal III e soprattutto dal IV secolo il monachesimo conosce un largo seguito. Anche Giovanni Crisostomo ne fa esperienza dal 372 al 376, ritirandosi a vivere sulle montagne nel più assoluto isolamento. Intorno al 381, attingendo a questo episodio della sua vita, scrive una lettera aperta al monaco Stagirio, colpito da un attacco di epilessia, allora considerata come la presenza di un demone nemico. Pur affascinato dalla vita nel deserto, in cui vedeva la perfetta realizzazione del vangelo, l'Autore è consapevole della durezza e della problematicità della vita monastica. Contro la disperazione che nasce dalla malattia, Crisostomo ripercorre nella lettera i numerosi esempi di sofferenti della storia sacra - Abramo, Mosè, Davide, Geremia, Ezechiele, Giobbe… -, ricordando che il male è una costante dell'esistenza umana ed è compresa nei piani di Dio. In prima traduzione italiana.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
La problematica ascetica che Giovanni Crisostomo affronta nella lettera a Stagirio ci porta a considerare più da vicino la presenza e il significato che l'autore ebbe nell'ambito del monachesimo; a domandarci su quali basi, e per quali motivi, non solo di carattere spirituale, ma anche storici e concreti, egli poté intervenire sul problema che angustiava il destinatario.
La nascita del Crisostomo deve essere collocata nel 349 o in un anno non lontano da quella data.
La sua educazione rimane per noi incerta, anche se Palladio ci fa sapere, magari con qualche esagerazione, che Giovanni era dotato di qualità intellettuali e morali eccezionalmente elevate. Il giovane visse in casa con la madre, ed ebbe numerosi amici, tra i quali un Basilio (non il grande Padre Cappadoce), forse quello al quale dedicò poi il trattato Sul sacerdozio. Lo stesso Giovanni ricorda più tardi le proprie amicizie e l'ambiente dei suoi studi. Egli fu seguace del grande maestro di retorica Libanio, che insegnava ad Antiochia già nel 354, e completò i suoi studi nel 367. Secondo Palladio, Giovanni si esercitava con impegno nell'arte retorica, avendo di mira il servizio negli oracoli di Dio, cioè nella Sacra Scrittura. Probabilmente, però, questa interpretazione non ha senso,perché non c'è bisogno di dedicarsi alla retorica per studiare la Scrittura. Si pensa quindi, che il termine «oracoli divini» significhi, invece, gli editti imperiali perché il termine greco loghia (ed ancora di più il latino oracula), con l'aggiunta dell'aggettivo "sacro", doveva significare le norme della cancelleria l'imperiale. Inoltre Giovanni cominciò a frequentare i tribunali e, come tutti i cittadini di Antiochia, era un entusiasta ammiratore degli spettacoli teatrali.
Quindi la professione a cui Giovanni si era dedicato, sicura-con l'approvazione della madre, sarebbe stata, stando alle parole di Palladio, la carriera burocratica, per la quale era indispensabile un buon livello di cultura letteraria, in quanto 1 decreti del governatore dovevano essere formulati con una prosa elevata e decorosa.
Ma un poco alla volta il carattere di Giovanni mutò ed i suoi interessi anche. Come ci racconta sempre Palladio, egli si ribellò ai suoi professori di retorica, e condannò quella disciplina, perché la considerava un'arte meretrice. Lo storico Socrate ci fa sapere, però, che Giovanni abbandonò la carriera legale quando vide che avrebbe potuto essere frequentemente coinvolto in casi ingiusti. Al suo posto, come tanti altri in quei tempi, egli si dedicò alla Sacra Scrittura. Scrivendo alcuni anni dopo al suo amico Basilio, che già abbiamo ricordato sopra, Giovanni rievoca di quando entrambi, terminati i loro studi, si erano dedicati alla "beata vita dei solitari e alla vera filosofia": nel linguaggio della cultura dell'epoca (i Cappadoci ne sono una testimonianza eloquente) la filosofia significava la vita ritirata, e non pubblica, meglio se eremitica, ed austera, anche se non conforme a rigorose norme monastiche; inoltre tale vita implicava la necessità di dedicarsi alla contemplazione, allo studio della Scrittura, e quindi alla letteratura ad essa Essa comprendeva le opere di scrittori cristiani che erano oramai diventati autorevoli: Origene ed Atanasio, in Oriente Giovanni ed i suoi amici.
Come sempre in questi casi, la scelta compiuta alternava allo scoraggiamento davanti alle difficoltà della nuova vita. La vita monastica, che i due amici intrapresero insieme, suscitò, come era logico e naturale, la madre di Giovanni che, vedova, aveva aveva bisogno della presenza del figlio presso di sé.
In questo periodo Giovanni non poteva non subire l'influenza spirituale di Melezio, vescovo di Antiochia, che era oggetto di forti contrasti. Ad Antiochia, infatti, il vescovo ufficiale era (e vi rimarrà fino al 376) il filoariano Euzoio; lo stesso Melezio, di fede nicena, era, inoltre, in contrasto con un altro vescovo niceno, di nome Paolino, nominato abusivamente da un altro vescovo, Lucifero di Cagliari, il quale, fanatico e angusto seguace del Credo di Nicea, non fidandosi di Melezio, più aperto alle dottrine degli ariani moderati, aveva quindi ritenuto opportuno mantenere salda la fede ad Antiochia nominandovi un vescovo fidato. Solo più tardi, in seguito ai deliberati del Concilio di Costantinopoli del 381, Melezio sarà riconosciuto come l'unico vescovo legittimo di quella città. Comunque, in quell'epoca di gravi difficoltà per la Chiesa ortodossa, fortemente contrastata dagli ariani, anche Melezio fu attratto dal giovane Crisostomo, ne apprezzò le qualità intellettuali e morali, e lo incoraggiò; questa simpatia e questa stima del vescovo costituirono un momento importante nella evoluzione spirituale di Giovanni, il quale fu battezzato nel 368, all'età di diciannove anni (si ricordi che era abitudine normale ritardare il battesimo fino all'età adulta e spesso fino all'età avanzata), e rimase tre anni al seguito di Melezio. Nel 371, infatti, Melezio dovette andare in esilio in Armenia. perché sopraggiunse ad Antiochia l'imperatore Valente, fortemente amico degli ariani.
Non sappiamo in che cosa consistesse l'attività di Giovanni al seguito di Melezio; è probabile che egli lo abbia aiutato nelle sue necessità pastorali; in ogni caso, egli rimase ad Antiochia ancora dopo che il vescovo dovette abbandonare la diocesi, e cioè fino al 372.
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LORENZA SETTI il 13 febbraio 2013 alle 23:36 ha scritto:
Un libro da meditare, non molto facile. In un mondo in cui siamo dominati dall'apparenza è di aiuto per affrontare le difficoltà della vita guardando le cose senza lasciarsi dominare dal pessimismo, ma dando una senso a quanto ci succede.