INTRODUZIONE
LA PERSONALITÀ DI ARNOBIO IL VECCHIO
Le poche notizie sulla vita di Arnobio di Sicca, detto anche Arnobio il Vecchio o il Retore o Maggiore o Afro per distinguerlo da Arnobio il Giovane, anch'egli probabilmente africano, provengono dall'unica fonte del De viris illustribus di Girolamo. Mettendo insieme questi accenni, si deduce che Arnobio nacque a Sicca Veneria, in Numidia, verso la seconda metà del III secolo, fu apprezzato retore e maestro di retorica negli anni 284-305 e alla sua scuola si formò anche Lattanzio. A Sicca era celebre, secondo la testimonianza di Valerio Massimo, il santuario di Venere, frequentatissimo da ragazze in cerca di dote.
L'ambiente africano risulta sicuramente attestato. La sua attività letteraria, marcata dalla persecuzione di Diocleziano, non può essersi protratta oltre l'anno 327, tuttavia le date esatte della nascita e della morte sono sconosciute.Nell'opera Arnobio si rivela un ingegno versatile e ardente, alla ricerca della verità, rispettoso delle tradizioni religiose, ricco di esperienza filosofica e retorica. Tuttavia, soltanto il contatto con il cristianesimo gli concesse di approdare a una soluzione definitiva dei suoi problemi e delle sue inquietudini. Sembra, secondo la notizia riportata da Girolamo, che egli si sia deciso a chiedere il battesimo in età avanzata, in seguito ad un sogno, e fu proprio l'esitazione del vescovo davanti alla sua conversione improvvisa all'origine dell'apologia contro i pagani, esibita, per così dire, come una specie di caparra per impetrare il battesimo. La conoscenza della letteratura greca e latina dovette acquisirla certamente attraverso la lettura diretta o in raccolte antologiche delle opere più notevoli degli autori utilizzati, potendo così fare un confronto culturale tra le tradizioni mitologiche orientali e quelle latine relative al concetto di Dio e alle manifestazioni della religiosità. Dalla testimonianza geronimiana si può dedurre che prima della conversione anch'egli aveva scritto opere retoriche e polemiche, che gli valsero una larga risonanza non solo nel suo ambiente culturale ma anche in quello cristiano.
Fanno fede della sincerità della sua conversione al cristianesimo i sette libri dell'apologia Contro i pagani, opera che a molti appare acerba, dal punto di vista cristiano, sebbene ricca di fervore e di calore missionario. Particolarmente singolari appaiono le sue idee sull'origine e l'immortalità condizionata dell'anima, sulla Provvidenza, sulla Bibbia. Quanto al sogno che lo avrebbe indotto alla conversione non può che trattarsi di un luogo comune, ricordato da Girolamo per evidenziare la mozione trascendente che spinse da una parte il retore verso il cristianesimo e dall'altra il vescovo a sottoporlo alla prova di una specie di "palingenesi", rinnegare cioè con una nuova opera a difesa dei cristiani, quanto prima aveva divulgato con tante opere contro la nuova fede. Arnobio infatti sembra non prenderli in molta considerazione quando li qualifica come sogni inconsistenti al contrario di Lattanzio, e della tradizione cristiana, che ne fanno invece uno strumento diretto di intervento divino.
Da questi cenni si può intuire perché il cristianesimo di Arnobio si presenti ai teologi e ai letterati problematico e unico nella storia dell'apologetica. Riportiamo per tutti il disegno delineato dal Marchesi, che ne tratta con palese simpatia e ne scopre anche risvolti psicologici. Per lui Arnobio è il problema di un pagano che ha fretta di entrare nel cristianesimo, e vi entra col bagaglio pagano, muovendosi con disinvoltura tra le massime di Platone, dei neoplatonici, degli stoici, degli epicurei, accettandole o rifiutandole a seconda della loro vicinanza o lontananza dal messaggio cristiano.
Pertanto egli appare non tanto avvinto dalla fede nell'insegnamento cristiano quanto dalla paura della estinzione finale, dando eccessivo peso all'affermazione-esortazione: ne obrepat dies extremus et inimicae mortis reperiamur in faucibus. Distingue poi nettamente nell'opera una parte costruttiva. nei libri I-II, e una aggressiva, nei libri III-VII, che, per lui, trovano unitarietà nella polemica incessante contro tutte le forme del politeismo mitologico, conclude che non sono le sacre Scritture a convincerlo, quanto piuttosto la perdita di significato dei vecchi culti e dei vecchi sistemi razionali: «Più che un catecumeno del cristianesimo è un disertore frettoloso e acceso del paganesimo».