Opera di grande importanza, a motivo della sua forma di dialogo e del rilievo dato ad un periodo storico cruciale della storia della Chiesa, il "Dialogo" del Palladio, composto presumibilmente nell'anno 408, è imperniato attorno alle vicende del grandissimo oratore e vescovo di Alessandria Giovanni Crisostomo, condannato ingiustamente per aver professato dottrine eretiche ed esiliato. In prima versione in lingua italiana, l'opera di Palladio non mancherà di suscitare un grande interesse attorno alla figura di Crisostomo.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
I. SAN GIOVANNI CRISOSTOMO
Proporsi di narrare la vita di un personaggio famoso vuol dire anzitutto riferire date biografiche sicure. Per quel che riguarda il Crisostomo, purtroppo, almeno per quello che si riferisce alla prima metà della sua vita, ci troviamo in una grande incertezza; gli stessi studiosi che si sono occupati di questo problema, rimangono ancora ancorati in soluzioni diverse, a cominciare dalla data di nascita. Quella data varia, secondo la diversa interpretazione delle fonti, fra il 340 e il 350. Non potendo ovviamente ritardarci in tale questione, mi limiterò a richiamare alcuni elementi, lasciando però sempre sottintesa la probabilità della loro inesattezza. Egli nacque ad Antiochia. Il padre, di nome Secondo e di probabile origine latina, apparteneva agli ufficiali militari d'alto grado.
La madre, di nome Antusa, donna d'alto sentire e di fede profonda, rimasta vedova all'età di vent'anni, non pensò a risposarsi e attese con ogni cura all'educazione del figlio. Socrate e Sozomeno affermano che egli fu allievo del celebre Libanio, retore di grandissima fama, ma tale affermazione non è da tutti accettata come fondata. Della sua adolescenza conosciamo alcuni tratti per sua stessa confessione, da lui dichiarati all'inizio della sua opera Il sacerdozio. Compiuti gli studi classici, si sentì attratto verso la vita del foro e verso gli spettacoli del teatro, molto frequentati da tutta la città. Nel tempo stesso sorse forte in lui l'attrazione per una vita cristiana più perfetta, in qualche ritiro. E avrebbe finito per realizzare il suo proposito se la madre non l'avesse supplicato di non abbandonarla. Non si possono leggere senza commozione le parole insistenti di quella madre che pregò il figlio di non lasciarla sola. Egli mantenne tuttavia una vita pressoché monastica, e intanto si preparala a ricevere il battesimo che gli venne conferito nella notte di Pasqua del 369. Nel frattempo aveva frequentato le lezioni di un certo Diodoro, espertissimo e stimatissimo esegeta, come pure aveva fatto capo alla sede di un «asceterio», tenuto dallo stesso Diodoro: era una specie di casa di esercizi spirituali.
Nel 372, probabilmente dopo la morte della madre, maturò in lui la decisione di dedicarsi a una vita ascetica di tutta perfezione. Vi passò almeno sei anni: i primi quattro sotto la direzione di un provetto eremita, e gli altri due in una solitudine completa in una caverna. Ma la sua salute non resse a tanta austerità, e allora dovette ritornare al «porto della Chiesa». Correva l'anno 378. Grande era già la stima che nutriva di lui il vescovo della città, Melezio: egli l'accolse e lo intrattenne con l'intenzione di prepararlo per il servizio della chiesa: fu infatti da lui promosso, prima al lettorato, e poi al diaconato (380-381). Questo tirocinio durò sei anni. Nel 386 fu ordinato prete dal nuovo vescovo Flaviano, che gli affidò l'incarico di predicatore, e fu in quel periodo che egli si acquistò il prestigio di massimo fra gli oratori sacri. Egli rimase nell'esercizio di quell'attività per dodici anni, fin verso la fine del 397.
In quell'anno venne meno Nettario, vescovo di Costantinopoli. La brama di accedere a quella carica era molto grande, e gli intrighi che andavano annodandosi e annidandosi fra i vari membri del clero per raggiungere quella sede così importante ci vengono rivelati dallo stesso Palladio. L'atmosfera del momento, da lui descritta, ci interessa tanto piu in quanto rappresenta la base destinata a dare inizio alla seconda fase della vita del Crisostomo.
«Ecco dunque - egli scrive - giungere la notizia della morte di Nettario, vescovo di Costantinopoli. Fu quella l'occasione perché si facessero avanti certuni, del tutto indesiderati, bramosi però d'arrivare a quella cattedra così onorifica: erano uomini che non erano uomini; presbiteri per la loro dignità, ma del tutto indegni del sacerdozio. Di essi alcuni erano intenti a far risuonare le porte del pretorio; altri ad allungare doni per corrompere; altri ancora a porsi perfino in ginocchio a supplicare la gente. Davanti a tale spettacolo ecco elevarsi la voce del popolo dei benpensanti per indurre l'imperatore a cercare e a scegliere chi fosse veramente degno di quell'alto sacerdozio». Tra i candidati proposti a quella dignità appariva un certo Isidoro addetto all'amministrazione della casa dell'ospitalità di Alessandria: egli era designato da Teofilo, vescovo di quella città. Avrebbe dovuto rappresentare in qualche modo una pedina risolutiva a favore dello stesso Teofilo presso la corte imperiale.
Il nuovo vescovo di Costantinopoli infatti sarebbe divenuto una vera difesa perché Alessandria non perdesse il suo secolare prestigio. Ma proprio in questa atmosfera così delineata noi assistiamo alle ormai ricorrenti interferenze fra il potere civile e la giurisdizione ecclesiastica, così com'era avvenuto al tempo di Atanasio. A impedire l'elezione di Isidoro, candidato di Teofilo, ecco intervenire il ciambellano di corte e ministro preferito dell'imperatore, Eutropio. Fu lui a chiedere ad Arcadio la designazione di Giovanni alla sede di Costantinopoli, poiché l'aveva conosciuto e apprezzato in un suo viaggio attraverso l'Oriente. Per colmo di ironia la consacrazione del nuovo eletto era riservata da tempo al vescovo di Alessandria, sicché toccò proprio a Teofilo il compito di consacrare Giovanni quale vescovo della «Nuova Roma». Così il Crisostomo, ordinato il 15 dicembre del 397, prese possesso della sua sede il 2 febbraio del 398. Quella vicenda segnò dunque per Teofilo una doppia sconfitta e una scottante umiliazione: era stato escluso il candidato da lui proposto, e proprio lui, Teofìlo, aveva dovuto prestarsi alla consacrazione del preferito dalla corte. Da allora egli non pensò ad altro, se non a rivalersi fino all'eliminazione del temuto avversario.