Il vescovo Valeriano si sofferma sulla prassi quotidiana del vivere cristiano e sugli effetti salvifici dell'Incarnazione. In particolare le "Omelie" mettono in luce la necessità della coerenza alla chiamata e alla salvezza ricevuta da Dio da parte del battezzato. All'autore è attribuita anche una "Epistola ad monachos" che è stata inserita in Appendice, in prima traduzione in lingua moderna.
INTRODUZIONE
I. L'Autore
La figura di Valeriano vescovo di Cimiez, presso Nizza, quale scrittore ecclesiastico e Padre della Chiesa è, in certo modo, il frutto di un'operazione filologica a cavallo tra XVI e XVII secolo. Caso non unico nella storia della letteratura cristiana antica; certo però fortunato in quanto coronato dal successo dell'attribuzione d'un corpus di scritti a precisa paternità. Le vicende dell'omiliario di Valeriano possono essere così accomunate a quelle che hanno portato all'individuazione degli scritti di Quodvultdeus i e del corpo esegetico dell'Ambrosiaster, personalità quest'ultima a sé stante rispetto ad Ambrogio e Agostino, ancorché condannata all'anonimato.
Valeriano era noto in quanto Episcopus Cemeliensis tra i firmatari delle decisioni conciliari a Riez (439) e a Vaison (442): il riferimento alla prima assise è importante al fine di stabilire un terminus ante quem minimo per l'inizio dell'episcopato del Nostro.
Altro elemento storico-cronologico utile è la firma che compare negli atti del Concilium Arelatense del 455 (?), presieduto da Ravennio di Arles, successore di sant'Ilario. Ma più ancora si comprende l'attenzione costante d'interesse comune dell'omileta ad argomenti che, ogni cristiano. sono tuttavia affrontati con mentalità che non può non avere radici monastiche: primo fra tutti il tema della disciplina secondo ciò che verrò a suo tempo indicato.
II. L'opera
Abbiamo detto che il corpus Valeriani è frutto di un'opera di filologia. Questa è stata condotta a termine in momenti successivi, prendendo avvio dalle riserve avanzate già da Erasmo da Rotterdam stilla paternità agostiniana del de bono disciplinae sermo. L'ipotesi erasmiana fu recepita e ulteriormente illustrata da M.H. Goldast nell'edizione ginevrina del senno ( 1601 ).
Dopo una seconda edizione nel 1604, il Sirmond (1612) restituì a Valeriano altre diciannove omelie e l'Epistola ad monachos, rinvenendone i testi in un non meglio precisato «unico [...] ma poco corretto esemplare» (unicum sed parum castigatati manus exemplar) d'un monastero in Corby. L'erudito ci informa del fano che il manoscritto era mutilo dellaprima omelia - il de bono disciplinae sermo - come pure non indicava la diocesi del Valerianus autore delle omelie tràdite
Tuttavia, l'attribuzione al presule di Cimiez è presto compiuta sulla base di argomenti di critica interna, secondo quanto detto dallo stesso scopritore: « Facile fu tuttavia avanzare l'ipotesi a partire dalla somiglianza di stile e d'argomento, per la quale queste omelie fosse gemelle d quelle, e tutte composte dall'unico e medesimo Valeriano, vescovo di Cimiez. Né in questo alcuno, se non vado errato, contesterà [...]. E, di fatto, il consenso degli studiosi circa la paternità delle Homiliae XX non è venuto meno.»
Su tale base, l'opera del Nostro fu ripresa più volte nei secoli XVII e XVIII, sino all'edizione veneziana del 1774 fluita poi nella collezione del Migne.
Nel corpus, se incontestata e incontestabile è la paternità delle omelie, non altrettanto può dirsi per l'Epistola ad monachos de virtutibus et ordine doctrinae apostolicae, come pure per l'Homilia in dedicatione ecclesiae.