ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
1. Gli Atti degli Apostoli, vale a dire il libro del Nuovo Testamento che fornisce più notizie sulle origini e sui primi tempi della Chiesa, non sembra aver avuto tra gli esegeti antichi la stessa fortuna che invece incontra fra gli studiosi moderni. In lingua greca possiamo ricordare due serie di Omelie, rispettivamente di Origene e di Giovanni Crisostomo; in lingua latina, addirittura niente fino a Beda: non mancano ovviamente nelle opere dei grandi esegeti (Girolamo, Agostino, Gregorio Magno) riferimenti saltuari a questo o a quel passo degli Atti con relativa interpretazione, ma nessuno sembra aver avvertito l'opportunità di dedicare a questa opera tanto importante un commento adeguato. E difficile indicare un motivo preciso di questa lacuna: si può forse supporre che, data negli Atti la preminenza della figura di Paolo, l'interesse sempre fortissimo che le Lettere dell'Apostolo hanno suscitato negli esegeti antichi abbia finito per far ritenere superfluo lo studio sistematico anche degli Atti.
Quanto a Beda, nella lettera di prefazione e di dedica dell'Esposizione degli Atti (Expositio Actuum apostolorum) all'amico vescovo Acca, egli ricorda che questi lo aveva invitato a scrivere un commento dell'evangelista Luca. «Ma poiché - osserva Beda - finora [siamo tra il 709 e il 716] non l'ho potuto fare perché atterrito dalla grandezza dell'opera e inoltre impedito e distratto da varie ragioni che tu ben conosci, per non lasciar cadere completamente la tua autorevole richiesta, per il momento ho fatto il poco che ho potuto. T'invio infatti un breve modo molto saltuario nel senso che di interi libri o capitoli di libri vengono prescelti solo un certo numero di passi e manca completamente il collegamento tra un passo e l'altro. Invece nell'opera di Beda, di norma per ogni capitolo vengono illustrati molti versetti, spesso con andamento sistematico e con omissioni soltanto di qualche versetto per contesti molto ampi, sicché in questi punti l'Esposizione dà addirittura l'impressione' di un commento sistematico. Altre volte invece, come l'abbiamo già ricordato, l'Esposizione è molto più saltuaria e quindi può ricordare più da vicino le raccolte di cui abbiamo parlato. In definitiva, l'opera di Beda sta a mezzo tra il commentario sistematico e la raccolta di glosse scelte.
2. Gli interessi che hanno ispirato le spiegazioni di Beda sono molteplici e, dato il particolare carattere dell'opera, emergono con chiarezza uno rispetto all'altro. Alla base è evidente l'interesse di natura testuale. Beda sa che corrono nella sua regione e altrove, traduzioni latine degli Atti degli Apostoli diverse tra loro perciò suo interesse primario è rilevare in modo abbastanza, anche se non del tutto, sistematico, le varianti a lui note onde renderne avvertito il lettore. Egli, che si giova anche di qualche elementare nozione di greco e perfino ancor più elementare di ebraico, fonda la sua conoscenza del testo latino degli Atti soprattutto sul famoso codice Amiatino, contenente il testo latino degli Atti nella traduzione di Girolamo, cosiddetta Vulgata. Ma dimostra di conoscere anche al no altri due esemplari della Vulgata, che in vari punti non concordano col testo del codice Amiatino. Inoltre, egli ha sottomano a Jarrow il codice E che gli permette il riscontro con l'originale greco degli Atti e con l'antica traduzione latina posta a fronte di questo testo: è questa una versione latina pregeronimiana degli Atti, non sempre perfettamente corrispondente col testo greco che le sta a fronte. Inoltre, Beda dimostra di conoscere almeno altri due esemplari di versione latina degli Atti anteriore a Girolamo. Sulla base di questo materiale documentario, certamente notevole se lo rapportiamo ai tempi e alle condizioni culturali dell'ambiente, Beda in vari casi, dopo aver addotto il lemma, prevalentemente ma non sempre ricavandolo dal codice Amiatino, propone un altro testo spesse volte più diffuso rispetto a quello di base che egli cita. Egli si propone di arrivare tramite questi riscontri al testo greco che giustamente considera più autorevole delle varie versioni latine che conosce, con prevalente tendenza a considerare le divergenze tra il testo greco di E e le traduzioni latine come dovute a errori casuali o ad alterazioni coscienti apportate al testo originale dal traduttore latino o da qualcuno dei trascrittori di tali testi.
Ma in qualche caso le divergenze tra le diverse traduzioni latine risalivano a divergenze già esistenti tra i vari esemplari del testo greco, e in alcuni di questi casi il testo greco che Beda aveva sottomano non era il migliore. Per esempio ad Atti 2, 37 il testo greco-latino a sua disposizione aggiungeva monstrate nobis a Quid faciemus, viri fratres? del testo latino, e in 2, 41 recava: libenter recipientes invece di receperunt. In ambedue i casi Beda considera originaria la lezione del greco, che invece gli editori moderni considerano solo una variante secondaria e perciò accolgono come originario proprio il testo latino di cui Beda faceva uso.