Ristampa 2010
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
I. Premesse ebraiche alla lettura origeniana del Cantico
Non sono pochi gli studi contemporanei che prendono in esame l'esegesi di Origene cercandone le linee e i rapporti di riferimento e di lettura con particolare riguardo alla tradizione ebraica. Il mistero di luci e ombre che ha avvolto per secoli la figura di Origene — anch'esso significativo del fascino che essa non ha mai cessato di esercitare e della vitalità che tuttora la contraddistingue — può trovare nuove aperture nella grande tradizione di «vita nella Scrittura» propria delle antiche comunità ebraiche. Non a caso quella di Origene non è semplicemente esegesi, ma vita nella Scrittura, per la Scrittura, secondo la Scrittura, come poi egli contribuirà a trasmetterla alla vita ecclesiale, e in particolare alle prime forme del monachesimo cristiano.
L'indagine linguistica e di pensiero trova molti elementi cui ricollegarsi: quelli anzitutto della grande Alessandria cosmopolita, ricca di suggestioni, fervente di rapporti, dalle molteplici ricerche e valenze. Qui Origene è venuto alla luce, ha ricevuto la formazione sostanziale della fede e della cultura umana, attraverso il cristianesimo forte della sua tradizione di famiglia, e la positiva inquietudine di un ellenismo mosso appunto ad aprirsi anche da un giudaismo colto e fine verso la profonda comprensione della rivelazione evangelica. Elementi tutti che confluiscono nella vita e nel pensiero di Origene.
Non riprendiamo ora le alterne vicende della vita, i viaggi molteplici, gli studi, i lavori, le fatiche, gli incontri significanti, e il soggiorno lungo, abituale dopo il 232, a Cesarea di Palestina; basti dire che è appunto in quest'ultimo approdo che Origene ha modo di dialogare con la tradizione diretta delle scuole di esegesi ebraica, secondo i suoi aspetti secolari di fedele lettura della Scrittura, e le sue tematiche nuove, post-cristiane, di polemica e di tensione combattiva, nello scorcio di un difficile trapasso da una certa ricerca di apertura e proselitismo arioso alla diffidenza sofferta, propria di una cerchia perseguitata che si disseminerà nei secoli successivi con le sue prove e le sue speranze sempre più chiuse e incomunicate.
Da questi e da altri dati ancora attinge Origene per accogliere la Parola e assimilarla in una verità totale. Sono molti gli apporti, abitualmente non sistematici, che si riflettono nella sua esegesi di maestro, nella sua preghiera di sacerdote, e questo nella elaborazione dottrinale dei commenti così come nella esposizione calda e coinvolgente delle omelie. Del resto, se c'è un libro nella cui lettura possano confluire l'insegnamento di scuola e l'ardore dell'anima, la riflessione personale e la immersione comunitaria, ecclesiale, raggiungendo la loro più profonda unità e aderenza all'insegnamento divino e alla tradizione umana che su di esso si è esercitata, questo è indubbiamente il Cantico dei cantici.
Già una lettura non preconcetta del Targum mostra che la tradizione ebraica leggeva il Cantico non come un'avventura disincarnata, non come proiezione sia pure luminosa ma astratta della storia d'amore fra Dio e l'umanità, ma rimeditando nello Spirito Santo la vicenda storica della elezione di un popolo, per pura grazia elevato a Sposa, rileggendo e riunificando nel più santo dei libri santi i passi tutti individuabili di un itinerario antico che aveva colto sul Sinai le sue linee maestre, ed era tutto proteso al compimento e alla luce dei tempi del Messia. Il misericordioso riscatto di Dio scriveva nel cuore d'Israele l'ansia di una salvezza aperta a tutte le genti, fino agli angoli più remoti della terra, e di cui la scelta del popolo era il sacramento primordiale: perché per dono creativo quel popolo diventava sempre più, in virtù di quella scelta, la fidanzata, la sposa, la madre, la comunità, la Chiesa.