ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Sul monachesimo egiziano esiste una letteratura così vasta, e almeno in parte così largamente conosciuta, che risulterebbe del tutto superfluo tracciarne qui una storia, sia pure per sommi capi. D'altra parte, un libro come questo impone un'introduzione che fornisca un inquadramento storico e letterario dei testi (assai poco noti) che vengono presentati, e dia conto dei motivi per cui essi sono stati per lo più trascurati. Pertanto noi cercheremo di farlo, ma quanto diremo è in relazione alla storia e ai caratteri fondamentali del monachesimo egiziano'.
I testi che presentiamo sono tradotti dal copto, cioè da una delle lingue parlate e scritte dai cristiani d'Egitto fra il II e il XII secolo. Diciamo una delle lingue, perché accanto ad essa venne usato prima il greco e poi, a partire dal VII secolo, l'arabo. Ma il copto era la lingua che direttamente derivava da quella egiziana, parlata da sempre nella valle del Nilo, pur subendo una lenta evoluzione che comportò anche tipi diversi di scrittura, imparentati fra loro: il geroglifico, lo ieratico, il demotico. Il copto (cosi chiamato dagli studiosi occidentali, dal termine arabo che designa gli egiziani, e che altro non significa se non appunto « egiziano ») Venne scritto mediante l'alfabeto greco con l'aggiunta di alcuni altri segni, e rappresentò una innovazione anche per aver recepito una grossa quantità di vocaboli greci di ogni tipo, dai più semplici termini della vita quotidiana a quelli religiosi e filosofici.
Tuttavia, nonostante questo notevole, e del resto ovvio (considerate le circostanze storiche) influsso del greco, il copro restava la lingua che manteneva gli egiziani, che volessero sentirsi tali, in contatto con la loro tradizione e con la loro identità culturale. Proprio attraverso alcuni testi copti delle origini (secolo) è possibile rendersi conto che il rigetto dell'antica religione per accogliere il cristianesimo non significava necessariamente il rigetto della tradizione egiziana, cosi come il trionfo del cristianesimo nella cultura latina non significò il rigetto dell'idea di Roma.
Si consideri a questo punto che, sia o mio il monachesimo nato in Egitto (e la risposta più ragionevole sembra sì), sia o no il monachesimo stato influenzato da dottrine ascetiche originarie della Siria e dell'Asia Minore, è sicuro che il monachesimo egiziano rappresenta un movimento spirituale e sociale perfettamente autonomo, con moventi e caratteri anch'essi autonomi, beninteso nel contesto della situazione storica generale. È logico attendersi dei rapporti molto stretti fra monachesimo egiziano e testi monastici copti, e di conseguenza un forte interesse da parte degli studiosi del monachesimo egiziano per le fonti copte.
Non si può dire che ambedue queste attese siano infondate, né che siano state pienamente soddisfatte.
Il fatto è che il problema si presenta assai più complesso di quanto sembra, ed è necessario mostrarne alcuni fra i molteplici aspetti prima di potersene fare un'idea non confusa, semplicistica e distorta.
Prima di tutto è opportuno sottolineare la consistenza e soprattutto la qualità delle differenze esistenti fra Alessandria e il resto dell'Egitto, che spesso vengono trascurate o sottovalutate, intese come normali differenze fra capitale e resto del paese, fra metropoli e provincia. In realtà esse erano assai più profonde. Alessandria era la polis greca, fondata e popolata dai conquistatori per i propri fini, volta verso il mondo ellenistico, anche se al medesimo tempo era il centro amministrativo dell'Egitto, paese quanto mai centralizzato da sempre. Gli egiziani l'avevano considerata, e non cessavano di considerarla, un corpo estraneo, politicamente e culturalmente; né le cose erano cambiate con l'avvento del dominio romano.
L'introduzione del cristianesimo venne a complicare non poco questa situazione, sotto l'aspetto culturale e spirituale.