Il più consapevole contributo della spiritualità medievale alla teorizzazione dell'idea di amicizia. Aelredeo di Rievaulx (1109-1167) è la figura di maggior spicco del monachesimo cistercerse anglosassone. Educato all'amore per le Lettere, permeato di cultura biblica e agostiniana, discepolo fedele di san Bernardo, Aelredo pone il suo insegnamento sull'amicizia deliberatamente nel solco della tradizione, della quale però non esita a rivisitare in piena libertà i contenuti. Eco delle preoccupazioni spirituali del secolo XII e riflesso dell'animo dell'autore sul quale aveva esercitato una grande influenza la lettura del Laelius de amicitia ciceroniano, il De spiritali amicitia non è pertanto solo lo scritto più espressivo ed elegante dell'abate di Rievaulx ma rappresenta soprattutto il più consapevole contributo della spiritualità medievale alla teorizzazione dell'idea di amicizia.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
2. UNA NUOVA CONCEZIONE DELL'AMICIZIA
Il cammino di Aelredo alla ricerca di un ideale autentico di amicitia è mirabilmente sintetizzato dall'autore stesso nel prologo del De spiritali amicizia. Leggendo questa pagina, si avverte che l'abate di Rievaulx, prima ancora di essere un maestro, è un testimone, il quale ha personalmente vissuto e praticato quello che intende insegnare. Tocchiamo qui con mano, d'altronde, una nota caratteristica dell'intera produzione aelrediana, puntualmente rilevata da tutti i suoi interpreti. Il sapere di questo «educatore monastico» — come lo definisce Hallier — scaturisce per intero dalla sua vita e reca il segno di un animo sensibile e particolarmente incline alla pratica degli affetti.
Aelredo ha apprezzato le gioie dell'amicizia sin dalla più tenera età, quando era ancora uno scolaro («cum adhuc puer essem in scholis»: De spir. am., Prol., 1): niente gli pareva più dolce — egli confessa nelle prime linee del prologo, tutto intessuto di reminiscenze agostiniane —, niente più desiderabile o più utile che «essere amato ed amare» (amari et amare: ibid.). Il suo cuore si lasciava allora rapire in ogni direzione, «ondeggiando fra diversi amori ed amicizie» (ibid., Prol., 2), perché egli era ignaro della legge della vera relazione amicale. Un giorno, però, ebbe per caso tra le mani il Laelius di Cicerone e ne rimase profondamente colpito. Nel grande scrittore latino trovò infatti, per la prima volta, l'enunciazione di un ideale altissimo di amicizia, al quale ispirare tutta la sua vita. La lettura del dialogo ciceroniano — come è stato più volte sottolineato — sembra aver avuto su Aelredo un'influenza analoga a quella esercitata sul giovane Agostino dall'Hortensius (Confessiones, III, 4, 7-8): se il santo d'Ippona ha trovato nel retore pagano un invito alla ricerca della sapienza, il futuro abate di Rievaulx ne ha tratto un'esortazione a riflettere sull'amicizia e, ad un tempo, un modello etico di insuperata perfezione a cui ricondurre, almeno sul piano dell'esperienza terrena, l'esercizio degli affetti.
Più tardi, dopo aver abbracciato la disciplina del chiostro, Aelredo ebbe modo di meditare sulle Sacre Scritture e allora la sua ammirazione per Cicerone finì con l'attenuarsi, senza tuttavia mai scomparire del tutto. Da quel momento — egli annota — nulla gli risultava più gustoso se non era insaporito dalla sapienza rivelata e dalla dolcezza del nome del Cristo. Nondimeno egli avrebbe continuato a riflettere, per tutto il resto della sua vita, sul problema dell'amicizia: si accostò, in un primo tempo, ai Padri della Chiesa, nella speranza di trovare nuove idee e indicazioni, e nelle loro opere poté leggere «molte cose sull'amicizia» (De spir. am., Prol., 6), ma non una trattazione esauriente; prese così la decisione di analizzare se stesso e di scrivere un trattato sull'amicizia ritualis, per integrare, alla luce della sua esperienza di monaco, la preziosa eredità ciceroniana.
Quanto riferito da Aelredo sulla genesi del De spiritali amicitia ci consente di accennare, sia pure brevemente, alla questione delle fonti del suo pensiero e, in particolare, del suo rapporto con Cicerone. Se nel trattato aelrediano è possibile, infatti, individuare tracce di un grande numero di autori, non c'è dubbio che l'influenza di Cicerone sia quella preponderante. Le analogie tra il De spiritali amicitia e il Laelius balzano subito agli occhi: non solo la struttura dell'opera, i dialoghi dei personaggi, la tripartizione del tema ricalcano il modello ciceroniano, ma anche molti dei temi particolari sviluppati da Aelredo, a partire dalla definizione dell'amicizia, e persino alcuni dettagli di minore importanza sono chiaramente attinti da Cicerone (talvolta addirittura letteralmente). Tale constatazione ha portato talvolta a dubitare dell'originalità di Aelredo e, di conseguenza, a svalutare o a minimizzare l'importanza del suo trattato. Per Ph. Delhaye, ad esempio, il De spiritali amicitia non sarebbe altro che un décalque del Laelius ciceroniano, e Aelredo si sarebbe limitato, il più delle volte, a sostituire gli esempi di amicizie pagane con altri tratti dalla Bibbia, nel tentativo di fondare l'insegnamento di Cicerone sull'autorità della Scrittura.
A tale tendenza riduttrice si sono opposti gli studi più recenti, con un'analisi più completa che ha permesso di valorizzare adeguatamente il significato dell'opera 16. E, d'altra parte, il contributo originale di Aelredo alla riflessione sull'amicizia non può non sfuggire ove si consideri soprattutto la visione d'insieme e l'«atmosfera» del suo trattato, così differenti da quelle del Laelius. La «riscoperta» dei classici si unisce, nell'autore del De spiritali amicitia — come in tanti altri scrittori dell'epoca — allo sforzo di rielaborare e quasi di reinventare il loro pen
siero, innestandolo nel solco della «novità» cristiana. Anche quando riprende i temi più tradizionali, Aelredo non si accontenta di ripeterli, ma li rielabora alla luce della sua sensibilità, della sua cultura e della sua esperienza. Egli non si limita, dunque, a «copiare» Cicerone: vi si ispira, lo trasforma, lo interpreta e, se necessario, lo completa grazie ad altri apporti. Così, il mondo filosofico da cui Cicerone proviene non si dissolve nel testo di Aelredo, ma viene rinnovato e posto, per così dire, al servizio di una logica superiore.
È proprio questo l'intento dell'opera delineato nel Prologo e confermato poi nel corso dell'intera esposizione: non si tratta semplicemente di «integrare» la sapienza del mondo con il messaggio della fede, ma di delineare la fisionomia di una nuova concezione dell'amicizia, al fine di precisare il significato e le condizioni di questo sentimento per i cristiani. E se per Cicerone l'amore generoso per il «tu» umano è stato un punto d'arrivo, di fronte al fallimento di tante «amicizie» politiche, per Aelredo è piuttosto un punto di partenza, donde risalire a un traguardo ancora più elevato. Non a caso è lo stesso Aelredo a sottolineare più volte l'«inadeguatezza» di Cicerone e di ogni sapienza puramente «mondana», e quindi a formulare, sin dall'esordio dell'opera, la speranza di trovare nel Cristo il «luogo» e l'interlocutore privilegiato per una riproposizione del principio amicale classico (cf. De spir. am., I, 1).
3. IL DE SPIRITALI AMICITIA
Il De spiritati amicitia riflette il momento della maturità della dottrina aelrediana, essendo stato ultimato dall'autore quasi alla fine della sua vita. Nel Libro secondo si trova un riferimento allo scisma apertosi il 7 settembre 1159 con l'elezione dell'antipapa Vittore IV, e proseguito negli anni successivi con Pasquale III (cf. De spir. am., 11, 41). Piuttosto avanti negli anni, d'altronde, si dichiara lo stesso Aelredo nella conclusione del terzo dialogo, e un sintomo di incipiente sesi nilità potrebbe essere pure l'insistenza con cui egli sz sofferma sui ricordi giovanili, come pensa il Dubois. Il contenuto dell'opera ha però avuto una lenta maturazione, che risale alle sue prime esperienze di insegnamento in qualità di maestro dei novizi e si protrae per un lungo arco di tempo. Sappiamo, infatti, che la stesura definitiva del testo è costituita dalla rielaborazione di un primo abbozzo (pervenutoci attraverso due codici del XIII secolo) redatto, con ogni probabilità, subito dopo la composizione dello Speculum caritatis (dunque negli anni 1142-1143). Il collegamento con lo Speculum, confermato dall'affinità delle tematiche trattate, da una serie di riferimenti indiretti e da un esplicito rinvio fatto dall'autore (De spir. am., I, 19), risulta pertanto essenziale per comprendere la genesi e il significato del De spiritali amicitia.
Oltre al Prologo, l'opera comprende tre libri, di varia lunghezza, in forma di dialogo. Interlocutore del primo è un giovane monaco di nome Ivo, assai probabilmente Ivo di Wardon, un carissimo amico di Aelredo e il destinatario dell'opuscolo De Iesu puero duodenni; la scena è ambientata in un monastero dipendente da Rievaulx, forse nella stessa Wardon, l'abbazia dove Ivo viveva. Il secondo dialogo ci presenta, accanto all'autore, altri due monaci: il primo, di nome Galterus, senza dubbio Walter Daniel, amico e discepolo di Aelredo, mentre il secondo, un certo Graziano, sfugge ad ogni possibilità di identificazione. Il colloquio si svolge, questa volta, a Rievaulx dopo lunghi anni di interruzione (plures praeterierunt anni: De spir. am., II, 5). Il dialogo del terzo libro ha luogo il giorno seguente (quae ante hesternam collationem: ibid., III, 11), con gli stessi personaggi e nel medesimo luogo. Se il Libro primo può essere situato intorno al 1142, il secondo e il terzo tradiscono — come si è detto — una data di composizione assai posteriore (tra il 1158 e il 1163). Ciò risulta evidente anche dal commosso elogio di Ivo, che all'epoca si suppone già scomparso da tempo (cf. De spir. am., //, 5); e dallo stesso passo apprendiamo che solo da pochi giorni Aelredo era tornato in possesso della schedula da lui smarrita e sulla quale aveva annotato le domande dell'amico e le proprie risposte.
L'espressione amicitia spiritalis, che dà il titolo all'opera, si richiama al significato scritturistico (e segnatamente paolino) del termine spiritus, inteso sia come la dimensione più profonda e autentica dell'uomo, sia come principio di vita cristiana. Vedremo in seguito, con maggiore precisione, come Aelredo concepisca l'amicitia spiritalis; sin d'ora, però, occorre prevenire un facile fraintendimento: non bisogna credere che lo spiritaliter amare di cui egli parla si risolva a livello puramente mistico o interioristico, secondo un male inteso «spiritualismo». Per essere autenticamente «spirituale» l'amicizia, secondo l'abate di Rievaulx, richiede indubbiamente un piano di realizzazione più elevato del suo mero darsi fenomenologico o interumano; tale esigenza, però, non autorizza a comprenderla come un'esperienza di carattere esclusivamente soprannaturale. Non si tratta neppure di un genere di vita riservato agli ambienti monastici, benché nel chiostro l'amicizia possa trovare un contesto particolarmente favorevole alla sua instaurazione, che eviti le degenerazioni e gli egoismi del «mondo». Ancor meno si tratta di una relazione astratta, «disincarnata», non attenta cioè alla concreta persona dell'amico: a più riprese Aelredo sottolinea, al contrario, tutte le componenti o dimensioni dell'amicizia, compresa quella sentimentale, affettiva ed emozionale. L'amicitia spiritalis è, insomma,.nella concezione aelrediana, una genuina amicizia umana, vissuta nello spirito del Cristo, ma senza esclusivismi o chiusure preconcette: l'esperienza più ricca e concreta del «voler bene» all'altro, quando si lasci «ordinare» dalla ragione al suo fine ultimo, che è la conoscenza e l'amore di Dio.
Il piano dell'opera, chiaramente enunciato nel Prologo, sembra ricalcare — come abbiamo detto — lo schema del Laelius ciceroniano (natura e origine dell'amicizia, sua utilità, leggi della sua realizzazione). Nel Libro primo, Aelredo ricava, dopo averla analizzata, la nozione cristiana di amicizia e si sofferma sulle diverse forme di rapporto amicale (I, 11-49); segue l'esame dell'origine dell'amicizia: dalla natura, dall'esperienza e dalla legge (I, 50-61). Il Libro secondo illustra i vantaggi e l'eccellenza dell'amicizia: l'autore precisa, così, i mali dell'isolamento ed espone i diversi significati degli oscula (bacio corporeo, spirituale e intellettuale) (II, 8-27); affronta, poi, la questione dei limiti dell'amicizia e chiarisce la natura della vera amicizia, distinguendola da quelle inautentiche (II, 28-64). Il Libro terzo, assai più ampio dei precedenti, stabilisce i quattro momenti attraverso i quali deve passare ogni amicizia degna di questo nome per divenire perfetta: la scelta, che scarta le persone indegne (III, 14-59); la prova della fedeltà, dell'intenzione, della discrezione e della pazienza (III, 59-76); l'accoglienza (III, 76-87); e infine la piena sintonia nella gioia degli amici (III, 88-127).
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Maria Carmela Petrosino il 15 gennaio 2016 alle 16:14 ha scritto:
Letto in adolescenza e riletto ora in età matura. L'amicizia in Cristo, che nasce con Lui, continua attraverso di Lui, e si edifica avendo Lui come punto in comune. Una storia di bene e di bellezza di relazioni che ci invita a costruire legami sani e duraturi.
Frate Fra Antonino Gulisano il 4 luglio 2022 alle 12:07 ha scritto:
Libro da leggere con attenzione...
Suor Loredana Abate il 4 settembre 2024 alle 10:49 ha scritto:
Il testo di Aelredo può essere definito il massimo trattato sull'amicizia in ambito spirituale. Composto in forma di dialogo, riporta il lettore, attraverso anche citazioni dalla scrittura, a leggere la relazione di amicizia 'come un grado per elevarsi all'amore e alla conoscenza di Dio'. Il fulcro dell'amicizia è l'amore ispirato da Cristo stesso. Consigliato a tutti per una riflessione sul proprio modo di vivere le relazioni più profonde, soprattutto in contrapposizione ai legami utilitaristici che ci propone la società dell'usa e getta.
Pontificio Seminario Marchigiano Pio XI il 25 ottobre 2024 alle 15:54 ha scritto:
Tra i vari volumi di Aelredo di Rievaulx presenti in biblioteca mancava la breve opera sull'amicizia spirituale, acquistata grazie al docente di Teologia spirituale, che l'ha consigliata come lettura ai suoi studenti dell'Istituto Teologico Marchigiano e dell'Istituto superiore di Scienze religiose. Si tratta infatti di un classico della spiritualità medievale che, nel solco della tradizione permeata di cultura biblica ed agostiniana, ha ben contribuito alla teorizzazione dell'idea di amicizia.