Intorno alla metà del III secolo la Chiesa africana è sconvolta dalla persecuzione di Decio e dallo scisma di Novato che rischiava di spaccare gravemente la comunità. In questo contesto Cipriano compone L'unità della Chiesa, il primo trattato della cristianità antica su tale argomento in cui l'Autore ribadisce ricorrendo a numerose immagini bibliche le due caratteristiche - unicità e universalità - che, per esplicita volontà di Dio, la Chiesa deve avere. Dalla necessità, invece, di istruire i pagani appena convertiti e battezzati, Cipriano scrive intorno al 251 La preghiera del Signore, un breve trattato sul "Padre nostro".
Prendendo come punto di riferimento una precedente opera di Tertulliano sulla preghiera anch'essa destinata alla catechesi, Cipriano sottolinea l'utilità della preghiera nei momenti della persecuzione e la necessità che i cristiani siano unanimi e vivano in comunione durante la preghiera. Apparentemente semplice e "priva di pretese", tale operetta si rivela ricca di sensibilità e di saggezza e conosce una straordinaria diffusione fino a diventare l'esegesi di riferimento della preghiera cristiana per eccellenza.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Il trattato in alcuni manoscritti medievali è intitolato solamente De ecclesiae unitate, mentre altri aggiungono anche il titolo di catholicae: in ogni caso, anche se l'aggettivo "cattolico è assente, il concetto che è rappresentato è implicito nel testo: la Chiesa deve essere universale e unica. Il capitolo 5 espone la concezione ciprianea della Chiesa, dopo la proclamazione dell'unità dell'episcopato. Essa è unica, perché la sua origine è unica, in quanto e stata edificata su quella pietra che è Simon Pietro. Per rappresentare tutte le caratteristiche e i preziosi doni che essa possiede Cipriano applica ad essa numerosissime figure e immagini bibliche: la Chiesa è come l'arca di Noè, al di fuori della quale nessuno si salva (cap. 6).
A differenza del popolo ebraico, che si divise in dodici tribù alla morte di Salomone, e del profeta Achia di Sito, che si rivolse a Geroboamo e divise in dodici pezzi la sua tunica, il popolo di Cristo non può dividersi (cap. 7). Il Signore aveva detto che là dove due o tre si riuniscono nel suo nome, egli è con loro (Mt 18, 20), e così i tre giovani nella fornace ardente sono salvati da Dio per merito dell'unanimità dei loro sentimenti (Dn 3, 49ss.). Altri episodi della storia del popolo eletto (Caino e Abele, Nathan e Abiron, Mosè e Aronne, nei confronti dei quali Dio volse il suo sguardo benevolo solo verso chi non si era staccato da lui) e dei primi cristiani (Paolo e Sila: At 16, 19ss.) ribadiscono il concetto essenziale,. immagini e fatti storici sottolineano la necessità e la bontà della concordia e dell'unione; alla validità oggettiva, sancita da Dio, dell'unità della Chiesa universale, si aggiunge una gran copia di esempi, che ne mettono in risalto la preziosa utilità. Ed anche il vocabolario che esprime tale unità è estremamente variato: fraternità, unanimità, concordia.
Cipriano lo afferma vigorosamente alla fine del trattato: la Chiesa è madre di tutti i cristiani, e non vuole che nessuno perisca, ma che tutti costituiscano un sol corpo. Bisogna evitare gli scismi e i dissensi, seguendo l'ammonimento dell'Apostolo (2 Ts 3, 6; Ef 4, 5). Inoltre egli si rivolge ai fedeli, perché le sue preoccupazioni sono di ordine pastorale; dedica tutte le sue energie a conservare l'unità e la coesione del suo popolo.
Ma l'unità della Chiesa non proviene solamente dal desiderio degli uomini: deriva dalla esplicita volontà di Dio. Chi lacera la pace e la concordia agisce contro Cristo, perché non possono esistere dei cristiani al di fuori della Chiesa. L'unità deriva da Dio stesso (cap. 6), risiede nella sua natura, che si manifesta secondo le parole dell'apostolo: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10, 30). Come Dio è uno e il Cristo è uno, così una deve essere la Chiesa e una la fede ed il popolo deve essere stretto dal cemento della concordia (cap. 23). In questo modo il corpo dei cristiani non è separabile dal corpo di Cristo e il mistero della Chiesa non è separabile dal mistero dell'incarnazione.
In questo modo la forte personalità di Cipriano — visibile sia nei trattati sia nel suo ricco, e cosi umano, epistolario — riuscì a tenere unito l'episcopato africano, sul piano dottrinale e disciplinare. Egli si basa, appunto, proprio sull'esigenza dell'unitas, che porta come conseguenza episcopale. In questo, la Chiesa cristiana d'Africa fece un significativo e prezioso progresso: basti pensare alla debole voce (se non addirittura il silenzio) che le Chiese cristiane hanno nelle opere di Tertulliano. E non possiamo non ricordare la famosa sentenza ciprianea: «non son i martiri che fanno la Chiesa, ma è la Chiesa che fa i martiri», per far comprendere che tutti, anche i più meritevoli, come i martiri e i confessori, che hanno versato il loro sangue per la fede, si sono acquistati dei meriti solo se si trovano all'interno della Chiesa. Un martirio consumato fuori della Chiesa può essere esempio mirabile di forza d'animo, ma è sostanzialmente sterile sia per la comunità sia per il martire stesso. Lo conferma anche un'altra famosa sentenza: «Habere iam non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem».
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Suor Elisabetta Fabiano il 23 ottobre 2014 alle 10:01 ha scritto:
Scritto di un grande Padre della Chiesa che approfondisce in modo "spirituale" la preghiera che Gesù ci ha lasciato e il tema, sempre molto attuale, dell'unità della Chiesa. Molto profondo e utile per la preghiera.
Don Nicola Salsa il 12 ottobre 2022 alle 10:04 ha scritto:
Il testo ripercorre in traduzione il commento di Cipriano al Padre Nostro. É un testo che permette al lettore di entrare nella cultura del tempo e di riuscire a ricavare spunti preziosi anche nell'attualità