A cosa serve la conoscenza? Cos'è la "vera" cultura? Qual è la funzione dell'insegnamento? A questi interrogativi cerca di rispondere il maestro Agostino, in un dialogo serrato e vivace con l'allievo Adeodato che prende spunto da una riflessione su parola e linguaggio e sulla loro relazione con il processo formativo ed educativo. Pietra miliare nella cultura e nella pedagogia intesa come trasmissione dei valori dell'humanitas, Il Maestro è uno dei "codici" dell'interiorità cristiana, in cui la spiritualità si fa concreta nella storia e nella tradizione.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
I. Istanza di storicizzazione
Il dialogo è stato scritto nel 389 nel primo periodo del soggiorno tagastense dopo íl rientro dall'Italia, quando Agostino aveva già abbracciato l'ideale di vita comunitaria. L'interlocutore è il figlio Adeodato. Nelle Confessioni egli dice che allora il giovanetto aveva sedici anni, che sono suoi tutti i pensieri che gli sono attribuiti nel dialogo e che l'ingegno e la precoce maturità di lui gli ispiravano una specie di terrore, dissipato dalla morte anche essa precoce. Il dialogo si svolge quindi quasi alla vigilia della sua morte e suona al nostro orecchio un po' come un epicedio. Premesse queste notizie di carattere storico, si intende in queste righe porre in rilievo una istanza di storicizzazione per l'esatta interpretazione e comprensione del dialogo o, se si preferisce, un criterio per una lettura che dia l'esatta, come è possibile, dimensione del suo genuino significato storico, soprattutto Per quanto riguarda la paideia.
Abitualmente gli studiosi, anche i migliori e certamente, migliori dello scrivente, si premurano di fare uno o anche riferimenti fra l'opuscolo agostiniano e la quaestio disputata XI de veritate di san Tommaso. L'unico risultato che si ha dal confronto, a parte che, non si sa perché, è sempre Agostino a rimetterci, è quello di destoricizzare vero significato del dialogo di Agostino anche perché si tende a mettere in rilievo quello che di Agostino Tommaso non intendeva e quello che Tommaso non poteva esigere che Agostino dicesse. Caso mai il confronto sarebbe valido in senso di storicizzazione se lo studio riguardasse l'opera di Tommaso perché Agostino viene, storicamente parlando, prima di Tommaso.
E prima di Agostino sul problema dell'insegnamento e del linguaggio come strumento di comunicazione e di trasmissione del sapere e della cultura, o in sintesi, dell'insegnamento come fatto etico e semiologico c'era un millennio abbondante di tradizione filosofica e critico-linguistica. Aveva cominciato Pitagòra a dire che c'era corrispondenza fra le parole e la natura delle cose. Ma Democrito gli aveva risposto che le parole sono dovute a istituzione, al caso, alla convenzionalità ed hanno la funzione di creare una sembianza, un'apparenza, al di là della quale non c'è la cosa. La classica opposizione fra la 4y6atc e il vóptoc o la che ritorna nei Sofisti. Fra di essi Gorgia credeva all'onnipotenza della parola o meglio della tecnica del linguaggio. La sua tematica veniva rinnovata con arricchita esperienza storica dalla nuova sofistica fino ai tempi di Agostino. Prodico di Ceo si può considerare il filosofo del linguaggio e specificamente della etimologia e della sinonimica, intesa questa come disciplina e tecnica della corrispondenza fra i significati e le parole. Egli intese dissipare il dissidio, avvertito prima di lui fra natura e convenzionalità dei segni-parole giacché la parola ha per natura, cioè nel suo sorgere dalla esperienza umana intesa alla comunicazione fra gli individui, quel medesimo significato che la convenzione o istituzione, cioè una più consaputa esperienza umana, le darà nel corso storico.
Tutti sanno poi la polemica garbata ma serrata che Socrate e Platone o meglio Socrate-Platone mossero nell'Eutidemo, nel Protagora, nel Gorgia e nel Cratilo nei confronti della validità del linguaggio come etimologia e sinonimica in vista della insegnabilità o non insegnabilità mediante linguaggio dell'areté, intesa come dignità dell'uomo vero o meglio come categoria spirituale costitutiva di una personalità compiuta. Ancor più noti sono la maieutica di Socrate e l'apprendimento come reminiscenza di Platone. Ed è noto che anche fra i grammatici della scuola di Pergamo e di quella di Alessandria si discuteva animatamente e qualche volta accanitamente sull'anomalia, da una parte, e sull'analogia, dall'altra, del linguaggio o meglio delle stesse strutture espressive. E se sull'informazione che Agostino ebbe della prima e seconda sofistica si potrebbe avanzare una suspicione, che comunque a un più attento esame apparirebbe illegittima, non v'è luogo a suspicione sull'informazione che il retore Agostino ebbe delle discussioni dei grammatici perché n'era esaurientemente informato da Varrone.
In epoca alessandrina gli Stoici, grandi amatori dei problemi della logica e del linguaggio, iniziarono una semiologia propriamente detta caratterizzando i segni, soprattutto quelli usati nel linguaggio, in indicativi e commemorativi, come fa anche Agostino all'inizio del dialogo. Per questo motivo e per il fatto che nel terzo libro del Contra Academicos distribuisce la trattazione nei tre motivi criteriologici della logica stoica, non si può dubitare che Agostino fosse informato in proposito. In epoca molto vicina a lui gli aporetici con Sesto Empirico avevano applicato il discorso aporetico a tutta la logica dei concetti e dei segni e conseguentemente alla concezione tradizionale di insegnamento con motivazioni e suddivisoni che si riscontrano, per così dire, alla superficie del contesto agostiniano alla fine del nostro dialogo.
Ma a questo punto qualcuno potrà chiedersi se stroicizzare il pensiero di Agostino non significhi buttargli la taccia di plagiario. Si risponde che la vera originalità non è sinonimo ( se Prodico ce lo consente) di pionierismo, ma forse di intelligenza. E lo scrittore intelligente s'informa, quando si accinge a scrivere un libro se non l'ha fatto prima, di quanto è stato detto prima di lui per rimeditare quei temi dal proprio punto di vista nel particolare momento dello sviluppo della paideia.
A questo punto si presenta un altro aspetto della istanza di storicizzazione. Dunque l'interlocutore Agostino è informato di quanto è stato detto prima di lui sull'argomento. Ma noi ci domandiamo che cosa sa l'altro interlocutore. Adeodato come persona storica è il figlio di Agostino, il quale ha come unico titolo di conforto per la sua morte il pensiero che non deve più temere per la sua formazione di fanciullo, di adolescente e di uomo 4. Ma Adeodato è anche la figura storica del giovanetto che si trova in un delicato momento della sua formazione, quello della scelta, dell'orientamento, del passaggio dalla scuola alla vita, e questo in un singolare, e forse unico, momento del corso della paideia umana che potremmo definire come il passaggio fra due crepuscoli, quello serale della paideia classica e quello aurorale della paideia cristiana. Ha appunto terminato il corso del grammaticus, sa leggere i classici, soprattutto Virgilio, conosce le leggi fondamentali della grammatica, della morfologia e della sintassi, sa di aritmetica e geometria e conosce qualche altra nozione relativa alle altre discipline. Gli è stata quindi trasmessa l'humanitas ufficializzata, il così detto patrimonio culturale. Ma sembra che Agostino si domandi preoccupato a che servono quelle conoscenze perché Adeodato possa scoprire in sé l'uomo vero, possa raggiungere quella scienza delle cose che lo renda cosciente di sé, delle proprie possibilità, del proprio posto nel mondo e nella vita e conseguentemente acquisti l'areté che costituiscono profonda umanità e personalità dell'individuo.