Una raccolta dei due scritti più noti di San Bonaventura. L'"Itinerarium" (1259) illustra la ricerca di Dio attraverso la sua esperienza. Ne "La riconduzione delle arti alla teologia" (1255-1257) esprime la sua convinzione che tutte le arti trovano nella Scrittura il loro compimento e il loro significato.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
1. Bonaventura e l'aristotelismo
Conseguita la licentia a Parigi verso la fine del 1253, Bonaventura divenne maestro reggente «ad scholas fratrum» in seno alla facoltà di teologia dell'Università. Nel corso del suo magistero parigino — conclusosi nel 1257 con l'elezione a Ministro generale dei Minori - Bonaventura si impegnò, oltre che nella serrata difesa degli Ordini mendicanti, nel conflitto che già da alcuni anni li opponeva ai secolari, nella messa a punto della propria sintesi teologica, approfondita relativamente a talune sue importanti tematiche nelle Quaestiones disputatae de scientia Christi, nel De mysterio Trinitatis e nel De reductione artíum ad theologiam ed esposta nella sua globalità nel Breviloquium.
A questi scritti si connette strettamente l'Itinerario della mente in Dio, la cui prima idea risale a un breve soggiorno di generale.
Bonaventura alla Verna nel 1259. Benché concepita al di fuori del contesto accademico, l'opera costituisce una sorta di compendio di tutti i temi che avevano caratterizzato l'insegnamento universitario bonaventuriano, applicati in questo caso alla riflessione sulla concreta esperienza spirituale di Francesco d'Assisi. Rivivendo quest'ultima da teologo, alla luce delle proprie opzioni dottrinali, Bonaventura intese fornire ai frati della seconda generazione francescana le indicazioni metodologiche e i contenuti teorici necessari ad attuare nella vita di ciascuno quella santità di cui Francesco era stato il prototipo.
Fedele all'orientamento della scuola parigina dei Minori dove, a differenza di quella di Oxford, non si commentavano opere aristoteliche e si insegnava esclusivamente teologia, Bonaventura fu consapevole peraltro dell'ineludibile esigenza di confrontarsi con le idee e le dottrine di Aristotele e dei suoi commentatori e interpreti arabi ed ebrei, ormai profondamente radicate nella cultura latina.
I temi di tale confronto erano, per il magister francescano, del tutto chiari. Non si trattava di rifiutare in blocco le novitates aristoteliche né di ignorare l'ampliamento del quadro tradizionale delle artes che esse avevano determinato; al teologo spettava piuttosto compito di vagliare i loro contributi e di utilizzarli nell'elaborazione di un ordine di dottrine filosofiche destinate a loro volta a divenire, in funzione ancillare, elemento costitutivo del sapere teologico.
Nelle opere qui considerate, come del resto già nel Commento alle Sentenze ll, tale programma si traduce in un atteggiamento di attenzione e di rispetto nei confronti della filosofia aristotelica — che Bonaventura evita di contrapporre alla rivelazione, o al pensiero di Agostino —, di cui non menziona le tesi in contrasto con l'ortodossia (negazione dell' esemplarismo e dell'immortalità dell'anima umana individuale, eternità del mondo). Nella maggior parte dei casi, il teologo francescano cita Aristotele in modo letterale e senza nominarlo, spesso secondo il testo del florilegio conosciuto col nome di Auctoritates Aristotelis.
Certo, rispetto agli autori più frequentemente chiamati ad illuminare il pensiero bonaventuriano, Aristotele occupa, al pari degli altri philosophi, una posizione subalterna. Né l'uso da parte di Bonaventura di molti concetti e strumenti logici dell'aristotelismo — che ne testimonia la conoscenza testuale — modifica il carattere della sua sintesi, nella quale solo le prospettive teologiche consentono di giustificare la funzione e la natura delle componenti filosofiche che essa contiene. Se Bonaventura fa spazio alle tesi dello Stagirita, è soltanto al fine di pervenire ad una migliore comprensione razionale del mondo fenomenico che il pensatore greco ha indagato in modo esteso e rigoroso. Aristotele è infatti, per lui, esclusivamente un physicus, e tale valutazione — suggerita, più che esplicitamente formulata, da Bonaventura — spiega le ragioni, ma anche i limiti, della utilizzazione aristotelica nell'ambito della sua teologia.
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Ale S il 31 ottobre 2013 alle 12:14 ha scritto:
Un libro breve che contiene due trattati di San Bonaventura, il primo sull' "itinerario della mente in Dio", il secondo sulla "Riconduzione delle arti alla teologia". Il primo trattato è un compendio del pensiero di questo grande teologo, interessante anche se per certi aspetti un po' complesso, ma davvero molto utile per la riflessione personale. Con un po' di calma e molta meditazione, si possono scoprire nuovi orizzonti sul rapporto dell'anima con Dio, sulle facoltà dell'anima, immagine della Trinità. Ma non solo, per gradi successivi, il Santo ci aiuta a raggiungere le vette della contemplazione, partendo dal creato per risalire al creatore. Il secondo trattato è di tema diverso ma sempre molto interessante e consigliato a tutti.
Giuseppe Davide Mirabella il 28 luglio 2017 alle 07:01 ha scritto:
Seguendo il beato padre Francesco, il Dottore Serafico, il Secondo fondatore dei Minori, frate Bonaventura concepisce un'opera didascalica e ascendente, sursummattiva si direbbe: alla ricerca del principio primo, ovvero l'Eterno Padre, il filosofo e teologo francescano ricerca l'illuminazione e lo fa attraverso sei gradi, quante le ali del Serafino che donò le stimmate a Francesco sulla Verna. Il testo è estremamente serrato e complesso, ma è tutto per Dio che è tutto: frate Bonaventura narra l'ineffabile,l'inenarrabile, interrogando più la Grazia che la dottrina.
La Riconduzione delle Arti alla Teologia è un tentativo di riportare sotto le ali protettrici della teologia le discipline umane, nella fattispecie la filosofia, appunto ancella della teologia, secondo la fortunata espressione di Tommaso d'Aquino, coevo del Bonaventura.
Prof. SIMONE MILIOZZI il 5 gennaio 2020 alle 23:36 ha scritto:
Un classico
Prof. Antonio Panaro il 21 marzo 2021 alle 09:17 ha scritto:
Vale la pena tornare ai grandi pensatori della teologia medioevale
Gianfranco Trischitti il 14 luglio 2022 alle 12:39 ha scritto:
Io, modestamente, consiglio di leggere questo libro soltanto ai miei fratelli che hanno letto almeno i Fioretti di san Francesco e mezza Bibbia. Bisogna venerare san Francesco d'Assisi (del quale san Bonaventura è figlio spirituale in quanto frate minore) ed avere avuto dal buon Dio esperienze di contemplazione, per poter comprendere e ricavare giovamento da questo libro tanto difficile quanto eccellente.