Il digiuno di Gesù all'ultima cena
(Commenti e studi biblici)EAN 9788830811713
Nel presente contributo si cerca di dimostrare come la posizione di J. Meier (Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, I: Le radici del problema e della persona, Queriniana, Brescia 2001, 20084), sposata da altri esegeti e dallo stesso J. Ratzinger, a proposito della datazione e dell’indole non pasquale dell’ultima cena di Gesù, possa essere messa in serio dubbio sulla base di una impostazione metodologica e di una prospettiva ermeneutica che siano attente alla complessità del dato canonico.
Tratto dalla rivista Concilium n. 4/2011
(http://www.queriniana.it/rivista/concilium/991)
«L’ultima cena di Gesù fu veramente una cena pasquale secondo il calendario delle feste giudaiche e in quell’ultima cena, tanto desiderata, Gesù decise di astenersi dal mangiare il cibo pasquale» (p. 9). Già nella Premessa (pp. 9-11) S. Barbaglia, docente di Esegesi presso lo Studio teologico «San Gaudenzio» e l’Istituto Superiore di Scienze religiose di Novara, presenta la sua tesi e la risposta a una delle crux interpretum ancora oggi in discussione: l’ultima cena fu veramente una cena pasquale? Ed è certo, poi, che Gesù mangiò il pane e bevve al calice che «consegnò» ai suoi discepoli? La posta in gioco è importante; ne va della questione fondamentale «della natura e della destinazione delle parole di Gesù che, da sempre, la Chiesa ritiene a fondamento di ciò che è “fonte e culmine” della vita cristiana, il sacramento dell’Eucaristia» (p. 10).
Liturgia, catechesi e pastorale già nella realtà celebrano il memoriale «della Pasqua» del Signore e tale intendono il contesto anche dell’ultima cena. Quindi di per sé il problema si pone in gran parte a livello di «dotte discussioni» degli esperti esegeti. Tuttavia, lo sforzo dell’autore di offrire una risposta chiara a risoluzione della vexata quaestio è meritevole dell’attenzione sia degli esegeti sia anche dei liturgisti. Nella sua Prefazione (pp. 7-8) R. Penna inquadra precisamente il lavoro come un riesame dei racconti evangelici e delle problematiche filologiche sui testi indirizzandole, però, «nel senso di un’ermeneutica canonica ». Cioè supponendo e oltrepassando «la pura metodologia storicocritica », Barbaglia rilegge i testi non nella loro genesi storica, ma nella «loro successione nell’ambito del canone neotestamentario» (p. 7).
Il risultato allinea il Vangelo di Giovanni sulla prospettiva dei Sinottici, aprendo la strada alla risoluzione della questione nella direzione della tesi già citata. Il sottotitolo indica, poi, che l’autore si confronta «con le tesi di J. Ratzinger e di J. Meier». Sono i rappresentanti delle due linee ermeneutiche: a) Meier che, con il suo opus magnum Un ebreo marginale (4 voll., Queriniana, Brescia 2001), persegue la metodologia storico-critica e b) Ratzinger che ne denuncia il limite e ne propone un superamento nei suoi volumi su Gesù di Nazaret (Città del Vaticano 2011). Il risultato comunque «parrebbe ininfluente» se la posizione di Meier viene «assunta dallo stesso Ratzinger quasi in toto» (p. 21). Tuttavia nel cercare di rispondere all’interrogativo sul contesto pasquale dell’ultima cena, mentre si è già ampiamente percorso l’itinerario della ricerca storico-critica, non così pare altrettanto perseguito l’itinerario della «lettura canonica» delle sacre Scritture nella sua referenza testuale. È quanto si propone di fare Barbaglia cercando di pervenire alla referenza storica più prossima a quel referente storico, che comunque resta irraggiungibile (cf. p. 22). Infatti niente potrà stabilire con certezza che l’evento dell’ultima cena sia stato davvero una cena pasquale ebraica, ma è possibile delineare il contesto semantico entro il quale si collocano le testimonianze degli evangelisti circa l’intenzionalità delle parole e dei gesti di Gesù durante la cena.
In poco più di cento pagine, Barbaglia illustra e discute il problema. Cinque capitoli tutti scritti in una sequenza logica e linguistica che non permette di allentare l’attenzione e la fatica della lettura. Il risultato per il liturgista non cambia di molto la situazione. Infatti il rapporto tra ultima cena e cena pasquale ebraica dal punto di vista rituale resta ancora in discussione e le immagini pasquali che percorrono i racconti non sono sufficienti a dimostrare che si trattasse di un Seder pasquale giudaico. Le discussioni continuano certamente e non basta riferirsi alle acquisizioni delle ricerche di J. Jeremias (Le parole dell’ultima cena, Paideia, Brescia 1973), ma vanno attentamente considerate anche quelle, ad esempio, di C. Giraudo (Eucaristia per la Chiesa, GUP-Morcelliana, Roma-Brescia 1989) sul modo di celebrare il memoriale.
Cristo offri quel dono nella cena anticipando quello della sua morte e lo fece rievocando la Pasqua, il sacrificio dell’alleanza e l’offerta del servo di Yhwh in una maniera tale che lo si potesse raccontare («Fate questo in memoria di me») come la sua propria Pasqua. Alla questione del «digiuno di Gesù all’ultima cena» nella sera di Pasqua, il libro riserva alcuni essenziali e veloci passaggi all’interno della discussione principale sul contesto pasquale della cena, quasi a suo corollario. Eppure a leggere il titolo del libro (Il digiuno di Gesù all’ultima cena) sembra essere, invece, il tema principale della trattazione. Su questo tema, in definitiva, l’autore non fa altro che ripresentare la riflessione di Jeremias senza particolari novità e, a nostro parere, senza riuscire a convincere. Resta la parte più debole del libro, che invece nel suo insieme è utile nello sforzo di sintesi che opera verso una questione che, in fondo, conserva tutto il suo interesse e mantiene irrisolti i suoi interrogativi. Testo sostanzialmente di studio.
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n. 5 del 2012
(http://www.credereoggi.it)
«L’ultima cena di Gesù fu veramente una cena pasquale secondo il calendario delle feste giudaiche e in quell’ultima cena, tanto desiderata, Gesù decise di astenersi dal mangiare il cibo pasquale» (p. 9).
Già nella Premessa (pp. 9-11) S. Barbaglia, docente di Esegesi presso lo Studio teologico «San Gaudenzio» e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Novara, presenta la sua tesi e la risposta a una delle crux interpretum ancora oggi in discussione: l’ultima cena fu veramente una cena pasquale? Ed è certo, poi, che Gesù mangiò il pane e bevve al calice che «consegnò» ai suoi discepoli? La posta in gioco è importante; ne va della questione fondamentale «della natura e della destinazione delle parole di Gesù che, da sempre, la Chiesa ritiene a fondamento di ciò che è “fonte e culmine” della vita cristiana, il sacramento dell’Eucaristia» (p. 10). Liturgia, catechesi e pastorale già nella realtà celebrano il memoriale «della pasqua» del Signore e tale intendono il contesto anche dell’ultima cena.
Quindi di per sé il problema si pone in gran parte a livello di «dotte discussioni» degli esperti esegeti. Tuttavia, lo sforzo dell’autore di offrire una risposta chiara a risoluzione della quaestio è meritevole dell’attenzione sia degli esegeti sia anche dei liturgisti. Nella sua Prefazione (pp. 7-8) R. Penna inquadra precisamente il lavoro come un riesame dei racconti evangelici e delle problematiche filologiche sui testi indirizzandole, però, «nel senso di un’ermeneutica canonica». Cioè supponendo e oltrepassando «la pura metodologia storico-critica», Barbaglia rilegge i testi non nella loro genesi storica, ma nella «loro successione nell’ambito del canone neotestamentario» (p. 7).
Il risultato allinea il Vangelo di Giovanni sulla prospettiva dei Sinottici, aprendo la strada alla risoluzione della questione nella direzione della tesi già citata. Il sottotitolo indica, poi, che l’autore si confronta «con le tesi di J. Ratzinger e di J. Meier». Sono i rappresentanti delle due linee ermeneutiche: a) Meier che, con il suo opus magnum Un ebreo marginale (4 voll., Queriniana, Brescia 2001), persegue la metodologia storico-critica e b) Ratzinger che ne denuncia il limite e ne propone un superamento nei suoi volumi su Gesù di Nazaret (Città del Vaticano 2011). Il risultato comunque «parrebbe ininfluente» se la posizione di Meier viene «assunta dallo stesso Ratzinger quasi in toto» (p. 21).
Tuttavia nel cercare di rispondere all’interrogativo sul contesto pasquale dell’ultima cena, mentre si è già ampiamente percorso l’itinerario della ricerca storico-critica, non così pare perseguito l’itinerario della «lettura canonica» delle sacre Scritture nella sua referenza testuale. È quanto si propone di fare Barbaglia cercando di pervenire alla referenza storica più prossima a quel referente storico, che comunque resta irraggiungibile (cf. p. 22). Infatti niente potrà stabilire con certezza che l’evento dell’ultima cena sia stata davvero una cena pasquale ebraica, ma è possibile delineare il contesto semantico entro il quale si collocano le testimonianze degli evangelisti circa l’intenzionalità delle parole e dei gesti di Gesù durante la cena. In poco più di cento pagine, Barbaglia illustra e discute il problema. Cinque capitoli tutti scritti in una sequenza logica e linguistica che non permette di allentare l’attenzione e la fatica della lettura.
Il risultato per il liturgista non cambia di molto la situazione. Infatti il rapporto tra ultima cena e cena pasquale ebraica dal punto di vista rituale resta ancora in discussione e le immagini pasquali che percorrono i racconti non sono sufficienti a dimostrare che si trattasse di un Seder pasquale giudaico. Le discussioni continuano certamente e non basta riferirsi alle acquisizioni delle ricerche di J. Jeremias (Le parole dell’ultima cena, Paideia, Brescia 1973), ma vanno attentamente considerate anche quelle, ad esempio, di C. Giraudo (Eucaristia per la Chiesa, GUP-Morcelliana, Roma-Brescia 1989) sul modo di celebrare il memoriale.
Cristo offri quel dono nella cena anticipando quello della sua morte e lo fece rievocando la Pasqua, il sacrificio dell’alleanza e l’offerta del servo di Yhwh in una maniera tale che lo si potesse raccontare («Fate questo in memoria di me») come la sua propria pasqua. Alla questione del «digiuno di Gesù all’ultima cena» nella sera di Pasqua, il libro riserva alcuni essenziali e veloci passaggi all’interno della discussione principale sul contesto pasquale della cena, quasi a suo corollario. Eppure a leggere il titolo del libro (Il digiuno di Gesù all’ultima cena) sembra essere, invece, il tema principale della trattazione.
Su questo tema, in definitiva, l’autore non fa altro che ripresentare la riflessione di Jeremias senza particolari novità e, a nostro parere, senza riuscire a convincere. Resta la parte più debole del libro, che invece nel suo insieme è utile nello sforzo di sintesi che opera verso una questione che, in fondo, conserva tutto il suo interesse e mantiene irrisolti i suoi interrogativi. Testo sostanzialmente di studio.
Tratto da "Rivista Liturgica" n. 4/2012
(http://www.rivistaliturgica.it)
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