Fra la Parola di Dio e l'uomo c'era come una distanza incolmabile, Giovanni invece afferma che la distanza è stata colmata. La Parola è divenuta carne: è entrata nel mondo, assumendone tutta la relatività. Non è l'uomo che con la sua ricerca sale verso Dio; ma è Dio che discende nella carne, cioè nell'esperienza umana storica, concreta. Per Giovanni l'uomo che si salva è l'uomo che ama.
INTRODUZIONE
Il vangelo di Giovanni è profondo e ricco, questo lo riconoscono tutti. C'è però il rischio di vedervi una presentazione di Gesù sottratta alle vicende, tranquilla, estranea ai problemi che agitavano il tempo di Gesù e dell'evangelista. In realtà è il contrario: il Cristo di Giovanni è molto coinvolto nella storia, vivace e persino polemico.
Secondo l'antica tradizione l'autore del quarto vangelo è l'apostolo Giovanni. Si è poi unanimi nel fissare come data della sua stesura definitiva l'ultimo decennio del primo secolo. Oggi però molti studiosi tendono sempre più a considerare il vangelo di Giovanni non come un'opera uscita di getto dalle mani di un autore, bensì come un'opera maturata a lungo ed elaborata in successive edizioni. Si parla di tradizioni giovannee e di scuola giovannea. Ovviamente questo mette in gioco l'identità dell'autore. Tratterò brevemente questa questione alla fine dell'introduzione. Prima però preferisco illustrare altri aspetti che ritengo più utili per introdurci alla comprensione del quarto vangelo e, anche, non meno utili per rispondere correttamente alla domanda sull'autore.
Unità, aporie e varietà degli influssi culturali
Duplice è l'impressione che il vangelo di Giovanni suscita: da una parte l'impressione di una sostanziale unità e compattezza; dall'altra la presenza di numerose aporie. In questa contrastante impressione è racchiuso gran parte del problema della sua formazione. Ma elenchiamo i fatti con più precisione.
Al primo posto penso si debba porre l'unità letteraria e teologica dell'opera. Lo stile del quarto vangelo è uniforme e spiccatamente personale. È questo, a mio parere, il dato più saliente, che si impone con forza a chi studia a lungo e con passione il quarto vangelo. La presenza di una struttura e di una capacità narrativa, e parallelamente di un pensiero che ha un suo logico sviluppo, sono tanto veri che la ricerca sulla costruzione scenica degli episodi, il confronto fra un episodio e l'altro, l'individuazione delle connessioni costituiscono uno degli elementi più importanti per cogliere le ricchezze del libro.
Tuttavia— a fronte di questa impressione di compattezza — non mancano aporie: nel linguaggio, nello stile, nello svolgimento del racconto. Elenco le principali.
Nel prologo, letterariamente ben costruito, ricorrono termini teologici assenti nel resto del libro (logos, grazia, pienezza), e le due menzioni del
Battista rompono il ritmo e il pensiero (1,6-8.15). Per linguaggio, stile e genere letterario la pericope dell'adultera (8,1-11) è un masso erratico. Per esempio, vi sono menzionati gli scribi, che non compaiono mai nel resto del quarto vangelo.
Nel c. 21 vi sono molti vocaboli ed espressioni che sono assenti altrove: per esempio, «fratelli», per indicare i credenti, e «figlioletti» per indicare i discepoli.
Il c. 5, interrompendo il ministero in Galilea, rompe l'unità dei cc. 4-6. Tanto più che il cap. 5 sembra logicamente continuare nel cap. 7. In particolare la domanda di 7,19 si comprende meglio in base a 5,18, come pure il fatto che in 7,23 si accenni alla violazione del sabato. Verrebbe, insomma, da pensare che il cap. 6 debba precedere il cap. 5.
Il v. 14,31 sembra concludere il discorso dell'ultima cena: «Alzatevi, usciamo!». Ma il discorso continua per altri tre capitoli e solo in 18,1 avviene la partenza. All'interno dei discorsi di addio non mancano ripetizioni e anomalie: per esempio in 26,5 Gesù fa notare ai discepoli che nessuno gli chiede dove stia per andare, mentre Pietro glielo ha espressamente chiesto in 13,36. I vv. 30-31 sono un'evidente conclusione del vangelo, ma successivamente segue un altro capitolo con un'altra conclusione. Potremmo trovare altri esempi, ma qui non mi sembra il caso di continuare. Quanto accennato è già sufficiente a porre il problema: come si è formato il quarto vangelo? Tanto più che, scendendo in maggior profondità, riscopriamo non solo incongruenze letterarie, ma anche (almeno a prima vista) disarmonie teologiche. Ne ricordo due. Tipica del vangelo di Giovanni è la concezione dell'escatologia come realtà presente, tuttavia non mancano cenni a una escatologia futura più tradizionale (per esempio 6,39-40.54).
I miracoli, da una parte, sono esaltati come segni che conducono alla fede (per esempio vv. 2,11; 20,30-31); dall'altra, sono relativizzati, quasi disapprovando una fede che si appoggia ai miracoli (Cfr. 2,23; 4,48). A queste disarmonie letterarie e teologiche si deve poi aggiungere anche la varietà degli influssi culturali che il vangelo di Giovanni sembra rivelare. Non si può certo dire conclusa la discussione circa il suo ambiente culturale, e le opinioni sono diverse. Per il nostro scopo possono bastare alcuni accenni. O. Cullmann sostiene che l'ambiente del quarto vangelo è un giudaismo influenzato dal sincretismo, sviluppatosi nell'area geografica comprendente la Palestina e la Siria: qui va cercata la culla e l'humus del circolo giovanneo. Ch. K. Barret annota che nel quarto vangelo «è riscontrabile una serie imbarazzante di riferimenti a diverse tendenze e correnti religiose dell'antichità». E specifica: «In primo luogo i molti tratti giudaici del vangelo, come l'utilizzazione dell'Antico Testamento, la terminologia, una certa assonanza con l'esegesi rabbinica, le corrispondenze con i testi di Qumran». Ma constata che, accanto a questi elementi giudaici, c'è anche una serie, altrettanto ampia, di riferimenti a tendenze culturali differenti: non certo vere e proprie sintonie coi sistemi filosofici classici, ma piuttosto con quel «sincretismo religioso» che sappiamo diffuso un po' dovunque nel primo secolo. Per tutto questo, Barret pensa a un ambiente misto, ellenistico e giudaico. R. Schnackenburg, a sua volta, confessa che non si può raggiungere una conclusione definitiva e affaccia l'ipotesi — constatando le diverse tendenze che nel vangelo si accavallano — di una formazione differenziata: la nascita in Palestina, un periodo intermedio in Siria, la redazione definitiva in Asia Minore.
Personalmente sottoscrivo quanto sostiene P. Ricca: Giovanni «si rivolge con altrettanta convinzione e passione sia ad un uditorio che si colloca nell'area religiosa ebraica, con tutte le sue varianti interne, sia ad un pubblico eterogeneo, che si colloca nel variopinto e multiforme mondo religioso ellenistico».
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Danilo Boccassini il 12 gennaio 2012 alle 17:32 ha scritto:
Giovanni è una montagna: alta, affascinate, ma anche dura da scalare. Bisogna cogliere la sfida: è in gioco la nostra vita di credenti! Giovanni sembra descriverci un Gesù "teologico", maestro di sapienza: in realtà è l'unico che, al posto del racconto dell'istituzione dell'Eucaristia, ci tramanda il gesto (!) della lavanda dei piedi. Perchè una tale scelta? Io l'ho scoperto leggendo e meditando questo bel libro di Maggioni. Semplice da leggere, nonostante gli elevati contenuti. E non è poco per chi vuole avvicinarsi per la prima volta ad una tale lettura.
Domenico Di Natale il 6 aprile 2017 alle 14:51 ha scritto:
Giovanni è il vangelo di una vita e di certo un commento non può esaurire tutta la ricchezza dei suoi simboli, dei suoi quesiti irrisolti, del suo fascino. Don Bruno Maggioni ha dedicato importanti commenti a parti del testo (che vengono richiamati dall'autore lungo il libro e nelle avvertenze iniziali) e questo non vuole certo essere un commento esaustivo; è, come dice lo stesso don Bruno, una guida "per una prima lettura di Giovanni". Una guida affidabile che approfondisce certe pagine e sorvola su altre, dando sempre e comunque ottimi spunti per capire e riflettere.
Mara Pedrini il 8 novembre 2017 alle 17:06 ha scritto:
Grande commentario ad un Vangelo di non semplice lettura. Don Bruno Maggioni è proprio bravo nella sua opera di commento. Lo utilizzo quando leggo Giovanni, soprattutto nei passi di alta teologia. Veramente una bella opera.