La nascita della liturgia nel XX secolo
(Leitourgia. Sezione storico-pastorale)EAN 9788830807525
Evidenziato il messaggio fondamentale che abbiamo colto nelle 220 pagine, possiamo ripercorrere l’itinerario di A. Grillo piú da vicino, riscrivendo e ricamando i titoli dei sei passaggi fondamentali, senza dimenticare le due luminose appendici (vere perle preziose) dedicate a due protagonisti originali del Movimento liturgico: Cipriano Vagaggini e Columba Marmion. Le brevi pagine introduttive intitolate Per una «nuova» storia del Movimento Liturgico, oltre che spiegare il titolo generale e anticipare l’itinerario del volume, assegnano al Movimento liturgico il merito di aver tentato la riscoperta, in un mondo ormai post-tradizionale, della possibilità della tradizione. La «questione liturgica» e la nascita della liturgia. «Origo», «status» e «progressio quaestionis» è il titolo latinizzante che raccoglie il primo blocco di attente osservazioni. L’a. chiede, in via preliminare, di chiarire l’interdisciplinarietà come superamento dell’autosufficienza delle singole discipline teologiche e della teologia come tale, che deve lasciarsi interpellare dall’antropologia culturale in ordine a una dicibilità della fede per questa generazione. Segnala inoltre che il celebrare rituale, come atto di culto, va ricollocato in ambito significativo e in qualche modo costitutivo per l’atto di fede in Gesú Signore e per la stessa rivelazione di Gesú come Signore: si è iniziati ai riti, ma ancor piú si è iniziati dai riti, in cui prende corpo la nostra identità cristiana. Il Movimento liturgico ha avuto il grande merito di porre “il problema di riscoprire il valore fondante delle pratiche celebrative per la piena esperienza, espressione e comprensione della relazione con il Signore Gesú” (p. 28). Il rito si propone come codice essenziale per la relazione tra il fedele e il suo Signore; soprattutto la seconda svolta antropologica, caratterizzata dal dialogo con l’antropologia culturale, valorizza la dimensione linguistica, corporea, simbolica, sociale, storica dell’uomo (cf. p. 37), evidenziando il ruolo irriducibile del rito per la cristologia, cioé per un discorso significativo su Gesú e soprattutto di Gesú attraverso la riscoperta del ruolo fondamentale della preghiera, del culto, del sacramento per il tema dogmatico: la celebrazione liturgica è il luogo dell’azione dello Spirito e della configurazione a Cristo, della comprensione di Lui percorrendo la via della connaturalità.
Dopo aver posto la questione liturgica e salutato il nascere di una nuova disciplina, il secondo passaggio del volume (La liturgia e il metodo teologico nel Movimento Liturgico. Confronto con la storia e apertura originaria alle scienze umane) precisa il discorso sul metodo della nuova scienza liturgica in un intenso confronto con le scienze umane capaci di apprezzare la radicalità dell’atto liturgico: non è riducibile a sapere disinteressato ma va accolto anche dalla teologia come fons della propria esperienza e collocato nel fondamento stesso dell’atto di fede (cf. p. 52). A. Grillo richiama perciò il progressivo distinguersi tra metodo storico e metodo teologico, giungendo a farne una analisi dall’interno dei progetti di Casel e di Guardini, riscoprendovi il ruolo delle scienze umane nell’evidenziare la dimensione teologica della liturgia: in un’ampia visione la liturgia non si accontenta del solo scavo storico o filologico delle fonti liturgiche, ma mette a fuoco il rapporto costitutivo tra l’atto di fede e la celebrazione rituale, in un “ritorno alla liturgia come fonte”. L’esempio recente di G. Lafont nella sua lettura antropo-teologica dell’eucaristia può condurre a conclusioni piú serene e piú attente ai concreti compiti attuali di un sapere liturgico, ad esempio, nel celebrare in modo competente i riti tradizionali e nel costruirne di nuovi.
Nel terzo capitolo (L’esperienza rituale come “dato” della teologia fondamentale. Il presupposto rimosso e la reintegrazione del rito nella fede) si precisano le ambizioni non solo pratiche ma anche teoriche della nuova disciplina liturgica, sottolineando ancora una volta la qualità fontale e fondamentale del culto liturgico. La domanda radicale posta oggi alla teologia fondamentale e alla teologia liturgica invita a tornare a comprendere la struttura comunicabile del cristianesimo, senza rifugiarsi nel solo dato positivo. “L’obbedienza della fede, fede come affidamento a un evento storico, si rende possibile solo nell’unità tra contenuto rivelato e forma dell’adorazione cultuale” (p. 75): ma la teologia fondamentale non sembra essersi accorta del bisogno di pensare il culto nel fondamento della fede e della rivelazione, del bisogno di accogliere la sporgenza antropologica del rito irriducibile all’ordine della riflessione. In un reciproco riconoscimento la teologia liturgica deve ammettere di non essere l’orizzonte ultimo, ma la teologia fondamentale dev’essere consapevole che il senso globale del cristianesimo non può essere colto fuori, prima o al di là del rito: l’esperienza rituale è dato essenziale della teologia fondamentale, in un nuovo interesse per l’antropologia culturale: questa è attenta al fenomeno rituale e capace di oltrepassare la philosophia perennis e letture teologiche riduttive come quella di H. Vorgrimler (citato in testo e in nota a p. 88). Teologia, antropologia e storia possono concorrere a una reintegrazione del rito nel fondamento riflesso della fede, ricordando che non vi è teologia fondamentale senza il dato di una esperienza rituale cosciente della inesauribilità del rapporto tra esperienza e riflessione.
Ormai una larga parte del pensiero teologico si mostra oggi sensibile a una riconciliazione della teologia con il rito: lo testimonia il quarto capitolo (Il rapporto tra teologia ed esperienza rituale. Piccola ricognizione dell’orizzonte teologico attuale) che pone come epitaffio iniziale l’affermazione di G. Bonaccorso (attuale preside dell’ILP di S. Giustina in Padova): «La fede esiste come celebrazione o non esiste affatto»; e prosegue con un cenno alla riflessione di Pannenberg: senza dossologia ogni analogia teologica fallisce il proprio obiettivo e perde l’essenziale di ciò che vuol comunicare. Nella “piccola ricognizione” del capitolo A. Grillo precisa l’apporto di una lunga litania di autori, iniziando da M. Festugière (nel 1913), Casel, Guardini e Marsili, passando per A. Schilson, W. Kasper, L.-M. Chauvet, approdando ai “milanesi” S. Ubbiali, G. Colombo, P. Sequeri, M. Antonelli (senza dimenticare il benedettino E. Salmann), e concludendo su due sintesi esemplari per il rapporto tra fede e rito firmate da Sequeri e Bonaccorso. L’ampia rassegna porta a mostrare “la rilevanza originaria e fontale dell’atto di culto rituale per la struttura stessa dell’atto rivelativo di Dio e per la risposta di fede dell’uomo” (p. 121), convinzione che risale alle aspirazioni originarie del Movimento liturgico.
Due concetti in particolare (“ressourcement” come ritorno alle sorgenti e “fons”) hanno acquisito nell’ultimo secolo una grande importanza nel definire il compito del “liturgista” in campo teologico: li richiama il quinto capitolo già nel titolo «Ressourcement», riforma, iniziazione. La riscoperta delle fonti e le fonti della riscoperta nella scienza liturgica del ’900. L’a. vi sottolinea anzitutto il ripensamento e le conseguenti modificazioni della sacramentaria, riferibili al sorgere della coscienza storica: i sacramenti sono anzitutto azioni rituali, appartengono all’-urgia prima che alla -logìa: il che porta a una critica profonda del sapere teologico tradizionale sul ruolo del rito e dell’esperienza rituale per la rivelazione all’uomo del mistero di Dio e per la fede dell’uomo in Cristo Signore. Gli sviluppi sull’emergere del rito come problema teologico portano all’elaborazione di un nuovo metodo di lavoro che unifica teologia e antropologia in un arricchimento concettuale e strutturale del sapere sacramentale che passa dal “genus signi et causae” al “genus symboli et ritus”, con netto recupero del rito prima rimosso in una cultura che non ne avvertiva il bisogno. Oggi vivere e pensare i sacramenti “in genere ritus” può risultare la condizione inaggirabile perché i sacramenti possano essere segno e causa della loro efficacia. Coerentemente bisogna trovare il modo di lasciar parlare la liturgia come autentica fonte della nostra fede, come inizio e fondamento dell’esperienza cristiana a cui si è iniziati mediante il sacramento come evento comunicativo non verbale, riconoscendo la capacità modificatrice che la celebrazione rituale riserva alla vita della chiesa. La riscoperta delle fonti va letta come premessa perché la liturgia possa continuare ad essere fonte di una fede compresa come dimensione interna all’evento della rivelazione (cf. p. 152).
La conclusione ipotizza Una terza fase del Movimento liturgico all’interno di una particolare temperie culturale. A parere di Grillo il Movimento liturgico ha vissuto due grandi fasi: una prima dagli inizi del Novecento al 1947 (la Mediator Dei) tipizzata dall’iniziazione e dalla riforma dei riti; una seconda fino al 1987 (a 25 anni dalla Sacrosanctum Concilium e a una generazione dal Concilio) caratterizzata dall’uscita dei nuovi rituali, che allentava l’urgenza di un forte impegno ecclesiale; una terza largamente aperta chiede ora di coltivare la liturgia come fons che comporta per la Chiesa un bisogno radicale di educazione e di iniziazione all’atto di culto collocato nel cuore stesso della rivelazione cristiana. Nell’autocritica che la riforma liturgica fa di se stessa esaminando le opposte polarizzazioni postconciliari l’a. si lascia guidare da L.-M. Chauvet, nella prospettiva di una partecipazione al “massimo grado”, non al “minimo necessario” e con la conseguente speranza di una ripresa ampia e articolata di “esperienza” in senso plenario: la liturgia è azione di Dio e insieme azione dell’uomo, è la preghiera prima e ultima della Chiesa; da essa si deve sempre partire e ad essa sempre ritornare (cf. pp. 169-170). Per Grillo, come per Beauduin all’alba del Novecento, l’aspirazione di iniziare alla fede mediante i riti chiede una “abitudine al culto”, una struttura iniziatica alla pietà liturgica che è ormai perduta da secoli e che esige secoli per essere reimparata. Ma solo così “la riforma liturgica potrà essere non solo la riforma che la Chiesa e i cristiani fanno della liturgia, ma anche - e soprattutto - la riforma che la liturgia fa della Chiesa e dei cristiani” (p. 181).
Andrea Grillo è un giovane docente laico felicemente sposato con Simona, che gli ha donato una figlia, una “preziosa” Margherita. Può gioiosamente sorprendere la sua competenza teologica di studioso nel filone benedettino, forse trascurato dalla tradizione teologica italiana. In ogni caso le 220 pagine del volume che presentiamo, pur sfruttando materiale in parte già pubblicato (cf. la nota a p. 5) e pur ripetendo con insistenza le linee portanti, si rivelano una proposta stimolante e preziosa per un “vecchio” insegnante di teologia dei sacramenti, che da giovane studente ha attraversato lontane stagioni precedenti il Vaticano II, tuttora memore riconoscente del superamento del ritualismo rubricale degli anni ’50 e dei primi anni ’60: la celebrazione liturgica era accettata con fede, ma devitalizzata per la pietà comune del popolo di Dio e obliterata nella riflessione teologica. L’antico studente non può che respirare con gioia ulteriore aria primaverile nella rilettura del Movimento liturgico del Novecento proposta con lo stupore intelligente e con la freschezza di chi, come Andrea Grillo, aprì gli occhi alla vita con i primi vagiti del Vaticano II. Un “anziano” può avvertire tuttavia nella proposta di Grillo l’ipotetico rischio (solo ipotetico nel quadro teologico benedettino tracciato da Grillo) di una sopravvalutazione del momento rituale, ricordando la forte corrente di spiritualizzazione critica dei riti che caratterizza i profeti e il messaggio neotestamentario. Conoscendo il facile slittamento della dialettica nella storia, l’anziano preferisce perciò, in vista di una esistenza cristiana equilibrata, sottolineare la necessaria circolarità tra lex orandi, lex credendi e lex agendi, tra il momento dossologico-adorante, il momento veritativo e il momento etico, a reciproca verifica e correzione fraterna: magari esplicitandovi anche il momento estetico. Pur apprezzando e vivendo la celebrazione come momento in cui prende corpo nella storia la fede nel Signore Gesú, fede che così si rende comunicabile nel nostro mondo post-moderno, egli teme un ritorno di mitizzazione del rito. La riscoperta della celebrazione rituale anche in ambienti protestanti, tradizionalmente allergici alla ritualità, dà tuttavia ragione alla proposta di A. Grillo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2004, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
I quattro volumi appartengono alla collana «Leitourgía», comprendente ad oggi una quindicina di titoli, che si occupa del rito come azione nella quale la comunità cristiana si apre al mistero divino. La collana è articolata in tre distinte sezioni (cui si può aggiungere la sezione dedicata alle «Lectiones Vagagginianae», dove sono stati pubblicati interventi di E. Jüngel e L.-M. Chauvet): una sezione storico-pastorale, diretta da E.Mazza, che focalizza l’interesse per la tradizione vivente della chiesa, là dove cioè la pastorale trova fondamento; una sezione antropologica, diretta da G. Bonaccorso, che ospita indagini sul rito come fenomeno, interno alla struttura dell’essere umano, nel quale interagiscono diverse componenti socio-culturali; infine una sezione teologica, diretta da S. Ubbiali, che mette a tema l’interrogativo sulla verità ultima del celebrare cristiano, svelandone l’intreccio con le problematiche della fede, della rivelazione, del sacro, della religione.
Tratto dalla rivista Concilium n. 2/2012
(http://www.queriniana.it/rivista/concilium/991)
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Ernesto Valderrama il 22 gennaio 2022 alle 15:37 ha scritto:
Il professore Andre Grillo presenta in maniera sintetica e chiara l'apparire della "questione liturgica", e come i padri del Movimento liturgico hanno approfondito e affrontato la "questione", ma anche i metodi che hanno utilizzato. Un libro consigliabile e necessario da leggere per conoscere le vicende della "questione liturgica".