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La fede e il telecomando. Televisione, pubblicità e rito
(Leitourgia. Sezione antropologica)EAN 9788830807082
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DETTAGLI DI «La fede e il telecomando. Televisione, pubblicità e rito»
Tipo
Libro
Titolo
La fede e il telecomando. Televisione, pubblicità e rito
Autori
Bonaccorso Giorgio, Grillo Andrea
Editore
Cittadella
EAN
9788830807082
Pagine
168
Data
2001
Peso
297 grammi
Dimensioni
17 x 24 cm
Collana
Leitourgia. Sezione antropologica
COMMENTI DEI LETTORI A «La fede e il telecomando. Televisione, pubblicità e rito»
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Recensioni di riviste specialistiche su «La fede e il telecomando. Televisione, pubblicità e rito»
Recensione di Valerio Bortolin della rivista Studia Patavina
Il titolo del volume, dal tono abbastanza pubblicitario, potrebbe far pensare ad uno di quei tentativi, più o meno ben riusciti, di mostrare la possibilità di rendere accattivante, anche dal punto di vista televisivo, il messaggio cristiano. Il sottotitolo toglie subito ogni possibile equivoco. I due saggi che compongono il volume, dovuti rispettivamente ad A. Grillo e a G. Bonaccorso, entrambi docenti presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova, prendono in considerazione, attraverso una rigorosa riflessione di carattere filosofico e teologico, il rapporto, poco considerato, ma assai stimolante, tra rito e pubblicità e tra rito e televisione, cogliendone certamente le radicali differenze, ma anche gli elementi di affinità, quegli elementi che sembrano rendere l’apparecchio televisivo “l’altare del villaggio globale” di fronte al quale si recita “la preghiera laica della sera”(p. 8) e si celebra il nuovo rito, denso di linguaggi simbolici, della contemporanea religiosità secolare.
Il primo saggio mostra come la simbolicità sia una dimensione essenziale e costitutiva sia del rito (e della fede) come della pubblicità. Anzi, mentre in una certa teologia, ancora condizionata dal pregiudizio razionalistico, continua a permanere un sospetto abbastanza forte nei confronti del simbolo, visto non come una forma del reale, ma come ciò che ad esso si contrappone, la pubblicità, avendo percepito l’originaria struttura simbolica dell’esistenza umana, utilizza in modo estremamente raffinato la capacità dei simboli di far breccia nel cuore e nella mente dell’uomo. È per questo che i simboli della pubblicità sembrano essere capaci di parlare all’uomo contemporaneo più dei simboli religiosi, sembrano essere dotati di maggiore efficacia comunicativa. In realtà, ad uno sguardo un po’ scaltrito, il meccanismo simbolico di cui fa uso la pubblicità, rivela il suo carattere “diabolico”. Il simbolico nella pubblicità viene snaturato e trasformato nel suo contrario. La pubblicità infatti “abusa dei simboli più preziosi”, “osa toccare i valori più alti della convivenza e della identità umana per “associarli” a prodotti banali e insignificanti” (p. 45-46), utilizza, strumentalizzandoli, i simboli al fine di vendere cose. Si può reagire a tale situazione mettendo in moto “un meccanismo di consapevolezza, che sorga però da una esperienza non tanto di “critica”, quanto di appartenenza autenticamente simbolica” (p. 47). In particolare, solo un recupero e una riscoperta del simbolo come struttura fondamentale della fede, contro ogni deriva razionalistica e moralistica, può permettere ai cristiani di resistere nei confronti della seduzione operata dai simboli ingannevoli della pubblicità.
Il secondo saggio prende in considerazione il fenomeno televisivo visto nel suo complesso mettendolo in rapporto con la pratica rituale. Anche in questo caso vengono messi in luce affinità e differenze tra le due realtà. Gli eventi mediali assumono di fatto le caratteristiche di eventi rituali che coinvolgono l’uomo nella totalità delle sue dimensioni: l’ascolto, la vista, il movimento. Proprio per il loro carattere rituale gli eventi mediali diventano dei momenti forti che “tendono a sostituire quelli classici conservati dalla cultura scritta e dalla tradizione rituale” (p. 122). Gli stessi riti religiosi sembra debbano utilizzare il medium televisivo per poter avere ancora una certa visibilità nella nostra società. E tuttavia la differenza tra la televisione e il rito rimane enorme. Il linguaggio televisivo è un linguaggio eccessivo, impone un eccesso di realtà, tende ad identificarsi con il reale fino a simularlo. Il rito, al contrario, è un linguaggio eccedente rispetto alla realtà, non simula ma “anzi fa di tutto per evidenziare la propria differenza dalla realtà quotidiana” (p. 127). La sua irrealtà è l’annuncio di un “oltre” la realtà, di una realtà altra ed eccedente. Inoltre, poiché la televisione rappresenta la realtà “dal di fuori”, l’uomo di fronte ad essa è costituito solo come spettatore; egli è il curioso che può guardare tutto quello che capita nel mondo senza essere personalmente coinvolto in niente. Il rito invece prevede non dei semplici spettatori che guardano il sacro che si manifesta, ma degli attori, dei protagonisti che percepiscono il sacro “dal di dentro” attraverso la partecipazione ad un’azione che coinvolge l’uomo nella totalità delle sue dimensioni. Ciò significa che il rito non è un semplice mezzo per comunicare dei messaggi, infatti “non si comunica attraverso il rito ma stando nel rito” (p. 152).
Le suggestive riflessioni dei due autori che evidenziano in modo persuasivo la ricchezza della ritualità religiosa fanno nascere inevitabilmente sorgere una domanda: come mai l’uomo contemporaneo sembra essere così refrattario nei confronti di tale ricchezza, qual è la causa della sua scarsa significanza? Risiede nell’inadeguatezza del rito tradizionale rispetto alle condizione di vita odierne oppure, più radicalmente, è la stessa simbolicità religiosa che viene messa in crisi da una rappresentazione del mondo radicalmente anti-simbolica come quella scientifico-tecnologica?
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Il primo saggio mostra come la simbolicità sia una dimensione essenziale e costitutiva sia del rito (e della fede) come della pubblicità. Anzi, mentre in una certa teologia, ancora condizionata dal pregiudizio razionalistico, continua a permanere un sospetto abbastanza forte nei confronti del simbolo, visto non come una forma del reale, ma come ciò che ad esso si contrappone, la pubblicità, avendo percepito l’originaria struttura simbolica dell’esistenza umana, utilizza in modo estremamente raffinato la capacità dei simboli di far breccia nel cuore e nella mente dell’uomo. È per questo che i simboli della pubblicità sembrano essere capaci di parlare all’uomo contemporaneo più dei simboli religiosi, sembrano essere dotati di maggiore efficacia comunicativa. In realtà, ad uno sguardo un po’ scaltrito, il meccanismo simbolico di cui fa uso la pubblicità, rivela il suo carattere “diabolico”. Il simbolico nella pubblicità viene snaturato e trasformato nel suo contrario. La pubblicità infatti “abusa dei simboli più preziosi”, “osa toccare i valori più alti della convivenza e della identità umana per “associarli” a prodotti banali e insignificanti” (p. 45-46), utilizza, strumentalizzandoli, i simboli al fine di vendere cose. Si può reagire a tale situazione mettendo in moto “un meccanismo di consapevolezza, che sorga però da una esperienza non tanto di “critica”, quanto di appartenenza autenticamente simbolica” (p. 47). In particolare, solo un recupero e una riscoperta del simbolo come struttura fondamentale della fede, contro ogni deriva razionalistica e moralistica, può permettere ai cristiani di resistere nei confronti della seduzione operata dai simboli ingannevoli della pubblicità.
Il secondo saggio prende in considerazione il fenomeno televisivo visto nel suo complesso mettendolo in rapporto con la pratica rituale. Anche in questo caso vengono messi in luce affinità e differenze tra le due realtà. Gli eventi mediali assumono di fatto le caratteristiche di eventi rituali che coinvolgono l’uomo nella totalità delle sue dimensioni: l’ascolto, la vista, il movimento. Proprio per il loro carattere rituale gli eventi mediali diventano dei momenti forti che “tendono a sostituire quelli classici conservati dalla cultura scritta e dalla tradizione rituale” (p. 122). Gli stessi riti religiosi sembra debbano utilizzare il medium televisivo per poter avere ancora una certa visibilità nella nostra società. E tuttavia la differenza tra la televisione e il rito rimane enorme. Il linguaggio televisivo è un linguaggio eccessivo, impone un eccesso di realtà, tende ad identificarsi con il reale fino a simularlo. Il rito, al contrario, è un linguaggio eccedente rispetto alla realtà, non simula ma “anzi fa di tutto per evidenziare la propria differenza dalla realtà quotidiana” (p. 127). La sua irrealtà è l’annuncio di un “oltre” la realtà, di una realtà altra ed eccedente. Inoltre, poiché la televisione rappresenta la realtà “dal di fuori”, l’uomo di fronte ad essa è costituito solo come spettatore; egli è il curioso che può guardare tutto quello che capita nel mondo senza essere personalmente coinvolto in niente. Il rito invece prevede non dei semplici spettatori che guardano il sacro che si manifesta, ma degli attori, dei protagonisti che percepiscono il sacro “dal di dentro” attraverso la partecipazione ad un’azione che coinvolge l’uomo nella totalità delle sue dimensioni. Ciò significa che il rito non è un semplice mezzo per comunicare dei messaggi, infatti “non si comunica attraverso il rito ma stando nel rito” (p. 152).
Le suggestive riflessioni dei due autori che evidenziano in modo persuasivo la ricchezza della ritualità religiosa fanno nascere inevitabilmente sorgere una domanda: come mai l’uomo contemporaneo sembra essere così refrattario nei confronti di tale ricchezza, qual è la causa della sua scarsa significanza? Risiede nell’inadeguatezza del rito tradizionale rispetto alle condizione di vita odierne oppure, più radicalmente, è la stessa simbolicità religiosa che viene messa in crisi da una rappresentazione del mondo radicalmente anti-simbolica come quella scientifico-tecnologica?
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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