Educare al pluralismo religioso. Bradford chiama Italia
(Interculturarsi) [Libro in brossura]EAN 9788830715172
Il volume intende affrontare la complessa questione del ruolo delle religioni nella scuola pubblica. Non si tratta certo di un nuovo problema, anche se oggi – a differenza di ieri – si registra sempre più chiaramente una tendenza precisa nell’àmbito della legislazione europea, che persegue la direzione di un approccio di tipo storico-sociologico e comparativo al fenomeno religioso. Punto di partenza del discorso è la presa d’atto della trasformazione della società italiana, avviata ormai a diventare una società postsecolare, religiosamente sempre più pluralista, benché dal punto di vista sociologico continui ad essere ancora in maniera significativa, ma esteriormente, cattolica. La scuola italiana non sembra all’altezza delle sfide e dei compiti che una tale situazione esige.
Il modello italiano, quello dell’insegnamento della religione (IRC) secondo la formula concordataria, appare infatti gravato da una confessionalità foriera di ambiguità, tensioni e condizionamenti e oggettivamente impossibilitato per la struttura dei propri programmi – peraltro difficili da svolgere e completare all’interno del quadro orario tuttora vigente – a una soddisfacente formazione in prospettiva interreligiosa, a meno che vi supplisca la creatività e la competenza del singolo insegnante. Dopo un breve excursus riguardante le principali posizioni in materia di teologia delle religioni (esclusivismo, inclusivismo, pluralismo) e i principali modelli di dialogo propri delle discipline sociologiche e delle scienze dell’educazione, la parte centrale del volume è dedicata alla presentazione – la prima in Italia – del «progetto Bradford». Si tratta di un’iniziativa, avviata dal ministero britannico dell’istruzione per il momento solo nella città inglese che dà nome al progetto stesso, per l’insegnamento delle religioni che si trova dettagliatamente esposta nel documento (Syllabus) che ne studia in concreto la scansione. Il Syllabus si presenta come un articolato e dettagliato curriculum di educazione religiosa, che attraversa i vari ordini e gradi di scuola dalla materna fino alla scuola superiore. Ciò che caratterizza questo progetto è la trasversalità rispetto alle altre discipline di insegnamento e la sua attenzione alla pluralità delle religioni: quelle prese in considerazione dal Syllabus sono infatti le religioni effettivamente presenti a Bradford e cioè Cristianesimo, Islam, Ebraismo, Sikh, Induismo, Buddismo.
L’elaborazione di questa proposta didattica si è basata in particolare sulla prospettiva di Hans Küng, cioè sull’idea di un’etica globale e di una comunanza sostanziale tra le maggiori religioni fondata da numerosi tratti e valori etici condivisi. Il progetto è pensato per tutti gli alunni, che appartengano o meno a una qualche confessione religiosa, e si propone come conoscenza e comprensione delle religioni presenti sul territorio, dei loro valori e dei diversi modi di vivere la propria fede. Obiettivo dichiarato è quello di imparare le religioni e di imparare dalle religioni nel rispetto della pluralità. Viene anche esplicitato che l’educazione religiosa a scuola non può coincidere con il catechismo o il proselitismo: l’adesione confessionale rimane di competenza delle famiglie e delle comunità religiose. La scuola si assume il compito “interculturale” di fornire alle giovani generazioni esperienze di riflessione sui differenti modi di vivere l’esperienza del sacro e di dare risposte ai grandi bisogni di senso. Non si tratta di giungere alla conclusione che tutte le religioni sono uguali, ma che è possibile trovare all’interno dei differenti sistemi di fede gli stessi valori e che tutti gli esseri umani sono portatori di istanze e bisogni simili ai quali essi hanno fornito, in tempi e spazi differenti, differenti risposte.
Una terza parte affronta infine il problema italiano alla luce della provocazione costituita dall’iniziativa inglese. Vengono esplorate le possibilità concrete dell’introduzione di un’“ora delle religioni” che sia curricolare, aconfessionale, obbligatoria e non alternativa all’attuale IRC. Tale proposta appare ispirata dal perseguimento di un’educazione interreligiosa centrata sulla riscoperta e sulla rivalutazione del ruolo delle religioni, intese come presupposto imprescindibile per la comprensione dei tradizionali saperi curricolari: dalla storia alla letteratura, dalla filosofia all’arte, dalla scienza alla musica. Tale educazione interreligiosa sembra però in realtà radicarsi in un altro àmbito più comprensivo, quello dell’educazione all’alterità e all’accoglienza di visioni del mondo diverse dalla propria. A un’attenta considerazione del volume, che si presta a una piacevole e scorrevole lettura, si possono riconoscere e distinguere tre diversi livelli problematici che si accavallano e sovrappongono continuamente, privando i lettori meno informati della possibilità di operare una chiara definizione delle questioni in gioco. Innanzitutto ciò che il libro intende proporre è una prospettiva didattico-pedagogica. Questa però si presenta contrassegnata da un’eccessiva “leggerezza” teorica, come peraltro si riscontra talvolta nello stile delle odierne scienze dell’educazione, dovuta al fatto che essa tende a prendere come riferimento privilegiato più le analisi sociologiche che vere e proprie riflessioni di più profonda ambizione critica. Questa scelta rischia di assorbire la proposta didattico-pedagogica nel procedimento tipico delle scienze sociologiche, preoccupate di non abbandonare il piano puramente descrittivo nel timore di incorrere nella perdita delle proprie pretese di avalutatività.
Quanto tutto questo sia più o meno legittimo è discorso ampio che concerne il problema dello statuto epistemologico delle scienze umane. La seconda questione è più propriamente filosofico-teologica ed è per lo più aggirata dalle analisi del libro che su questo punto mostrano spesso, con una certa sbrigatività, di fondarsi su una opzione precisa, talvolta descritta, ma appunto perché ritenuta assioma dell’intero discorso mai realmente affrontata con una certa profondità. L’identificazione di tale opzione con la prospettiva etico-mondiale delle religioni sostenuta da Hans Küng non dovrebbe in effetti dispensare dal confronto con il dibattito più ampio entro cui tale opzione si colloca, in quanto esso si pone al livello della filosofia della religione e della teologia. Questione qualificante del dibattito stesso è, com’è noto, la contrapposizione tra due diversi modi di determinazione dell’approccio più corretto al fenomeno religioso: da un lato, l’opzione neoilluminista e fondamentalmente kantiana che attribuisce alla ragione il ruolo di istanza critica e di apriori irrinunciabile nella determinazione del valore della religione; dall’altro, l’impostazione fenomenologica che, sottolineando la peculiarità del fenomeno religioso, lo sottrae alla determinazione razionalistica imponendo al contrario l’esigenza di comprendere la religione a partire da se stessa. Ora, dalla prima opzione si tende a dedurre la necessità di un’indagine laica e a-confessionale delle religioni, tendenzialmente storico-comparata, offerta dalla scuola e impartita da specialisti della materia, mentre l’approccio fenomenologico è spesso interpretato come se autorizzasse la legittimità di soluzioni confessionali che prevedono un insegnamento impartito direttamente dai rappresentanti ufficiali delle religioni stesse, di cui in tal modo verrebbe garantita l’ortodossia.
L’interpretazione dell’opzione fenomenologica è quantomeno discutibile, ma si comprende alla luce di quella lenta traslazione di significato che parte da W.F. Otto e attraverso Scheler giunge sino alla ripresa contemporanea di alcuni modelli teologici impegnati a reintegrare il ruolo della libertà nell’accesso alla verità. E così il progetto iniziale di Otto – quello per il quale sarebbe necessario ricavare dai fenomeni religiosi stessi i criteri per la loro comprensione e quindi i criteri epistemologici della loro universalità e comprensibilità – viene oggi spesso volgarizzato nella problematica convinzione per la quale non si potrebbe capire ciò che non si vive o ciò a cui non si darebbe libera adesione. La sfida si presenta piuttosto nella necessità di elaborare nuove opzioni o almeno di approfondire l’istanza fenomenologica nella sua versione originaria, e questo anche per studiare nuove proposte al concreto problema dell’insegnamento della/e religione/i nella scuola. Proprio a questo punto si colloca la terza grande questione posta da questo libro, ed è qui che esso si mostra più interessante e incisivo: la vexata quaestio dell’IRC in Italia. La falsa chiarezza del modello neoconcordatario italiano e le aporie di una confusa e contraddittoria definizione identitaria dell’IRC vengono ricordate con efficacia, così come viene stigmatizzato l’ormai inaccettabile silenzio politico che incombe su questo tema, sintomo evidente della più completa mancanza della volontà di affrontare seriamente il problema. È ambigua l’identificazione degli obiettivi “laici” che oscillano dall’acquisizione culturale alla formazione pedagogica integrale degli alunni; d’altra parte non si vede come essi possano armonizzarsi con la dichiarata confessionalità delle motivazioni che gli insegnanti dovrebbero trarre dalla loro fede vissuta.
Ed è paradossale la definizione dell’IRC come materia scolastica in forza della aconfessionalità dei propri obiettivi, quando poi esso si trova ad essere di fatto escluso dalla possibilità di esercitare un ruolo anche solo di minimale significato nell’àmbito del curriculum scolastico e della ordinaria vita della scuola: esclusione dovuta tra l’altro anche alla sua opzionalità, all’assenza di una valutazione equiparata a quella delle altre discipline e, soprattutto, all’impossibilità di sviluppare programmi scolastici decenti nel quadro orario di una sola ora settimanale. La situazione di totale confusione contribuisce poi alla ricaduta, nella prassi effettiva dell’IRC, in problematici modelli catechistici o, nel migliore dei casi, a più gratificanti modelli di tipo sociale e pedagogico. Il quadro insomma non è dei più entusiasmanti e l’impressione di trovarsi di fronte a un colossale – ma ormai anacronistico e farraginoso – compromesso politico tra grandi poteri istituzionali sembra inevitabile: da una parte, per lo Stato e per una classe politica inefficiente è sempre una tentazione accattivante quella di rinunciare ad esercitare le proprie funzioni in materia; dall’altra, è altrettanto affascinante per il cattolicesimo l’illusione di essere tutto sommato ancora maggioranza culturale, con tutte le conseguenze che da questo necessariamente scaturiscono. Merito indiscutibile del volume è senza dubbio quello di rompere il silenzio su una questione estremamente complessa e compromessa. Purtroppo, almeno finora, sembra che nemmeno questo libro sia riuscito a sollevare dubbi, a suscitare significative domande e riflessioni di una certa ampiezza in àmbito nazionale. È quanto il suo autore probabilmente si augurerebbe ed è anche quanto ogni suo lettore onesto non può che auspicare.
Tratto dalla rivista Humanitas 65 (2/2010) 340-343
(http://www.morcelliana.it/ita/MENU/Le_Riviste/Humanitas)
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