Un ribelle tranquillo
-Angelo Clareno e gli Spirituali francescani tra Due e Trecento
(Studi e ricerche)EAN 9788827006511
Sono ormai trenta anni che Felice Accrocca studia la figura tanto controversa di Angelo Clareno e da più di venti possiamo leggere i suoi saggi sparsi sulle più svariate riviste scientifiche. Questo volume raccoglie parte dei suoi contributi che dal 1988 al 2007 l'hanno visto cimentarsi nella riflessione sul frate marchigiano. Nell'Introduzione (pp. 9-16) Accrocca non nasconde il suo tentativo di rivalutare la figura storica di questo personaggio, definito come la «peste nera» del francescanesimo da taluni studiosi delle famiglie francescane; lui stesso riconosce che nel corso degli anni il suo giovanile ardore si è andato smorzando in favore di una valutazione più sfumata, che mi pare giustifichi pienamente l'ossimoro manselliano del titolo: un ribelle tranquillo. L'utilità di questa pubblicazione anzitutto sta nel raccogliere diversi contributi altrimenti dispersi in varie sedi; inoltre il fatto che i saggi comprendano un arco temporale ventennale, offre la possibilità di vedere come il mestiere dello storico porti in sé una crescita, dei mutamenti e dei ripensamenti, propri di una ricerca che non può mai dirsi finita. Infine, proprio come discepolo che da lui ha imparato molti segreti di quest'arte, colgo in questo libro una delle caratteristiche peculiari di Accrocca, quella di comunicare tutta la sua passione per questo mestiere, il mestiere dello storico. Nel primo capitolo (pp. 18-45), I «Pauperes eremite domini Celestini» (1988), si ripercorre la vicenda storica di Clareno e dei suoi seguaci, che sotto il pontificato di Celestino V furono costituiti in un ordine separato da quello dei Minori, appunto detto dei Pauperes eremite. Il dossier dell'intera questione, seppure non troppo ricco, viene studiato secondo il punto di vista del papa Pietro di Morrone. Esso comprende la Epistola excusatoria, che nel 1317 Clareno indirizza al pontefice Giovanni XXII, alcune testimonianze contenute nel Liber chronicarum, la cosiddetta Apologia diretta ad Alvaro Pelagio. Attraverso una lucida analisi delle fonti si evince che in Angelo di gioachimitismo non vi è «neppure l'ombra», egli è piuttosto un «figlio di san Francesco secondo lo Spirito» (p. 44). Il capitolo secondo (pp. 47-58), Ermeneutica delle fonti e storia del francescanesimo. L'agnellino e la scrofa, nella rilettura di Angelo Clareno (1990), è dedicato all'analisi di una pericope specifica delle fonti francescane e al modo con cui essa viene usata dal frate spirituale per rievocare il martirio di Porzio Botugati. In effetti il Liber chronicarum di Clareno offre la possibilità di avere notizie su questo personaggio, che in passato fu confuso con Porzio Carbonell, e inoltre mostra «quanto si presentasse già tesa la situazione in Provenza» (p. 58) nei confronti degli Spirituali che, dopo la parentesi di Clemente V, esploderà in tutta la sua drammaticità con Giovanni XXII. Sul piano metodologico si osserva come non solo le fonti, ma anche la loro ermeneutica possono fornire indicazioni importanti agli storici. Il terzo capitolo (pp. 59-63), Ancora sui «Pauperes eremite domini Celestini» (1991), si pone in stretta continuità con il primo capitolo, dove lo studioso integra un passaggio contenuto nella Apologia del Clareno sfuggitagli nel contributo di tre anni prima. Inoltre segnala una miniatura del ms. Roma, Biblioteca Nazionale, 1167, f. 57v (che contiene una versione in volgare del Liber chronicarum) raffigurante Clareno e i suoi compagni che incontrano Celestino V durante un concistoro. Il quarto capitolo (pp. 65-88), Angelo Clareno: riflessioni e nuove ricerche (1992), è l'unico insieme al secondo che è stato integrato con qualche nuova fonte. Il contributo prende le mosse dal volume di Gian Luca Podestà, Angelo Clareno dai Poveri eremiti ai Fraticelli, edito nel 1990, di cui Accrocca elogia il rigoroso approccio metodologico. Quindi contribuisce a individuare ulteriori citazioni dalle fonti francescane presenti nell'epistolario del Clareno e di cui la sua editrice, Lidia von Auw, non si era avveduta. A questa ricognizione segue lo studio della pericope sulla visione della statua di Nabucodonosor (Dn 2,31-35), presente nel Liber chronicarum, per dimostrare che l'affidabilità dei testi di Clareno non è una questione che può essere risolta in un'affermazione generale, ma che le fonti devono essere vagliate singolarmente, possibilmente evitando «pregiudiziali generalizzazioni, apologetiche o di condanna» (p. 88). Il quinto capitolo (pp. 89-106), Paupertas Christi et apostolorum. A proposito del ms. XXI di Capestrano (1994), si discosta dal filo conduttore del volume sul frate marchigiano per occuparsi della disputa sulla povertà sotto Giovanni XXII, ma certo serve a illuminare quel contesto di polemica e di dissidenza, che ha caratterizzato gli ultimi tre lustri della vita del Clareno. Accrocca, studiando il cod. 21 di Capestrano, dimostra definitivamente che il testo ivi contenuto non è la lettera enciclica Veritatem sapientis, ma l'Appellatio monacensis di Michele da Cesena, scritta nel 1330. Oltre a presentare il contenuto dell'opera, lo studioso pubblica l'intero proemio, gli incipit dei 12 errores in cui si struttura l'Appellatio e una descrizione dei contenuti di altri testi lacunosi o frammentari sempre riguardanti la povertà di Cristo e degli apostoli, contenuti nel codice capestranense. Il sesto capitolo (pp. 107-125), L'epistolario di Angelo Clareno nel ms. 1492 della Biblioteca Oliveriana di Pesaro (1996), tratta appunto di questo codice, che contiene una raccolta di 35 lettere in volgare di Clareno, di cui 3 non presenti nell'unico testimone che ci tramanda le epistole latine del frate marchigiano (Firenze, Biblioteca Nazionale, Magliabecchi, XXXIX, 75). Di tale codice non tiene conto il lavoro della von Auw, se non per sporadici riferimenti; invece Accrocca evidenzia alcune lezioni indubbiamente preferibili. Il codice pesarese può essere determinante anche per la ricerca di alcuni destinatari. Si evidenzia anche l'intervento del compilatore sia nell'inserimento di proprie rubriche (pubblicate nel contributo) all'inizio delle singole lettere, sia di come riorganizzi in modo personale la disposizione corpus epistolare, tentando di dare un ordine tematico. Il settimo capitolo (pp. 127-139), I miracula beati Angeli (ms. Magliabecchi, XXXIX, 75) e gli ultimi anni del Clareno in Basilicata (1996), affronta lo studio dei miracula attribuiti a Clareno, secondo una prospettiva che richiama l'École des Annales, ovvero per indagare nella vita quotidiana di Clareno negli ultimi anni della sua esistenza, trascorsa in Basilicata. Accrocca fornisce nuovamente in appendice un'edizione dei miracula. Il capitolo ottavo (pp. 141-187), «Querebat semper solitudinem». Da eremita a pontefice. Rassegna di studi Celestiniani (1997), da una chiave di lettura intorno ad alcuni contributi sulla figura del papa eremita Pietro di Morrone salito al soglio pontificio con il nome di Celestino V. Si parte dal giudizio di Peter Herde espresso nel volume Cölestin V del 1981, secondo cui il pontificato di Celestino V «si risolse in una vera disgrazia per la Chiesa» e si dimostra la visione riduttiva di una tale affermazione, viziata da una estraneità «ai risultati prodotti da tutta una scuola storiografica» (p. 145: l'allusione è ad Arsenio Frugoni e Raoul Manselli). I Convegni dell'Aquila e quelli di Ferentino sulla figura del papa, che abdicò, illuminano la figura del pontefice anzitutto con una metodologia di ricerca e una linea storiografica diversa da Herde. Anche la biografia di Paolo Golinelli viene considerata «un libro serio, intelligente, brillante; un lavoro documentato e attento», che certamente può contribuire a una discussione seria su un uomo il cui «fascino del potere non aveva avuto presa»: «era rimasto, papa, lo stesso uomo di prima», in fondo «è questa la grandezza e il limite di Celestino V» (pp. 186-187). Il capitolo nono (pp. 189-227), Il «Liber chronicarum»: una storiografia militante (1999), è l'introduzione all'edizione del Liber di Clareno curata da Giovanni Boccali. Dopo un inquadramento biografico del frate marghigiano si presenta la sua opera attraverso la chiave ermeneutica del martirio. Il racconto stesso si propone come un dramma in sette atti, «una riflessione di ermeneutica storica più che di storia in senso stretto» (p. 199), per mostrare come il gruppo di Clareno si riconduce direttamente a Francesco, attraverso le sofferenze che dai primi compagni di Francesco giungono fino ai propri compagni. Dopo aver affrontato la questione della datazione dell'opera, fissata intorno al 1326, lo studioso si sofferma sul valore storico dell'opera, analizzando un caso problematico come quello di frate Elia e del martirio di frate Cesario da Spira e altri passaggi inquietanti della storia dell'Ordine. Accrocca osserva che Clareno è storicamente più affidabile per le vicende a lui più prossime, mentre man mano ci si allontana dalla sua epoca risulta meno attendibile. Questo è per esempio il caso di frate Elia, per cui Clareno rimane imprigionato nel cerchio magico della sua damnatio memoriae: di Elia «tutti potevano dir male senza correre rischi» (p. 219) e anzi a suo modo Clareno stesso vi contribuì. Infatti l'opera di Clareno circolò spesso anonima ed «esercitò un'influenza determinante negli ambiti rigoristi, poi ancora in ambito osservante e cappuccino» (p. 226). Il decimo capitolo (pp. 229-248), Insistenze ed oblii. Gli Opuscula negli scritti degli spirituali (2003), presenta il ruolo degli Spirituali nel recupero della memoria di Francesco, in particolare rispetto alla raccolta dei suoi scritti. Giustamente Accrocca sottolinea che il dibattito tra i Minori del Due e Trecento ruota intorno alla Regola e al recupero della vera intentio Francisci, per il quale frate Leone assume un ruolo centrale. In tutto l'Ordine si assiste a un moto di recupero degli Opuscula, ma fu sopra tutti Ubertino il paladino dell'osservanza della Regola e insieme il sostenitore dell'altissima paupertas. Al suo fianco non poteva mancare Angelo Clareno con il suo commento alla Regola del 1321-22, dove egli cita quasi per intero la prima Regola o Regola non bullata. Il capitolo undicesimo (pp. 249-274), Escatologia e francescanesimo nel Duecento (2004), traccia un percorso attraverso le varie esperienze minoritiche del Duecento, che mostrano più o meno consapevolmente una tendenza escatologica. Sia la lettera enciclica di frate Elia, che annunciava la morte del fondatore, dietro la quale Accrocca intravede la longa manus della Sede apostolica, e la stessa bolla di canonizzazione di Francesco, la Mira circa nos (1228), fanno già intravedere la costruzione di immagini gravide di conseguenze nell'immediato futuro. L'incontro tra gioachimismo e francescanesimo degli anni Quaranta del Duecento fece il resto: non solo Ugo di Digne e Giovanni da Parma, o le esagerazioni di Gerardo di Borgo San Donnino, ma lo stesso Bonaventura sono attori di primo piano in questo sodalizio, certo ognuno con le sue peculiarità, che Accrocca traccia e illustra con rigore scientifico. Il capitolo dodicesimo (pp. 275-284), L'edizione delle lettere di Angelo Clareno (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 1492), (2006), si pone in stretta continuità con il capitolo sesto, in cui Accrocca ribadisce l'importanza del codice pesarese sulla ricostruzione critica del corpus epistolare di Clareno, nonché nella migliore comprensione di questioni ancora aperte. L'occasione per sottolineare l'importanza di questo testo viene fornita dalla pubblicazione nel 2005 su Studia Oliveriana, da parte di Michele Curto, dell'edizione dell'epistolario in volgare del Clareno, lavoro dottorale presso la Gregoriana di cui Accrocca è stato il direttore. Il tredicesimo e ultimo capitolo (pp. 285-316), «Filii carnis - filii spiritus»: Il Liber chronicarum sive tribulationum ordinis Minorum (2007), è l'intervento che Accrocca ha fatto al Convegno Internazionale di Assisi del 2006 dedicato ad Angelo Clareno. L'ipotesi di Podestà sulla doppia redazione del Liber viene discussa per ritornare alla conclusione tradizionale e collocare la datazione intorno alla metà degli anni Venti del Trecento, mentre Clareno si trovava a Subiaco. La storia per lo Spirituale si dipana attraverso «una duplice galleria: degli eroi ingiustamente perseguitati e dei loro persecutori e distruttori» (p. 305). Ciò sottende sia la prospettiva martiriale del Liber, come pure una continuità storica espressa con personaggi emblematici, che nelle varie fasi personificano via via i «filii Francisci» e i «filii Heliae» in perenne lotta tra loro. Nella sesta e settima tribolazione la storia presente si renderà difficile da decifrare a causa di un linguaggio simbolico basato sull'alfabeto greco e latino, che ancor oggi rappresenta una croce interpretativa. Anche sul destinatario e sulla data precisa di composizione del Liber non si possono finora che avanzare delle ipotesi. Ritengo che con questo saggio non si chiuda solo una raccolta con il contributo a noi più prossimo temporalmente, ma si offra anche una sintesi meditata e lucida del magistero di Felice Accrocca della sua trentennale ricerca intorno a frate Angelo.
Tratto dalla rivista "Il Santo" XLIX, 2009, fasc. 2-3
(www.centrostudiantoniani.it)
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