Gesù
-Un approccio storico
(Ricerche teologiche)EAN 9788826317458
In Spagna il testo è stato un caso editoriale e oggetto di accesissime discussioni. Viene ora tradotto nella sua 2a ed., arricchita da cc. e appendici che ne illustrano compiutamente il progetto. Per l’a., prete e teologo a San Sebastian, «è uno studio di ricerca storica su Gesù, scritto da un credente che non cerca soltanto di ricostruire scientificamente la storia di Gesù nella Galilea degli anni Trenta, ma lo fa con la volontà d’avvicinare la sua persona agli uomini e alle donne di oggi, convinto che in lui si racchiuda la “migliore notizia” che essi possono ascoltare in questi tempi». Un approccio storicocritico, aperto a tutte le fonti letterarie, legato ai classici criteri di storicità (difficoltà, discontinuità, coerenza ecc.), attento agli apporti dell’antropologia e dell’archeologia. Ai primi 13 cc., che vanno da Nazaret fino alla morte in croce, ne è stato aggiunto uno sulla risurrezione e uno sull’identità di Gesù. Nell’epilogo si dà conto dello sforzo mai concluso dei cristiani per la comprensione della figura di Gesù.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 18
(http://www.ilregno.it)
L’opera, uscita nell’originale spagnolo verso la fine del 2007, fu subito un successo: in sei mesi raggiunse le 20 mila copie e in un anno più di 50 mila, un vero best-seller. Ora, nel 2009, sono uscite le traduzioni in italiano (quella che qui recensiamo) e in inglese (Jesus, Convivium Press, Miami, Florida). Ed è stata brevemente segnalata in Adista 51/08 e 61/09. Un successo simile ebbe la monografia sul Gesú storico di un altro iberico, il catalano Puig y Tàrrech, uscita nel maggio 2004 in catalano (Jesùs. Un perfil biogràfic, Proa, Barcelona), ristampata in luglio, un best-seller con 30 mila copie in un anno; nello stesso 2004 uscì in edizione castigliana (Destino, Barcelona) e nel 2007 in edizione italiana con presentazione di A. Riccardi (San Paolo; 22008).
Il prof. Pagola, prete basco della diocesi di San Sebastiàn, con una ottima preparazione scientifica (PIB ed École Biblique di Gerusalemme), pur essendo stato non solo professore, ma anche rettore del Seminario e per vent’anni vicario generale, dopo la pubblicazione fortunata dell’opera fu subito bersaglio di attacchi da parte del gruppo tradizionalista spagnolo di Toledo, capeggiato dal vescovo di Terazona Demetrio Fernandez , che lo accusò di eresia ariana. Non avrebbe tenuto in debito conto le antiche confessioni conciliari sulla persona di Gesú. No – osserviamo - in tal caso non sarebbe stato più un approccio storico a Gesú, secondo il titolo stesso e l’intento dell’opera! Data la indebita polemica, il suo vescovo, Juan Maria Uriarte consigliò il suo ex-vicario generale di apportare qualche precisazione e qualche modifica per ottenere il Nulla osta, l’approvazione ufficiale. Di tutto ciò l’edizione italiana purtroppo non dice nulla (sarebbe stata opportuna almeno una pagina sulle vicende del libro!) e il lettore lo viene a sapere dalla presentazione dell’a. stesso, ovviamente della seconda edizione: «La mia opera, però, ha ricevuto anche critiche negative, e ha destato problemi e diffidenze che possono creare malintesi. Tutto questo mi ha portato a preparare una nuova edizione, rivedendo il testo e, soprattutto, offrendo una presentazione più dettagliata del mio studio e un notevole ampliamento del capitolo conclusivo: Approfondendo l’identità di Gesú» (p. 6).
L’intento principale del professore di San Sebastiàn è chiaramente pastorale. Lo si capisce non solo dalla presentazione e dall’epilogo, di un calore straordinario, ma anche dal suo modo di presentare Gesú con una narrazione accattivante. Ecco cosa dice nella presentazione: «… sono convinto che Gesú è quanto di meglio abbiamo nella Chiesa e quanto di meglio possiamo offrire alla società moderna… Il mio intento fondamentale è stato quello di ‘accostarmi’ a Gesú con rigore storico e con linguaggio semplice, per avvicinare la sua persona e il suo messaggio all’uomo e alla donna di oggi» (pp. 5-6). In questa seconda edizione, dopo aver annunciato gli aggiustamenti apportati, conclude: «Lo faccio con l’unico scopo che Gesú continui a fare del bene a quanti si avvicineranno a lui mediante questa pagine» (p. 6). E verso la fine dell’ultimo capitolo fa perciò la sua professione di fede «Per i cristiani Gesú… proclamarlo ‘Figlio di Dio’ non costituisce un’apoteosi come quella che si coltiva intorno alla figura dell’imperatore; significa intuire e confessare il mistero di Dio incarnato consegnato alla morte soltanto per amore. Gesú è vero uomo; in lui è apparso che cosa significhi realmente essere persone umane: solidale, compassionevole, liberatore, servitore degli ultimi, cercatore del regno di Dio e della sua giustizia… È vero Dio; in lui si rende presente il vero Dio, il Dio delle vittime e dei crocifissi, il Dio Amore, il Padre che cerca soltanto la vita e la piena felicità per tutti i suoi figlie e figlie, cominciando sempre dai crocifissi» (p. 527) e nella nota 50 a piè’ di pagina espone in breve la cristologia dei primi concilî fino a Calcedonia (451 d. C.).
Il metodo con cui lavora intende essere scientifico, storico-critico, coadiuvato da tutti i metodi attuali, oggi accettati (pp. 9-14). Le fonti usate sono i vangeli canonici, anche se egli ricorre ad altre fonti, agli Apocrifi e in particolare al Vangelo di Tommaso, «oggi così valorizzate da alcuni settori del mondo anglo-sassone, che però non apportano in pratica informazioni affidabili e interessanti per accostarci a Gesú» (p. 10). Lo fa, specie in nota, per rispondere criticamente ad altre proposte. I criteri di storicità sono quelli in uso: difficoltà, discontinuità, testimonianza molteplice, coerenza ed altri minori, ma non si riferisce esplicitamente a quello della plausibilità storica dell’ambiente giudaico ancorché lo applichi. Oltre all’uso critico delle fonti, «utilizza ogni genere di metodi e scienze» con gli apporti più rilevanti dell’archeologia, dell’antropologia culturale, della sociologia delle società agrarie del bacino del Mediterraneo, dell’economia…» (p. 12). E nella n. 13 a pie’ di pagina aggiunge qualcosa che ha a che fare con gli approcci attuali più che non con il metodo: «Ho tenuto conto in maniera particolare dei criteri e degli orientamenti della Pontificia Commissione Biblica circa la necessità dell’approccio sociologico, l’importanza dell’approccio in base all’antropologia culturale, l’apporto dell’approccio nell’ottica della liberazione e dell’approccio femminista», ove si nota la poca chiarezza teoretica, che si riflette in tutta l’opera, nel distinguere fra metodo vero e proprio ed approccio ermeneutico. Un terzo elemento, forse il più importante del suo metodo interpretativo è l’ampio uso della bibliografia sul Gesú storico: «Nella misura delle mie possibilità ho studiato, valutato e sintetizzato gli autori più rilevanti per il rigore storico e solidità delle proposte» (p. 12). Non lo fa «in maniera acritica»; è anzi critico in particolare verso J.D. Crossan e il Jesus Seminar (n. 15 a p. 13), mentre utilizza a modo suo i due criteri cui ricorre J.D.G. Dunn nella sua grossa monografia sul Gesú storico: l’impatto di Gesú sui suoi seguaci più vicini e il conseguente ricordo dei suoi (Il Gesú ricordato). Perciò il metodo dell’a. è piuttosto pragmatico ed eclettico. Ecco come egli si esprime alla fine della presentazione del suo metodo di lavoro. Ricordati i vari modelli di Gesú, finora proposti, continua: «I grandi ricercatori corrono il rischio di focalizzare la loro indagine su ciò che meglio corrisponde al loro ‘modello di Gesú’, trascurando altri aspetti importanti anch’essi solidamente raccolti nella tradizione. Da parte mia, ho cercato di essere attento agli apporti più solidi di tali ‘modelli diversi’, raccogliendo gli aspetti che appaiono ragionevolmente compatibili fra loro» (p. 14) E in nota aggiunge: «Conosco le difficoltà che questo comporta, ma il mio studio pretende in qualche modo di sintetizzare e utilizzare in maniera equilibrata l’attuale ricerca (corsivo mio)».
Se dal metodo di ricerca si passa al modo di esporre, l’a. sceglie per questo «il genere narrativo» allo scopo «di avvicinare il lettore di oggi, credente a meno, all’esperienza vissuta di coloro che incontrarono Gesú perché narrare secondo gli esperti è la maniera più elementare per comunicare le esperienze fondanti dell’umanità» (p. 16, e n. 22). Perciò il testo va letto a due livelli: quello della narrazione semplice che evita le complesse discussioni critiche, rimandate al secondo livello, quello delle note, in genere brevi. Ora, se la narrazione permette di inglobare in modo comprensibile un’enorme quantità di dati, socio-culturali, socio-politici ed economici, archeologici ecc. all’interno di un discorso, di un’azione o di una parabola di Gesú, lascia largo spazio alla configurazione immaginativa, che non si basa sulle fonti ma su supposizioni senza vero fondamento. Per fare solo due esempi: la presenza di donne all’ultima cena e il processo psicologico che portò i discepoli ad accogliere il messaggio della risurrezione (pp. 471-481), salvo poi a dire che la risurrezione era «inattesa» (p. 477). Si corre qui il grosso pericolo di proiettare sul Gesú storico quanto si conosce da fonti non dirette. Tanto più che tali configurazioni proposte dall’a. sono spesso guidate chiaramente dal suo interesse per alcune tematiche attuali come quelle della teologia della liberazione e dell’esegesi femminista, proiettate sul Gesú storico.
Ciò si evince anche dai titoli dati ai tredici capitoli che compongono l’opera, orientati ad una configurazione della persona di Gesú più che ad una storia di lui: 1/ Giudeo della Galilea, 2/ abitante di Nazaret, 3/ cercatore di Dio (in relazione con Giovanni Battista), 4/ profeta del regno di Dio, 5/ poeta della compassione, 6/ colui che ha cura della vita, 7/ difensore degli ultimi, 8/ amico delle donne 9/ maestro della vita, 10/ creatore di un movimento innovatore, 11/ credente fedele (a differenza di altre presentazioni di Gesú, qui insiste sul fondamento religioso, ultimo, della sua persona e della sua missione sociale in contrasto con proposte puramente sociologiche), 12/ conflittuale e pericoloso, 13/ martire del regno di Dio. Con la morte di Gesú in croce nel 30 si conclude la storia di Gesú. Però egli aggiunge altri due capitoli aldilà della sua storia terrena per dire che a Gesú giustiziato sulla croce è stata resa giustizia da Dio con la sua risurrezione: «La risurrezione di Gesú non appartiene più alla storia terrena di Gesú, perché… non si tratta di un ritorno a questa nostra vita nel mondo bensì del suo passaggio alla Vita di Dio. Per questo la maggior parte dei ricercatori conclude il proprio studio con il capitolo della crocifissione. Io non ho voluto concludere il mio libro sulla croce. Ho aggiunto due capitoli che nella storia di Gesú vanno aldilà: il capitolo 14 sul Gesú risuscitato da Dio e l’ultimo, intitolato approfondendo l’identità di Gesú» (p. 18).
Ai singoli capitoli viene aggiunta alla fine una bibliografia sull’argomento (purtroppo senza alcun ordine né cronologico né per autore), mentre alla fine dell’opera vengono annessi ben otto brevi allegati: Breve profilo storico di Gesú, Criteri generali di interpretazione, Fonti letterarie, Criteri di storicità, Principali dati archeologici (vistosa la mancanza sia qui che nel corso dell’opera degli scavi francescani a Cafarnao, forse per il fatto che l’a. ha studiato all’École Biblique?), Aspetti dell’attuale ricerca su Gesú, Scienza-fiction relativa a Gesú, Cronologia. Nella bibliografia finale mancano diversi nomi che ricorrono nelle note. Sarebbe bene fosse completata. Ciò forse è dovuto anche alla lamentevole mancanza di ogni indice, a parte quello generale. Un indice biblico e degli autori citati avrebbe certamente facilitato e aiutato il lettore più esigente.
A conclusione vorrei tentare una breve valutazione complessiva dell’opera. Che l’a. sia riuscito nel suo intento pastorale di accostare il pubblico, credente o no, alla persona di Gesú e a simpatizzare con lui e la sua concezione dell’uomo e del regno di Dio, non vi è dubbio, sia constatando il successo editoriale sia sentendo le reazioni positive pervenute al professore di San Sebastian da credenti e non credenti (p. 6). Il coinvolgimento della sua esperienza personale di Gesú si sente in ogni pagina. Basti leggere queste righe all’inizio: «Nel corso dell’elaborazione di questo libro ho fatto qualcosa che non avevo fatto mai in precedenza: dopo aver esaminato una questione concreta valutando criticamente i dati che i ricercatori mi fornivano, ho trascorso molte ore in silenzio, cercando di sintonizzami col protagonista» (p. 14). Certo, la simpatia e l’affinità con Gesú, una persona vivente e non un oggetto storico neutrale, aiutano a comprendere anche la sua persona storica. Per altro verso il suo scopo di «raccontare la storia di Gesú in maniera significativa per la società moderna» (p. 15) è pure ben raggiunto, tenendo conto dell’orizzonte ermeneutico attuale di ricerca di giustizia, di senso della vita, del ruolo della donna, della compassione e azione verso gli ultimi. Ciò spiega perché egli, a differenza di Puig y Tàrrech, non segue la linea cronologica, ma la configurazione e i caratteri della persona di Gesú, della sua concezione dell’uomo, del regno, della sua missione, concentrando alla fine tutto nella rivelazione del Dio che è Amore e non un giudice severo (cf. in particolare l’interpretazione della morte di croce).
Il suo modo pragmatico ed eclettico di procedere comporta qualche pericolo, di cui lo stesso a. si è reso conto: ripetizioni, ambiguità, contraddizioni e sviste banali. Non mi fermo sulle ripetizioni e sul tono talora retorico, evidenti alla lettura, mentre vorrei illustrare ambiguità e contraddizioni derivanti dal suo procedere eclettico. Solo tre esempi. Del racconto della lavanda dei piedi (Gv 13,1-16) dà questo giudizio: «La scena è probabilmente una creazione dell’evangelista, ma riprende in maniera ammirevole il pensiero di Gesú». E in nota (n. 89) ne dà la giustificazione: «si trova solo in Gv 13,1-16» (non gode quindi del criterio di molteplice attestazione) e continua «Sebbene vi siano studiosi che ne difendono l’autenticità… (con quali argomenti non si sa), la maggioranza tende a considerare una composizione tardiva», e l’unico argomento in favore è l’introduzione (Gv 13,1-3) chiaramente redazionale. Ora, se avesse applicato i criteri da lui stesso offerti all’inizio, ne avrebbe potuto addurre almeno tre a favore la sostanziale autenticità storica del racconto e non solo del pensiero di Gesú: la abissale diversità dall’ambiente giudaico e la coerenza con altri comportamenti e insegnamenti di Gesú, per non dire di un terzo criterio, quello dell’imbarazzo. Circa la possibilità che il corpo di Gesú sia finito in una fossa comune, come sostiene ultimamente Crossan, Pagola riesce a contraddirsi nella stessa pagina 484: mentre nella n. 62 offre una serie di argomenti per cui Gesú può essere stato sepolto con onore, subito dopo nel testo dice: «di certo Gesú non ebbe una sepoltura con onori funebri» e poco dopo: «Non sappiamo con certezza se di lui si siano occupati i soldati romani o i servi delle autorità del tempio; non sappiamo se finì in una fossa comune come tanti giustiziati o se Giuseppe d’Arimatea poté fare qualcosa per seppellirlo in qualche sepolcro dei dintorni». E poco più avanti: «Di certo, l’episodio (del sepolcro vuoto) può essere realmente accaduto, e non mancano motivi per affermarlo; diventa difficile immaginare che questa storia (del sepolcro vuoto) sia stata creata per rafforzare con pieno realismo la risurrezione di Gesú, scegliendo come protagoniste appunto un gruppo di donne». E si potrebbe continuare su questa altalena. Un terzo caso di questa ambiguità lo si legge alle pp. 447-48, ove nella n. 79, cita Isaia 53,12 e il Salmo 22,17 per sostenere che forse la presenza di due criminali giustiziati insieme con Gesú è inventata e continua: «Crossan vede in questi testi l’origine della scena narrata dai vangeli» (n. 79, p. 448). Non si sa perciò se egli accetti o no la nota tesi di Crossan che il racconto della Passione è stato costruito sulle profezie. Strano che ora si adducano le profezie come prova della non storicità del racconto della Passione, quando in passato si portavano come prova apologetica che Gesú compiva la profezia del Servo di Jahwè, presupponendo quindi la sua storicità. Come si vede, non è che egli abbracci o rifiuti la tesi di Crossan, la riporta semplicemente, creando confusione nel lettore attento.
Sviste banali se ne trovano quasi ad ogni pagina. Il testo, in una eventuale seconda edizione, andrebbe accuratamente rivisto. Ne cito solo due, le più strane: a p. 434, n. 45 si legge «Il significato reale è quello di ‘re della Giudea’ (G. Soslayan)». Chi è questo autore? Si va a vedere la bibliografia finale e si scopre che l’autore è Gerard S. Sloyan! (p. 387). A p. 455, la n. 102 conclude con questa asserzione strana: «la scienza è probabilmente una composizione giovannea». La «scienza» ovviamente è la «scena» di Gv 19,26-27.
Tutto sommato, l’opera nel suo insieme sembra corrispondere all’intento di narrare con linguaggio semplice la figura storica di Gesú, vivacizzandola con i dati dell’antropologia culturale, della sociologia e della archeologia, mentre la critica storica si perde nella nebbia delle citazioni di vari autori, che sostengono l’una o l’altra opinione, spesso lasciate aperte. Ciò non toglie nulla al ricco spessore ermeneutico con cui riesce ad accostare Gesú alle aspettative dell’uomo di oggi in una vivace e interessante narrazione.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2010, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
- Libri → Teologia → Cristologia