Essere donna nella città attuale
(Percorsi di teologia urbana)EAN 9788825047028
CATERINA
CIRIELLO
ESSERE DONNA
NELLA CITTÀ
ATTUALE
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ISBN 978-88-250-4702-8
ISBN 978-88-250-4703-5' (PDF)
ISBN 978-88-250-4704-2' (EPUB)
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MESSAGGERO DI SANT'ANTONIO ' EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova
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INTRODUZIONE
Scrivere un libro sulla presenza della don-
na nella attuale vita socio-culturale, politica ed
economica, nonché ecclesiale non è stata cosa
facile; ritengo, inoltre, che non sia un argomen-
to assolutamente esaurito, ma ancora tutto da
esplorare con coraggio e senza reticenze poiché
di silenzi già troppi ce ne sono stati, ve ne sono e
probabilmente ve ne saranno. Perché il mondo è
fatto così. Siamo capaci di organizzare una gior-
nata sul web dedicata agli attacchi contro una
donna perché sotto la canottiera non portava
il reggiseno e perciò viene duramente criticata
(come se fosse di capitale importanza), per poi
far finta di niente, o addirittura sminuire, argo-
menti ben più rilevanti riguardanti la vita uma-
na, i diritti delle persone, i diritti delle donne
di ogni etnia, colore, paese.
Scrivere sul ruolo della donna nel mondo
e nella chiesa di oggi significa non tralasciare
il desiderio di papa Francesco, per il quale la
donna è una importante nonché significativa
chiave di lettura della società e della chiesa at-
tuale. Nella Evangelii gaudium il papa parla della
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necessità di «un'evangelizzazione che illumini
i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli
altri e con l'ambiente, e che susciti i valori fon-
damentali» (74). Partire dal racconto della crea-
zione dell'uomo e della donna è, come abbiamo
visto, imprescindibile: è da lì che nascono tut-
te le relazioni, e la rottura dell'alleanza a causa
del peccato porta inevitabilmente a una rottura
globale della comunione, a una distorsione del
messaggio divino che, per questo motivo, ha bi-
sogno di essere «riscoperto» al fine di rinnovare
l'alleanza e ritrovare ciò che è perduto: valori
come la fede, l'amore, il rispetto, l'accoglienza,
la condivisione, la giustizia.
Cosa vuol dire parlare di «teologia urbana»'
Sostanzialmente non è mettersi a pensare secon-
do un nuovo input teologico, tutt'altro. Teolo-
gia urbana è accoglienza e messa in pratica di
ciò che leggiamo nella Evangelii gaudium, ossia
contemplare la città, questo antico «areopago»,
e rendersi conto che proprio in questo luogo
c'è bisogno di ripensare l'annuncio del Vangelo
perché la città non è più quella di un tempo, e
l'uomo e la donna di oggi hanno bisogno non
tanto di parole, quanto di fatti, testimonianze
concrete che possano far riflettere e rimettere in
discussione il proprio cammino di fede ' lad-
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dove esiste ' o crearne uno. Troppa solitudine,
troppo individualismo, troppo edonismo.
Perché la donna nella città' Se vogliamo co-
gliere «l'anima della città» non possiamo «bai-
passare» questo tema fondamentale. La donna,
infatti, rientra in quelle categorie che papa Fran-
cesco nella Evangelii gaudium, definisce «i 'non
cittadini', i 'cittadini a metà' o gli 'avanzi urba-
ni'» (EG 74). Probabilmente qualcuno ' forse
proprio qualche donna ' non apprezzerà questa
mia considerazione nata dalla riflessione di que-
sto numero dell'Esortazione apostolica. Se così
fosse potrei dare solo una risposta: non siamo
abituati a guardare; ci fermiamo alle apparenze;
troppo superficiali; incapaci di contemplare la
vita che la città di oggi ci mette davanti. Com-
prendo che non è facile: infatti non è assolu-
tamente semplice acchiappare qualsiasi oggetto
trascinato via da un fiume in piena.
Questa è la città di oggi: un fiume in piena
dove scorrono veloci e anonimi «avanzi urbani».
Ma c'è un'immagine che mi accompagna e mi
conforta e cioè quella di una donna che, aggrap-
pata a un ramo, cerca di sfuggire alla corrente
per non finire nel nulla dell'indifferenza. È que-
sto che fa la differenza. È questo che significa
essere donne: non aver paura di lottare per essere
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se stesse e aiutare gli altri a non sentirsi esclusi,
umiliati, privati della loro dignità.
Non può vivere secondo natura e secondo il
Vangelo una società dove le donne sono consi-
derate «scarti», merce da usare e gettare. E papa
Francesco lo ha sempre detto sin dall'inizio del
suo pontificato: no alle donne schiavizzate,
sfruttate, private della loro dignità. E non può
che «sopravvivere» una chiesa dove prevale il
maschilismo, il clericalismo, e l'idea che la don-
na sia stata creata per «servire e riverire» l'uomo.
Ignazio di Loyola negli Esercizi spirituali scrive:
«L'uomo è creato per lodare, riverire e servire
Dio nostro Signore» [EE 23]. Se proprio la chie-
sa e i cristiani se ne dimenticano, non ci sarà
teologia, neppure quella «urbana» che ci salvi.
Per concludere desidero ringraziare vivamen-
te ' come donna e come teologa ' il caro amico
e collega professore don Armando Matteo, di-
rettore della collana, che ha voluto darmi questa
opportunità e ha creduto in me.
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1
PROLEGOMENI DI GENERE
Perche' i minions, i personaggi del film d'animazione
diretto da Pierre Coffin e Kyle Balda (2015) sono tutti
maschi' Il mistero è stato svelato da Pierre Coffin:
«Considerato che sono tutti tonti o stupidi, sempli-
cemente non potevo immaginarli di sesso femminile»
(P. Schellenbaum).
Per cominciare vorrei rassicurare il lettore
sulla natura dell'argomento che andremo a trat-
tare. Non si parlerà di genere/gender per seguire
il filo di un pensiero ideologico nel quale non
mi sento a mio agio. Non ignoro, comunque, le
problematiche e i conflitti generati da una «ra-
dicalizzazione», spesso forzata, delle «teorie di
genere» per cui un soggetto, se vuole, è libero di
riscrivere «sovversivamente la propria sessualità
e la propria identità di genere, reinventandosi
continuamente, combinando aspetti prima in-
compatibili, proprio per rompere con la fissità
delle rappresentazioni di genere»1; però mi do-
1
'A. Piccirilli, Identità in discussione tra genere e gender,
«Studi di Teologia (supplemento 13)», Anno XXVII/2, 2015,
4-16, in particolare 10.
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mando se sia questo il cammino più adeguato
per creare una società ricca in umanità, in valori,
capace di cogliere e accettare tutte le possibili
sfumature di ogni persona senza pregiudizi e
disuguaglianze. A tale proposito credo sia utile
considerare la linea di pensiero di una teologia
intrinsecamente femminile e meno «femmini-
sta», che si stacca dall'ideologia gender per svi-
luppare una visione antropologica che riconosca
l'esistenza del maschile e del femminile, nella
duplice accezione biologica e di identità del sog-
getto, priva di qualsiasi discriminazione a livello
sociale, culturale e politico.
Pluralismo, individualismo e globalizzazione
sono le grandi sfide del nostro tempo, perciò sia-
mo sempre desiderosi di conoscere cosa è meglio
per noi, cosa è giusto, anche per chi ci sta accan-
to. Ma chi decide cosa è buono e cosa non lo è'
«Chi decide cosa e' naturale e universale e cosa
e' culturale e relativo'» (Yanagisako, Delaney
1995). È una istanza che in qualità di cristiani
non dovrebbe appartenerci: fatti a immagine e
somiglianza di Dio, identificabili in quanto a
genere e uguaglianza, i cristiani conoscono bene
la loro identità poiché fondata sulla relazione
trinitaria con le persone.
Eppure la storia ci insegna che il «genere
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femminile» è stato sempre declinato in riferi-
mento al suo opposto, cioè il maschile, per cui
non è possibile considerare «neutrale» la cultura
sociale venuta elaborandosi nel tempo in chiave
prettamente maschile, con una netta prevarica-
zione di un genere sull'altro ' quello maschile,
appunto ' che ha assunto indiscriminatamente
ruoli di potere e decisionali, dai quali ' non
si capisce perché ' la donna è stata automati-
camente estromessa. Urge, allora, ricollocare i
termini della questione e compiere un giro a
360° per elaborare una nuova «cultura di ge-
nere», dove ci sia spazio per una valorizzazione
dell'uomo e della donna assolutamente lontana
da possibili ruoli precostituiti, come è stato fi-
nora. Il dibattito è assolutamente vivo e acceso
e mi auguro che la teologia, specialmente quella
dei colleghi uomini, possa «pensare», possibil-
mente alla luce dello Spirito, e rimediare a que-
sta confusione antropologica.
In principio Dio creò l'uomo
Nel secondo capitolo della Genesi (2,7-15)
il narratore ci presenta l'uomo creato e posto
immediatamente nel giardino dell'Eden. Leg-
giamo:
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Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del
suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo
divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò
un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo
che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare
dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni
da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino
e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un
fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di
lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume
si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione
di Avìla, dove si trova l'oro e l'oro di quella regione è
fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d'òni
ce. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre
attorno a tutta la regione d'Etiopia. Il terzo fiume si
chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto
fiume è l'Eufrate. Il Signore Dio prese l'uomo e lo
pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse.
La posizione di Adamo (''d'm) è invidiabi-
-
le: ha tutto ciò che desidera per vivere a patto
che coltivi e custodisca il giardino. Il narrato-
re evidenzia un fatto che, in una prima lettura
potrebbe sfuggire, ma che è determinante nella
sua relazione con Dio: l'uomo non è padrone
del creato, bensì custode. Non può fare tutto ciò
che vuole, anzi il Creatore molto esplicitamente
gli «comanda»: «Tu potrai mangiare di tutti gli
alberi del giardino, ma dell'albero della cono-
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scenza del bene e del male non devi mangiare,
perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, cer-
tamente dovrai morire» (Gen 2,16). Dio mette
subito in chiaro le conseguenze della disobbe-
dienza: la morte. Essa non è altro che il frut-
to del peccato primordiale che ancora affligge
l'animo umano, ossia il voler essere come Dio.
Il rifiuto di essere «creatura», il desiderio di
giungere alla «conoscenza del bene e del male»,
il voler assecondare a ogni costo la sua brama di
conoscenza, in conclusione l'uso «sconsiderato»
della libertà donatagli dal Creatore, pongono
l'uomo al di fuori del progetto di Dio, ovve-
ro l'immortalità. La morte, infatti, non è stata
creata da Dio (Sap 1,13), ma «per invidia del
diavolo è entrata nel mondo» (Sap 2,24), ed è
spirituale oltre che fisica poiché segna la «rottu-
ra» del rapporto con Dio.
Prima dell'evento «disastroso» della disobbe-
dienza possiamo immaginare l'uomo, Adamo,
mentre passeggia in questo incantevole giardi-
no: una meraviglia ai suoi occhi (S 118,23)! La
parola di Dio è creatrice: «E Dio disse... e così
avvenne...», ma in particolare tutto ciò che è
creato è perfetto, infatti «Dio vide che era cosa
buona e giusta».
A questo punto il narratore biblico svela un
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piccolo dramma: l'uomo è solo; ha tutto ma gli
manca un soggetto affine, uguale a lui. Per que-
sto Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo:
voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». È il
momento in cui vengono creati e portati all'uo-
mo tutti gli animali della terra. Caterina Moro
interpretando questo passo della Genesi ne offre
una lettura piuttosto ironica: Dio, infatti, volen-
do trovare all'uomo un aiuto che gli corrispon-
da, crea gli animali, quasi a voler controllare se
Adamo è in grado di distinguere se stesso da
questi ultimi2. Se facciamo attenzione, la narra-
zione prosegue in questo modo: «ma per l'uomo
non trovò un aiuto che gli corrispondesse»; la
ricerca, perciò, non è compiuta dall'uomo ma
da Dio, che alla fine decide di creare la donna.
Questo farebbe pensare che l'uomo plasmato
dalla polvere sia un essere vivente come gli altri,
incapace di andare oltre l'istinto proprio degli
animali; in realtà non è così poiché l'imposi-
zione dei nomi a ogni specie di creatura denota
la sua intelligenza e un potere che amministra
con saggezza.
Nel primo racconto della creazione ' in real-
2
'C. Moro, Dividere e unire: la creazione dell'uomo e della
donna nell'esegesi giudaica antica e nella critica moderna, «Studi e
materiali di Storia delle religioni», 70, 1(2004), 123-143.
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tà cronologicamente sarebbe il secondo perché
è più recente ' (Gen 1,26ss), al contrario, Dio
crea l'uomo a sua immagine e somiglianza, «ma-
schio e femmina li creò», dandogli il dominio
su tutto il resto del creato, benedicendoli e chia-
mandoli alla fecondità. Il rapporto tra Dio e
l'uomo qui è di stretta affinità, uguale a quella
che intercorre tra padre e figlio, per cui il figlio
eredita dal padre tutto ciò che è suo: in questo
caso l'uomo è signore della creazione, e in Cristo
avrà la figliolanza e la vita eterna.
La formazione dell'uomo conclude il ciclo
dell'attività creatrice di Dio, il sesto giorno è
coronato con l'opera più importante e, dunque,
il settimo giorno egli può riposare.
Poi arrivò la donna
Le donne sono ormai abituate a frasi stereo
tipate come: «chi dice donna dice danno», «don-
na al volante, pericolo costante», e la lista po-
trebbe continuare all'infinito tanto da creare una
vera e propria «letteratura» sull'argomento. Si
presume che reo di ciò sia stato proprio Adamo,
che per colpa di Eva rimase senza una costola!
Dio, infatti, gliela tolse per formare la donna,
che poi presentò all'uomo, il quale orgogliosa-
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mente esclamò: «Questa volta è osso delle mie
ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna
perché dall'uomo è stata tolta» (Gen 2,23).
Sulle labbra di Adamo viene posta una
espressione tipicamente semitica, secondo la
quale «ossa e carne» denotano un vincolo di
parentela: sono dunque «simili», «umani», de-
stinati a coabitare, a essere «un'unica carne».
Ma «costola» significa anche «fianco» o «lato»,
per cui la creazione della donna va interpretata
proprio come uno stare a fianco del suo simile '
l'uomo ', in una relazione di pari dignità e reci-
procità sottolineata dal fatto che ella è creata da
Dio, così come lo è stato l'uomo. Nella Midrash
si legge: «Eva non fu creata da un osso della testa
di Adamo, perché non deve comandare, non
fu presa da un osso dei piedi di Adamo, perché
non è sua schiava. È stata creata dalla costola,
perché la costola è vicina al cuore» (Midrash,
Genesi Rabbah 8,2).
L'uomo e la donna sono perciò creati per una
comunione di vita totale, perché insieme formi-
no non solamente un'unica carne, ma abbiano
uno stesso sentire, una relazione interpersonale
altamente spirituale tra loro e con Dio. La co-
munione ('''''''', koinonia) è infatti frutto
dell'atto creazionale attraverso il quale ogni per-
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sona è chiamata a divenire immagine di Dio
«nella» comunione, non nella solitudine, a im-
magine della Trinità.
L'uomo ' Adamo ' e la donna ' Eva ' vivono
in perfetta comunione nel giardino dell'Eden,
nudi «non provavano vergogna» (Gen 2,25).
La relazione con l'altro/a avviene attraverso il
corpo: esso costituisce l'identità della persona
fatta di «materia», oltre che spirito, l'unica realtà
che ci permette di essere conosciuti e di poter
conoscere. Senza il corpo, infatti, non ci sarebbe
nessun tipo di relazione, non potrebbero esistere
la società né la famiglia; anche la sessualità è una
componente propria della natura umana, voluta
da Dio che, ricordiamo «maschio e femmina
li creò» (Gen 1,27). A tale proposito Giovanni
Paolo II ci ricorda che «nel mistero della crea-
zione ' in base alla originaria e costitutiva 'so-
litudine' del suo essere ' l'uomo è stato dotato
di una profonda unità tra ciò che in lui umana-
mente e mediante il corpo è maschile, e ciò che
in lui altrettanto umanamente e mediante il cor-
po è femminile. Su tutto questo, sin dall'inizio,
è scesa la benedizione della fecondità, congiunta
con la procreazione umana»3. L'essere nudi non
3
'Giovanni Paolo II, Udienza del 14 novembre 1979,
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crea imbarazzo, perché l'uomo e la donna si
trovano in uno stato di «innocenza originaria»
ove il senso ' o coscienza ' del proprio corpo è
arricchimento reciproco, non divisione:
Ci troviamo, dunque, quasi nel midollo stesso della
realtà antropologica, il cui nome è «corpo», corpo
umano. Tuttavia, come è facile osservare, tale midollo
non è soltanto antropologico, ma anche essenzialmen-
te teologico. La teologia del corpo, che sin dall'inizio
è legata alla creazione dell'uomo a immagine di Dio,
diventa, in certo modo, anche teologia del sesso, o
piuttosto teologia della mascolinità e della femmini-
lità, che qui, nel Libro della Genesi, ha il suo punto
di partenza4.
Uomo e donna sono perciò «complementa-
ri» nella loro sessualità e nella «individualità»:
diversi ma uguali perché fatti a immagine e so-
miglianza di Dio, così come descritto in Gen
1,27.
La creazione della donna è ben lontana
dall'essere un ostacolo per l'uomo, anzi appare
come «aiuto e salvezza» nella immensa solitudi-
ne dell'uomo.
Sorge allora spontanea una domanda: chi
https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1979/
documents/hf_jp-ii_aud_19791114.html.
4
'Ivi.
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' o cosa ' ha permesso una reinterpretazione
indebita della Parola di Dio esasperando l'ugua-
glianza dei sessi' Ci rendiamo conto della gra-
vità di ciò, giacché «nessuna scrittura profetica
va soggetta a privata spiegazione, poiché non da
volontà umana è mai venuta una profezia, ma
mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini
da parte di Dio» (2Pt 1,20-21)' Perché la per-
fetta armonia dell'Eden si è trasformata in un
incomprensibile disordine'
Dal paradiso al caos
Per cominciare sarebbe bene precisare cosa
intendiamo per «caos». Non facciamo riferi-
mento a quello primordiale di Gen 1,2 (Tohû-
chaos) nel quale Dio interviene trasformando la
terra da luogo arido e deserto, desolato e senza
vita, in un giardino luminoso e perfetto, bruli-
cante di germogli ed esseri viventi. Il caos a cui
ci riferiamo è disordine, confusione di cose, di
idee, di sentimenti, qualcosa che ci fa vivere la
vita upside down, sottosopra, non come la si vor-
rebbe: insomma un sovvertimento dell'ordine
prestabilito, che sia di Dio o degli uomini riuni-
ti in un contesto sociale. Biblicamente possiamo
provare a capirne l'origine nel testo che segue:
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Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche
fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero
che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun al-
bero del giardino'». Rispose la donna al serpente: «Dei
frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare,
ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardi-
no Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo
dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente
disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa
che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri
occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e
il male» (Gen 3,1-5).
Il serpente era il diavolo: diavolo d'un ser-
pente cosa è stato capace di fare! In un colpo
solo, per mezzo della grande intelligenza di cui il
Creatore lo aveva dotato (poteva essere di gran-
de utilita' all'uomo se solo non ne fosse stato
geloso...) e con la sua invidia, è riuscito a spaz-
zare via lo splendido futuro degli esseri umani.
Ha saputo incantare la donna con parole posa-
te, eloquenti, gradevoli, dolcemente sussurrate
all'orecchio, ed ella si è lasciata convincere che
il suo Creatore fosse un bugiardo...! «Allora la
donna vide che l'albero era buono da mangiare,
gradito agli occhi e desiderabile per acquistare
saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi
ne diede anche al marito, che era con lei, e an-
ch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi
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di tutti e due e conobbero di essere nudi» (Gen
3,6-7).
Il caos nasce dalla trasgressione, in questo
caso dalla disobbedienza a un preciso comando
di Dio: non mangiare i frutti dell'albero della
conoscenza del bene e del male. Ecco il pecca-
to originale, cioè primordiale, all'«origine» del
caos, e nel quale la donna sembra aver avuto ' a
detta del narratore biblico e secondo la stragran-
de maggioranza delle interpretazioni esegetiche
a sfondo patriarcale ' una parte certamente pe-
culiare: è lei, infatti, a porgere il frutto all'uomo,
che liberamente lo accetta e ne mangia. «Dalla
donna ha inizio il peccato e per causa sua tutti
moriamo» (Sir 25,24). E così, di generazione in
generazione, di bocca in bocca è passata questa
«scelleratezza».
Uno dei primi frutti del peccato e' stato pro-
prio quello di non voler ammettere le proprie
colpe. Dio vede che Adamo sa di essere nudo e
capisce che gli ha disobbedito. Ma Adamo non
si rassegna: catapulta tutta la responsabilità sulle
spalle di Eva, ed ella, a sua volta, non da meno
del suo compagno, se ne lava le mani accusan-
do il serpente di averla ingannata (Gen 3,8-13)!
Niente di piu' semplice. Nel linguaggio corrente
si dice: fare a scaricabarile.
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L'uomo e la donna non hanno resistito alla
tentazione di diventare come il loro Creatore
e conoscere il mistero della vita, a cui si ag-
giunge il suo corrispondente, ossia la morte;
quest'ultima non va vista solo come termine
dell'esistenza terrena, è molto di più perché ini-
zia già nel momento della caduta: è condanna
alla solitudine, alla lontananza da Dio, al duro
lavoro, al continuo dover scegliere tra ciò che
è bene e ciò che è male assumendone le conse-
guenze. Allorquando Adamo ed Eva si ribella-
rono al loro creatore scoprirono la miseria della
loro condizione e l'infelicità che ne derivava
trasmettendo questo miserabile stato alle gene-
razioni future. «Non abbiamo ascoltato la voce
del Signore nostro Dio per camminare secondo
i decreti che il Signore ci aveva messo dinnanzi»
(Bar 1,18).
La conclusione di questo primo momento
della storia umana non è edificante: «Il Signore
Dio scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardi-
no di Eden i cherubini e la fiamma della spada
folgorante, per custodire la via all'albero della
vita» (Gen 3,24). È l'uomo a essere cacciato. E la
donna' In realtà il termine biblico ''d'm ' Ada-
-
mo ' ha un valore collettivo e perciò indica
tutto il genere umano, dunque anche la donna.
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Il primo peccato ' che possiamo definire di
«superbia» ' ha generato conseguenze rovinose
per l'intera creazione, non solamente per l'uma-
nità. A causa dell'uomo Dio maledice il suolo,
che da quel momento produrrà «spine e cardi»;
inoltre quella che poteva essere una relazione
di pacifica convivenza con tutti gli esseri creati
diviene lotta per la sopravvivenza, ove il primo
a soffrirne è proprio il serpente; esso mangerà
la polvere del suolo e la donna sarà la sua acer-
rima nemica: «questa ti schiaccerà la testa e tu
le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). Eva, la
madre di tutti i viventi, avrà la sua rivalsa, ma
i conti saranno debitamente saldati con Maria
di Nazaret, poiché: «La grazia che Eva ci tolse
ci è ridonata in Maria. In lei, madre di tutti gli
uomini, la maternità, redenta dal peccato e dalla
morte, si apre al dono della vita nuova» (Prefazio
dell'Avvento II/A).
Prima di ciò l'umanità dovrà affrontare le
dure conseguenze del peccato: violenze, degrado
morale, omicidi, oppressione, disuguaglianze,
tutte realtà purtroppo ancora presenti nell'og-
gi dell'umanità, che sembra non aver imparato
nulla da Dio, il quale compie un iniziale ge-
sto di misericordia in quanto «fece all'uomo e
alla donna tuniche di pelli e li vestì» prima di
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mandarli via dall'Eden, a cui si aggiunge quello
supremo della incarnazione del suo Figlio uni-
genito Gesù Cristo che «dopo aver compiuto la
purificazione dei peccati si è assiso alla destra
della maestà nell'alto dei cieli» (Eb 1,3). L'al-
leanza tra Dio e l'uomo, spezzata dalla disob-
bedienza, sarà rinnovata sul legno della croce.
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PER CONTINUARE A RIFLETTERE
AA.VV., Questo non è amore. Venti storie raccon-
tano la violenza domestica sulle donne, Marsi-
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Cupach W.R., Attrazione, ossessione e stalking,
Astrolabio, Roma 2011.
Di Tullio D'Elisiis A., Il nuovo reato di fem-
minicidio, Maggioli editore, Rimini 2014.
Galeotti G., Il velo. Significato di un copricapo
femminile, EDB, Bologna 2016.
Hirigoyen M.F., Molestie morali. La violenza
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Scaraffia L., Dall'ultimo banco. La Chiesa, le
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Schimmenti V. - Craparo G. (a cura), Violenza
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120
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INDICE
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1. Prolegomeni di genere . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
In principio Dio creò l'uomo . . . . . . . . . . . . . . 11
Poi arrivò la donna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
Dal paradiso al caos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2. Donne e cittadine del mondo . . . . . . . . . . . . 25
Cittadine del mondo' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Donne nella città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
Il «femminicidio» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
Famiglia e femminicidio . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
Il «potere» del Grande Fratello . . . . . . . . . . . . . 47
Amore o possesso' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
3. La Chiesa e le donne . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
Un binomio da sempre e «sempre» in disaccordo . 63
Uomo e donna: in eguale dignità . . . . . . . . . . . 68
Gesù fonte di amore non di discriminazione . . . 74
La Chiesa è donna' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
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4. «Chiesa, cosa dici di te stessa
(e delle donne')» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
Chiesa, cosa dici di te stessa e della donna' . . . . . . 102
Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
Per continuare a riflettere . . . . . . . . . . . . . . . . 119
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A. Matteo, Il postmoderno spiegato ai cattolici e ai loro parroci.
Prima lezione di teologia urbana, 2018.
D. Cravero - F. Cosentino, Lievito nella pasta. Evangelizzare
la città postmoderna, 2018.
D. Albarello, A misura d'uomo. La salvezza per la città,
2019.
V. Rosito, Metamorfosi del centro. Cultura, fede e
urbanizzazione, 2019.
G. Ancona, La fine del mondo sta per venire' Immaginari
apocalittici per la città degli uomini, 2019.
A. Ndreca, Filosofia dello spazio urbano, 2020.
C. Ciriello, Essere donna nella città attuale, 2020.
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2020
Mediagraf S.p.A. - Noventa Padovana, Padova
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