Ancora a tavola?
-Cibo, fede e postmodernità
(Percorsi di teologia urbana)EAN 9788825046823
m'è cambiato l'uso del cibo nella postmodernità' Il suo
VITO
VITO MIGNOZZI ANCORA A TAVOLA'
valore è davvero precipitato nei crateri culturali e valo-
MIGNOZZI
riali, aperti tra la gravità dello spreco e lo scandalo della
fame' In un tempo di incalzante domanda di nuovo, c'è
ancora un posto a sedere per il rito della tavola' E quali
gli effetti nell'universo relazionale e simbolico, religioso
ANCORA
soprattutto, dell'uomo, la cui vita privata e sociale è sem-
pre stata scandita dai pasti condivisi'
Queste ed altre le domande affrontate nel presente sag-
gio, godibile, appassionato, volutamente privo di giudizio
impietoso verso le contraddizioni odierne e di nostalgia
piagnucolante per l'incanto del passato. L'autore preferi-
A TAVOLA'
sce «la sfida di uno sguardo che contempla la vita di una Cibo, fede e postmodernità
città che parla di Dio, ed è abitata profondamente da lui».
Un valido esempio di riflessione teologica per l'oggi.
VITO
MIGNOZZI
presbitero della diocesi di Castellaneta (TA), è preside della Fa-
coltà teologica pugliese presso la quale è docente ordinario di
ecclesiologia e di teologia dei sacramenti. Tra le sue pubblica-
zioni: Come un sacramento. Uno stile per essere Chiesa oggi (2011),
Cattolicità (2012), Commento ad Apostolicam actuositatem (2019),
Ecclesiologia (2019). Ha al suo attivo una serie di studi su temi a
carattere prevalentemente ecclesiologico, pubblicati in diverse
riviste specialistiche.
' 13,00 (I.C.) www.edizionimessaggero.it
La collana Percorsi di teologia urbana si ispira pro-
grammaticamente all'indicazione di papa Francesco:
«È necessario arrivare là dove si formano i nuovi rac-
conti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù
i nuclei più profondi dell'anima delle città».
(Evangelii gaudium, 74)
Collana diretta da
Armando Matteo
VITO
MIGNOZZI
ANCORA A TAVOLA'
Cibo, fede e postmodernità
ISBN 978-88-250-4682-3
ISBN 978-88-250-4683-0' (PDF)
ISBN 978-88-250-4684-7' (EPUB)
Copyright © 2020 by P.P.F.M.C.
MESSAGGERO DI SANT'ANTONIO ' EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova
www.edizionimessaggero.it
Non invidio chi considera il cibo
una normale pratica di sopravvivenza.
Gli è sfuggito qualcosa di fondamentale
' e di molto gioioso per giunta.
La sopravvivenza non ha proprio niente di normale,
è un miracolo estorto alla carestia,
alla sopraffazione e alla guerra,
che già gratta alla porta con le sue unghie ferrate.
Qualora un Dio appena appena intelligente
dovesse giudicarci,
il peccato più grave che saremmo chiamati a pagare
è la nostra stupida assuefazione alla vita,
che è invece una condizione sorprendente,
e come tale andrebbe salutata ogni giorno che campiamo.
(Michele Serra, Le cose che bruciano)
INTRODUZIONE
INDICAZIONI DI STILE PER
UN CRISTIANO POSTMODERNO
Ma i tempi sono cambiati; viviamo in un'epoca di de-
regulation. [...] Ciò non significa affatto che gli ideali
di bellezza e di pulizia e tutti gli altri valori che hanno
guidato la spedizione nell'ignoto della modernità sia-
no stati respinti o abbiano perso parte del loro fascino
originale. Il fatto è che oggi sta all'individuo cercarli e
soddisfarli a proprie spese, con la forza della propria
volontà e mobilitando le proprie forze vitali1.
Definire la postmodernità è impresa presso-
ché impossibile, non fosse altro per il carattere
propriamente 'liquido' ' secondo la celebre
intuizione di Bauman ' della società postmo-
derna la quale, per definizione, rifugge la possi-
bilità di essere ingabbiata in schemi o alcunché
di simile, che abbia il sapore della perentorietà.
D'altra parte, non possiamo fare a meno di ri-
ferirci allo stile di vita postmoderno, intendendo
con questo aggettivo, che pure costituisce cer-
to una (non tanto) ingenua generalizzazione, il
1
Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Bruno Monda-
dori, Milano 2007, p. XI.
7
modus vivendi dell'uomo nel tempo e nello spa-
zio in cui ci troviamo oggi a vivere, soprattutto
a partire dal dopoguerra. Quando parliamo di
stile di vita, poi, ci possiamo riferire certamente
a tutto ciò che caratterizza lo stare dell'uomo al
mondo: aspetti molteplici, forse infiniti e certo
mai ancora del tutto compresi, che tuttavia si
intrecciano indissolubilmente, autorizzandoci a
cogliere connessioni e rapporti di varia natura
in nome della vita stessa, sempre unica e pur
molteplice.
Anche abbozzando questi pensieri, si noti
bene, cediamo in certa misura allo stile post-
moderno, che tollera senza paura frammenta-
zione e poliedricità. Ma non potrebbe essere al-
trimenti, visto che anche chi scrive è un uomo
postmoderno e immagina di farlo per lettori
postmoderni. Non sia tediato il nostro lettore
dalla continua ricorrenza di questo aggettivo:
postmoderno è l'aria che respiriamo, l'atmosfera
in cui siamo immersi, più o meno consapevol-
mente, in qualsiasi attività e in ogni momento.
E ci sembra necessario, in apertura di questa
modesta riflessione sugli usi postmoderni del
cibo, tenere a mente questo dato che, per dirla
con papa Francesco, segna un cambiamento d'e-
poca, più che un'epoca di cambiamento.
8
Anche lo stile di questo libretto, dunque, non
potrà che essere quello postmoderno: come ri-
corda Zygmunt Bauman, ideali e valori vanno
attinti mobilitando le nostre 'forze vitali'. Una
delle grandi sfide del pensiero contemporaneo,
inclusa la riflessione teologica, è proprio quella
di partire dalla concretezza della vita, per ricava-
re «induttivamente» domande e sfide, bisogni e
prospettive spendibili poi a livello teoretico. È
difficile che l'autentico studioso postmoderno si
accontenti dei risultati di lontani o remoti pro-
cessi di astrazione: piuttosto, si aspira da più parti
a un quanto mai concreto e reale contatto del
sapere con la vita. In definitiva, non si addice allo
stile di un testo postmoderno, qual è il nostro,
un'asettica critica mossa a partire da ideali già
noti e condivisi in forza di un qualunque prin-
cipio di autorità. Occorre partire dal 'concreto
vivente', per dirla con Romano Guardini2, senza
temere quella complessità che è forse il tratto più
peculiare della realtà postmoderna. Pertanto, an-
che noi non possiamo che partire da qui.
Questa premessa ci proibisce, dunque, di
indulgere immediatamente a qualsivoglia giu-
2
Cf. R. Guardini, L'opposizione polare. Saggio per una filo-
sofia del concreto vivente, Morcelliana, Brescia 20162.
9
dizio di valore: non sarà questa la prospetti-
va del nostro approfondimento. Troppo si è
detto e si dice, rispetto agli usi postmoderni
del cibo, con quel tono di perentorietà e sac-
cenza che troppo stride, appunto, con lo stile
postmoderno. Così, non è raro che il nostro
tema, soprattutto nel contesto di una presunta
cristianità tradizionale (o solo ostentatamente
tradizionalista'), sia oggetto di pretesi magisteri
anche più autorevoli (o tendenzialmente auto-
ritari') di qualunque insegnamento ufficiale,
biblico o autenticamente tradizionale. Così
accade, di frequente, dagli amboni delle no-
stre chiese riunite per l'eucaristia domenicale;
anche convegni e tavole rotonde, non di rado,
finiscono per scagliare sentenze amare ' che
finalmente mettono d'accordo tutti i locutori!
' sulle modalità postmoderne di consumare il
cibo. Diventano pulpiti dal carattere sacrale,
inoltre, persino assemblee molto più profane,
come quella di una famiglia allargata che siede
attorno alla tavola imbandita a festa oppure di
amici o amiche che sorseggiano il caffè o il the
del pomeriggio.
Non è raro che risuoni, da uno dei tanti luo-
ghi che abbiamo appena disegnato, il vigore di
un rimprovero per il modo in cui oggi si sta a
10
tavola, per la fugacità o individualità dei pa-
sti a cui il tran-tran urbano spesso ci costringe,
per una tavola domestica che diviene sempre
meno 'famigliare', perché completamente elusa
o perché spogliata del suo valore autentico per
l'uso sregolato di smartphone o tv. Non è raro,
soprattutto, che questo autorevole rimprovero
incontri le nostre coscienze inquiete e spaven-
tate per tale repentina e radicale risignificazione
del mangiare (come potremmo dire, forse, in
uno step successivo della riflessione) che sembra
aver perso il suo valore più profondo, e «se an-
diamo avanti così, chissà dove andremo a finire,
la nostra famiglia si sgretolerà e con essa tutta la
società, non c'è più un senso di niente».
Non è raro, inoltre, percepire lo sdegno o
soltanto un silenzioso senso di colpa per lo
spreco ormai incalcolabile di cibo, nel divario
sempre più incolmabile che si crea tra i nostri
ristoranti costantemente affollati ' «nonostante
la crisi economica!», come spesso si sente dire,
forse tra l'invidia e il desiderio ' e lo sguardo in-
digente di quei bambini che, in tv o su qualche
ben riuscito manifesto pubblicitario, chiedono
null'altro che il necessario per vivere; o, ancora,
quei mendicanti che proprio lì, a pochi metri
dalla porta del ristorante in cui abbiamo appe-
11
na consumato un delizioso pranzetto, gridano
' con un cartello, o con un solo sguardo ' che,
semplicemente, manca loro l'essenziale.
Infine, come non sentire nelle orecchie la
polemica dei più audaci, che non smettono di
criticare questo 'cibo moderno contraffatto', di
scarsa qualità, industriale, tessendo piuttosto le
lodi di quell'antica genuinità naturale del cibo
che appare sempre più inattingibile, seppur dif-
fusamente ricercata nel mercato, in continuo
accrescimento, dei cosiddetti prodotti bio'
Ebbene, su tutto questo, proprio su tutto
questo che costituisce una parte rilevante del-
la buona volgata ' quelle opinioni, cioè, più o
meno condivise dalla gente perbene ' sull'uso
postmoderno del cibo, scegliamo qui di non
tentare alcun giudizio di valore. Ci perdonerà
il lettore se preferiamo non cedere all'ondata dei
benpensanti, che troppo spesso sembrano però
trasformarsi in velenosi 'profeti di sventura',
per usare la celebre espressione di san Giovanni
XXIII. Da più di cinquant'anni, evidentemente,
la Chiesa ha scelto un'altra strada. Non si tratta
di battere la ritirata né semplicemente di limi-
tarsi a una descrizione (teoricamente) asettica
della realtà, per ciò che concerne gli usi post-
moderni del cibo.
12
Desideriamo, piuttosto, provare a metterci
sul serio nella coraggiosa prospettiva tracciata
da papa Francesco:
Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da
uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede
che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue
strade, nelle sue piazze3.
Non vogliamo avere altro sguardo che que-
sto; tale è, per dirla in modo rigoroso, il metodo
che ci guiderà in queste pagine. È ciò che lo
stesso pontefice chiedeva, nel vicino 2015, al
convegno ecclesiale di Firenze, per la Chiesa
italiana:
Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide
nuove che per noi a volte sono persino difficili da
comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere
i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore
è attivo e all'opera nel mondo4.
Si tratta, in definitiva, di credere che Dio
abiti e agisca al fondo di ciò che pure ci sembra
più distante da lui, nella vita delle nostre città.
Il fine, poi, è piuttosto chiaro:
3
Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24
novembre 2013) (EG), n. 71.
4
Francesco, Discorso ai partecipanti al V Convegno eccle-
siale nazionale (10 novembre 2015).
13
Vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel
cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in
qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano
e feconda la città (EG 75).
Non ci proponiamo, dunque, di dare giudizi
affinché il mondo cambi a forza delle nostre
pur giustificabili vergate. Scegliamo, piuttosto,
la sfida di uno sguardo che contempla, forse
anche con una fin troppo ingenua sensibilità
evangelica, la vita di una città che ' vogliamo
supporlo, come una sorta di a priori indimo-
strabile e, nondimeno, irrinunciabile ' parla di
Dio, è abitata profondamente da lui.
Si tratta di tradurre in una precisa metodolo-
gia quanto, in tempi meno recenti, preconizzava
Guardini in un suo testo sulla fine dell'epoca
moderna, rispetto a quel periodo a cui egli pote-
va riferirsi dicendo che «non ha ancora un nome
nella storia»5 e che noi, invece, abbiamo appena
definito come postmodernità:
Le nuove esperienze sembrano al contrario deter-
minate dalla limitatezza del mondo e il mondo non
può più suscitare quella confidenza assoluta di cui
abbiamo parlato più su. [...] In ogni caso l'uomo non
avverte più il mondo come un tutto in cui egli si senta
5
R. Guardini, La fine dell'epoca moderna. Il potere, Mor-
celliana, Brescia 20152, p. 54.
14
al sicuro. Il mondo è divenuto qualcosa di diverso e
proprio così acquista un significato religioso6.
Se, infatti, la società postmoderna sembra
essere quella di una più che mai radicale crisi
religiosa, è pur vero che la sfida a un autentico
sguardo di fede è proprio quella di cogliere il
«significato religioso» ' per dirla con Guardini
' che è sotteso proprio a tale evoluzione, a tale
'diversità'.
A ben vedere, uno sguardo attento e avvezzo
al più recente lessico teologico potrà leggere, in
filigrana a questa proposta di metodo, un altro
dei grandi principi formulati da papa Francesco
in Evangelii gaudium: «La realtà è superiore all'i-
dea» (EG 233). Anche in questa scelta, peraltro,
si potrà cogliere una vaga eco conciliare:
È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni
dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così
che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa
rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul
senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni
reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il
mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni
e il suo carattere spesso drammatico7,
6
Ibid., pp. 56-57 (corsivo nostro).
7
Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium
et spes (7 dicembre 1965) (GS), n. 4.
15
senza indulgere ' ci permettiamo di aggiungere
' a valutazioni pessimistiche su questa comples-
sa eppur umanissima realtà. Con questi occhi
nuovi, contemplando appunto la realtà, ci pro-
porremo poi di fecondarla con un 'fermento'
di testimonianza evangelica, nel modesto tenta-
tivo di migliorare noi stessi come cristiani e di
offrire, in punta di piedi, il nostro contributo
al mondo.
Com'è stato affermato rispetto alla presenza
della Chiesa in «Expo 2015», a Milano ' incen-
trato proprio sul tema del cibo ':
Il metodo da seguire è quello della denuncia e della
proposta, un metodo che usa spesso e in modo elo-
quente papa Francesco, per far vedere che la Chiesa
non è una maestra acida, ma una sorella che condivide
il percorso con lucidità e visione di futuro, una madre
appassionata capace di indicare strade e risorse per il
domani8.
È questo, in definitiva, lo stile postmoderno
del nostro libretto che dovrà seguire, pertanto,
un andamento un poco originale.
Stupendo forse un poco il lettore, nel corso
della trattazione partiremo proprio da quelle
8
L. Bressan, Dio ci invita alla sua tavola. Idee e domande
intorno a Expo 2015, EMI, Bologna 2015, p. 19.
16
'critiche poco postmoderne' che abbiamo ap-
pena sopra abbozzato. Pur non condividendone
lo stile ' come si sarà ormai compreso! ' rite-
niamo che anch'esse siano quella realtà con cui
è necessario misurarsi per una riflessione auten-
ticamente postmoderna, che non possa essere
tacciata di astrattismo o di idealismo. Pertanto
ce ne lasceremo provocare, tentando di cogliere
i bisogni e le verità che da quelle critiche emer-
gono, con il fine ultimo di penetrare le profon-
dità spirituali sottese agli usi postmoderni del
cibo che, secondo il nostro a priori, certamente
esistono. Sarà la conclusione, infine, a far sin-
tesi di quelle nascoste domande spirituali che
emergeranno nel corso dell'analisi.
Ecco, dunque, il nostro programma di lavo-
ro. Non ci resta che provare ad attuarlo.
17
1
«CHE NE SARÀ DI NOI'»:
POSTMODERNITÀ, RITO E LEGAMI,
OVVERO
IL VALORE RELAZIONALE DEL CIBO
«È solo cibo'»: con questa domanda, messa
tra parentesi, in un recente studio sulla Food
Economy nella postmodernità9 si pone in que-
stione il senso stesso del mangiare. Non si tratta,
certo, di un interrogativo solo postmoderno:
«Noi non ci sediamo a tavola per mangiare ' leg-
giamo in Plutarco ' ma per mangiare assieme»: il
mangiare in comune è allora significativo del valore
primario che si attribuisce alla dimensione collettiva
del pasto. Esso si presenta come un'unità che coin-
volge una molteplicità di aspetti culturali e di atti
comunicativi10.
Sin dall'antichità, dunque, risulta chiaro che
mangiare è molto più che nutrire il corpo: si
tratta di un atto che coinvolge profondamente
9
Cf. A. Belloni, Food Economy. L'Italia e le strade infinite
del cibo tra società e consumi, Marsilio, Venezia 2014, p. 40ss.
10
P. Degli Esposti, Il cibo dalla modernità alla postmoder-
nità, Franco Angeli, Milano 2004, p. 51.
19
la persona in rapporto con altri. D'altra parte
' e giungiamo così alla postmodernità ' po-
trebbe stupire la centralità che il cibo occupa
in vari aspetti del nostro vivere sociale, tanto
che sembra «legittimo chiedersi perché, proprio
oggi, ovunque si volga lo sguardo si finisca per
incontrare cibo, leggere di cibo, parlare di cibo,
così che si ha la sensazione di trovarsi in una so-
cietà 'cibo-centrica'»11. Non occorre scomodare
grandi studi sociologici per rendersene conto:
oggi il cibo non è solo oggetto del mangiare,
ma è interesse di programmi televisivi, giornali
e riviste, pubblicità di vario genere; è associato
di frequente ad attività così distanti dal soddi-
sfacimento di un puro bisogno fisiologico, come
ad esempio la lettura o un incontro culturale; è
persino oggetto di vere e proprie esposizioni: si
pensi, a titolo emblematico, alla recente «Expo
2015» di Milano, dal tema Nutrire il pianeta,
energia per la vita. Insomma, sembra che ovun-
que, nel mondo postmoderno, si parli di cibo.
Anche l'arte culinaria diviene sempre più raf-
finata e sistematizzata, come testimoniato dal
diffondersi di nuovi modelli di consumo ali-
mentare: il foodpairing, riguardo alle sperimen-
11
Belloni, Food Economy, p. 40.
20
tazioni sugli abbinamenti culinari, l'attenzione
al design anche in cucina, la cucina 'a tema', le
'cattedrali del gusto', e così via12. Oggi, più che
mai, il cibo è molto più che nutrimento, inter-
cettando piuttosto il bisogno di ricercatezza e
novità dell'uomo postmoderno. Oggi, dunque,
siamo posti inesorabilmente di fronte alla do-
manda antica: «È solo cibo'».
Ebbene, è proprio a livello di questo valore
simbolico-relazionale del cibo che si comprende
la profondità della prima delle tre «critiche poco
postmoderne» che abbiamo enucleato nell'in-
troduzione: «Che ne sarà di noi'». Forse, più
ancora che di una critica, si tratta di un lamen-
to a metà tra lo sdegno e la disperazione: dove
andremo a finire se non c'è più nemmeno una
regola nel cibo, nel mangiare insieme' Quale
momento di aggregazione ci resta, se anche il
nutrirsi ' alla cui necessità fisiologica ci si po-
teva sinora appigliare ' diventa solo una corsa
funzionale agli impegni quotidiani, spesso per-
sino sacrificato ai tempi concitati della città'
Questa critica investe soprattutto il mondo
famigliare e, di conseguenza, tutta la società. Le
12
Cf. A. Zinola, Nuovi modelli di consumo alimentare. Dal
social eating ai prodotti «senza»: come sta cambiando il nostro
rapporto con il cibo, Tecniche Nuove, Milano 2015.
21
esigenze del lavoro o, in ogni caso, di ritmi di
vita spesso frenetici e inconciliabili tra i membri
della famiglia, fa sì che salti molte volte l'ap-
puntamento dei pasti feriali in comune. Questa
vivace descrizione rende bene l'idea:
Le agende di tutti, grandi e piccini, sono sempre più
piene e questo è sotto gli occhi di tutti. Se guardiamo
le nostre vite personali e quelle di chi ci cammina ac-
canto non sembra, fra l'altro, che questa tendenza sia
destinata a invertirsi. Ancora solo negli anni Settanta
era possibile per certe famiglie riunirsi per il pranzo:
i ritmi del lavoro degli adulti consentivano a molti di
tornare a casa per consumare il pasto con il coniuge
e i figli, a volte ci scappava addirittura il tempo per
un breve sonnellino. Allo stesso modo l'impostazione
della scuola dei più piccoli non contemplava il tempo
pieno e terminava le attività a fine mattina. Tutto ciò
oggi ci sembra davvero improponibile e, forse, non
desiderabile13.
Si potrebbero fare infiniti esempi a riguardo
o persino ipotizzare soluzioni sociologiche, ma
deleghiamo ad altra sede questi compiti. A noi
interessa, piuttosto, la lettura degli eventi; una
lettura animata dalla fede. Ci lasciamo, dunque,
provocare da quanto appena letto: il mangiare
insieme, la pratica del pasto condiviso che sem-
13
L. Ballerini, I bravi manager cenano a casa. Mangiare in
famiglia fa bene a tutti, EMI, Bologna 2014, pp. 33-34.
22
INDICE
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1. «Che ne sarà di noi'»:
postmodernità, rito e legami,
ovvero il valore relazionale del cibo . . . . . . 19
La nostalgia di un rito . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Il rito a difesa dei legami . . . . . . . . . . . . . . . . 26
L'allergia dell'uomo postmoderno . . . . . . . . . . . 32
La rivolta di un uomo in ricerca . . . . . . . . . . . 36
Fermento di relazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
2. «Una vergogna planetaria!»:
postmodernità, vita e giustizia,
ovvero il valore sociale del cibo . . . . . . . . . . 59
Lo scandaloso spreco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
Il surplus necessario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
Spreco e ingiustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
Assuefatti all'ingiustizia' . . . . . . . . . . . . . . . . 78
Fermento di fraternità . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
134
3. «La natura è sovvertita!»:
postmodernità, uomo e mondo,
ovvero il valore cosmico del cibo . . . . . . . . . . 93
Per un umanesimo integrale . . . . . . . . . . . . . . 96
Un difficile equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
I confini dell'artificiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
Per un'armonia del tutto . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
Fermento di contemplazione . . . . . . . . . . . . . . 113
Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
135
A. Matteo, Il postmoderno spiegato ai cattolici e ai loro parroci.
Prima lezione di teologia urbana, 2018.
D. Cravero - F. Cosentino, Lievito nella pasta. Evangelizzare
la città postmoderna, 2018.
D. Albarello, A misura d'uomo. La salvezza per la città,
2019.
V. Rosito, Metamorfosi del centro. Cultura, fede e
urbanizzazione, 2019.
G. Ancona, La fine del mondo sta per venire' Immaginari
apocalittici per la città degli uomini, 2019.
A. Ndreca, Filosofia dello spazio urbano, 2020.
C. Ciriello, Essere donna nella città attuale, 2020.
A. Minardo, Astrologia, teologia e fede, 2020
V. Mignozzi, Ancora a tavola' Cibo, fede e postmodernità, 2020.
Finito di stampare nel mese di settembre 2020
Mediagraf S.p.A. - Noventa Padovana, Padova
Com'è cambiato l'uso del cibo nella postmodernità' Il suo
VITO
VITO MIGNOZZI ANCORA A TAVOLA'
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fame' In un tempo di incalzante domanda di nuovo, c'è
ancora un posto a sedere per il rito della tavola' E quali
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Queste ed altre le domande affrontate nel presente sag-
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piagnucolante per l'incanto del passato. L'autore preferi-
A TAVOLA'
sce «la sfida di uno sguardo che contempla la vita di una Cibo, fede e postmodernità
città che parla di Dio, ed è abitata profondamente da lui».
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