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«Signora», «santa» e «altissima», la povertà francescana è stata spesso fonte di conflitti interminabili dovuti al modo di interpretarla. Cos'è infatti la povertà? Perché per Francesco è così importante e dirimente? In cosa, per lui, differisce dalla povertà praticata dagli eremiti e dai cenobiti? Soprattutto qual è il suo rapporto con il Cristo, il messia inauguratore dei tempi nuovi? Confrontandosi con tali interrogativi, Carmine Di Sante propone una chiave di lettura della povertà francescana che ne individua il senso nella categoria della disappropriazione, istitutiva di una «economia» la cui legge è quella del dono e della giustizia. Nella radicalità di questa ermeneutica si comprende perché la povertà francescana dischiude una nuova forma dell'umano - un nuovo modo di abitare il mondo - che mai come oggi appare attuale, come possibile via per uscire dalla crisi della civiltà in atto, alla ricerca di un umanesimo e di un'antropologia alternativi alla volontà di potenza e di dominio.
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