Il libro di Paolo Cascavilla e Michele Illiceto costituisce una bella sfida. Ma nel senso più positivo del termine. Il sostantivo « sfida» si rifà etimologicamente al termine « provocazione». Occorre, quindi, provocare i contenuti del volume e, contemporaneamente, lasciarsi provocare da quegli stessi contenuti. Provocare che cosa e lasciarsi provocare da che cosa? La provocazione in sé implica sempre un movimento: un andare verso, un andare oltre. Anche la morte, considerata nella molteplicità delle sue svariate manifestazioni e dei suoi diversi significati, implica un movimento. Per alcuni si tratta di un limite, per altri di un inizio. La morte è sempre un momento di passaggio: dalla presenza all’assenza, dal terreno all’ultraterreno, dal temporale all’eterno. Per ognuno, comunque, la riflessione sulla morte si innesca sempre quando nasce la vita: «nascita e morte sono [...] due esperienze di alterità – scrive Illiceto – Ed è solo nell’alterità che la morte si riconcilia con la vita e la vita con la morte» (75). Parlare della morte – in questo caso dialogare sulla morte – significa quindi parlare di vita: « se si esclude la morte – secondo l’assunto di Hillesum ripreso da Cascavilla – non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima» (39). Dialogare sulla morte significa allora affermare il valore della vita, pur nella consapevolezza che l’argomento morte, all’interno della articolata serie di vicende che caratterizza l’esistenza di ogni individuo, costituisce – probabilmente – l’argomento più difficile da esprimere: « Pensare alla morte – scrive sempre Cascavilla – è un buon segno di amore per la vita» (21). Lo afferma anche l’arcivescovo di Chieti-Vasto, il teologo Bruno Forte, nella prefazione al volume: nonostante il titolo, si tratta di un « libro denso di vita». La certezza di fondo che guida gli autori nella stesura del volume scaturisce da una convinzione: la convinzione secondo la quale oggi più che mai sia necessario tornare a riflettere – cioè provocare e lasciarsi provocare – su un argomento come quello della morte che, se a prima vista puó sembrare assente dai nostri ambiti di vita, alla fine si rivela – anche se velatamente – intimamente legato con la nostra quotidianità. Per questo, la riflessione sull’argomento non confina il dialogo dei due autori all’ambito ristretto degli addetti ai lavori. Anzi. Le riflessioni di Cascavilla e di Illiceto sono riflessioni che, attraversando la filosofia, la teologia, la letteratura, si collocano inevitabilmente nella storia. Si tratta, quindi, di un dialogo sulla morte che coinvolge l’uomo nella sua concretezza. Lasciamoci, quindi, interrogare – e perché no? anche provocare – dal nostro presente. Un presente che, se analizzato obiettivamente, non appare poi così estraneo al dialogo, al confronto con la morte che, proprio nella quotidianità, si presenta in tutta la sua attualità. È Paolo Cascavilla, nel libro, a scrivere che « Oggi nella nostra società c’è il tentativo di rendere nulla la morte» (17). Ecco una delle tante provocazioni che questo libro, attraverso il dialogo dei due autori, lancia nei confronti del pensiero contemporaneo sulla morte. Un pensiero assente. Pur essendo intimamente legata all’esistenza dell’individuo, oggi, la morte appare estranea alla quotidianità. Dopo secoli in cui è stata familiare e domestica, la morte è diventata oscura. Per questo si tende a nasconderla. Lo conferma Illiceto: « Dopo aver dominato la nascita, ora il dominare la morte rimane l’ultima grande utopia dell’uomo» (79). Non vi è più spazio per la morte nella comunità. « Oggi – ricorda Paolo Cascavilla – come si vuole mettere da parte la morte, si vuole eliminare il lutto» (31). E l’uomo d’oggi, al di là di ogni suo credo o di ogni sua fede, muore in un clima di desacralizzazione, nel senso più freddo del termine. Siamo in un’epoca da molti definita come postmodernità, all’interno della quale lo sviluppo scientifico e tecnologico ha condotto al relativismo e al cosiddetto pensiero nichilista. Che senso ha, quindi, dialogare sulla morte in un contesto dove, proprio per la morte, non sembra esserci più spazio? Come rispondere al quesito che chiede quale sia il senso della morte in una società come la nostra? Ipotizzo una risposta, prestando la voce a due affermazioni riportate – ognuno dal proprio punto di vista – dagli autori di questo volume. Michele Illiceto nel suo intervento afferma che « il cristianesimo rappresenta [...] la più grande sfida alla morte, e alla cultura di morte che oggi sembra dominare la scena di molti uomini e molte donne del nostro tempo» (116). Gli fa eco Paolo Cascavilla quando, riprendendo Norberto Bobbio, scrive che « non contano i libri scritti, le grandi azioni compiute, alla fine della vita contano solo i buoni rapporti che hai avuto con gli altri, chi ti ha amato, chi hai amato. Chi ti ha educato. Conta anche un semplice atto d’amore» (146). Anche se attraverso percorsi intellettuali diversi, quindi, un unico assunto sembra accomunare le voci dei due autori impegnati in questo dialogo sulla morte. In fondo anche per Paolo Cascavilla e Michele Illiceto si è trattato di una bella sfida.
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose di Brindisi "Parola e Storia" n.2-2010
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