La Parola come dialogo
-Nel pensiero di Ferdinand Ebner
(Sophia / Episteme / Studi e ricerche)EAN 9788825021707
Con la sua nuova opera (La parola come dialogo. Nel pensiero di Ferdinand Ebner), proseguendo il cammino iniziato con La voce della Rivelazione del 2005, Gaburro ancora «ci aiuta a tenerci desti dal sonno dogmatico cui sempre più facilmente il sapere teologico e quello filosofico sembrano volersi assuefare» (Prefazione di G. Lorizio). Il saggio è dedicato al pensatore non accademico ed autodidatta Ferdinad Ebner che, collocato nell’orizzonte del pensare dialogico, è stato studiato in Italia da Pietro Rossano, Edda Ducci e Silvano Zucal. Sulla scia di questi, e in particolare di Zucal, Gaburro, nella prima parte, indica le linee portanti della riflessione del pensatore austriaco, volta a mettere in luce la valenza spirituale della parola: non una «filosofia della parola» precisa subito l’autore, sulla scorta di quanto lo stesso Ebner afferma, ma, molto più correttamente, una «pneumatologia della parola». Quella del pensatore austriaco, infatti, «filosofia non è, al contrario, si tratta piuttosto del suo superamento più radicale» (opera cit., 13).
In effetti egli non può essere considerato né un filosofo né un metafisico né un poeta né un pedagogo o uno psicologo e neppure, nonostante la sua grande sensibilità religiosa, un teologo. Egli fu, piuttosto, un pensatore libero che non appartiene ad alcuna scuola. Il che, tuttavia, non significa che il suo pensiero non abbia debiti e legami, anche molto profondi. Come evidenzia Lorizio, una influenza piuttosto evidente è quella di Hamann, «al quale ogni approfondimento della conoscenza del linguaggio dovrà riferirsi» (Prefazione, cit., 8).
Come lui «il pensatore austriaco giunge alla ripresa della scomoda, e certamente controcorrente, dottrina dell'origine divina della parola» (Ivi). Gaburro dettaglia bene tale influenza. Nel secondo capitolo precisa anche altre ascendenze con cui il pensatore austriaco si è misurato e che lo hanno portato a sviluppare la sua originale posizione di pensiero: da Weininger, Swoboda e Uexkull, a Kant, Bergson e Scelling. Su tutti, però, emergono Kierkegaard e Pascal. Quest'ultimo è per Ebner un maestro del pensiero aperto, che non intende imprigionare il mistero della vita, ingabbiandolo nelle categorie strettamente razionali, per non tradirne lo statuto ontologico.
Kierkegaard invece, «maieuta di Ebner», servì al pensatore austriaco per liberarsi «da quell’impianto religioso stereotipato nel quale era cresciuto» (Ivi, 58) e, contemporaneamente, per giungere alla convinzione che «solo se è religioso, ovvero nel suo rapporto con Dio, l’uomo è in grado di comprendere se stesso» (F. Ebner, Fragmente, Aufsätze, Aphorismen…, cit. a p. 58). Il che non impedisce ad Ebner di cogliere anche i limiti della posizione del Danese nel quale, alla definizione del fondamentale rapporto, nell’esistenza, dell’Io con Dio, non corrisponde un altrettanto chiaro e forte riconoscimento dell'altro termine di tale rapporto, l’uomo: Kierkegaard avvicina «l’uomo con un senso di disprezzo» (p. 59) e questo gli fa perdere il senso vero del rapporto-incontro dell’Io col Tu così come è rivelato dalla parola. È la parola, infatti, secondo Ebner, il ponte reale e autentico che permette l’incontro dell’Io col Tu. Essa guarisce l’Io dal soggettivismo chiuso in se stesso, in cui l’Io, come un nuovo Narciso, finisce col perdersi nella contemplazione di se stesso (chiudendosi in una «muraglia cinese») e dall’idealismo. Del virus dell’idealismo, secondo Ebner, è ammalata ogni filosofia che, per questo, ha finito col «suicidarsi». Andando oltre entrambi questi limiti, il pensatore autodidatta, grazie appunto alla parola, riesce a cogliere nell'Io la natura del Tu quale natura ontologica relazionale dell’Io che lo fa esistere. Egli entra così nell'orizzonte della filosofia dialogica e nella svolta linguistica della filosofia del Novecento, ma non si lega a nessuna precisa filosofia della parola e del linguaggio. Pone infatti «l’accento su quella parola che ontologicamente dà origine al linguaggio e alla relazione Io – Tu, quale risveglio dal sonno della realtà e alla realtà soggettiva» (Ivi, 76). Il pensiero è messo in movimento da un linguaggio che non venga compreso in modo atemporale, ma «nell’attualità del suo venir pronunciato» (F. Ebner, Notizen, Tagebucher, Lebenserinnerung, cit. a p. 84), nel suo stesso accadere. Qui, nella parola, è donato l’Essere, che è pertanto «grazia»: «Tutto l’essere è grazia» afferma Ebner, e «ogni grazia dell’essere è nella parola» (Ivi, 88). L’uomo vive della parola e tutto ciò che è, è grazie alla parola. Tuttavia la parola che l’uomo, nascendo alla vita, si trova ad avere non è un prodotto umano, ma un dato ricevuto. Ma ricevuto da dove? Egli esclude che la parola venga all’uomo da un’evoluzione naturale o sociale: «L’origine della lingua è un problema trascendente e perciò un problema non risolvibile scientificamente» (F. Ebner, Parola e amore, cit. a p. 92). La parola è da Dio ed è rivelazione di Dio. Essa, per Ebner, va compresa nella dimensione biblica e, in particolare, nel Prologo di Giovanni, da cui egli ricava un nuovo e più approfondito orizzonte di ricerca che gli permette di precisare come il Tu dell’Io sia Dio. Ebner non intende tuttavia seguire un itinerario di tipo mistico, che farebbe scomparire l'io nella sua solitudine. Occorre piuttosto, secondo lui, «tirarlo fuori da questa solitudine e porlo in rapporto col Tu. Questo Tu è Dio, questo Tu è però anche nell’uomo. La strada dell’uomo a Dio passa attraverso l’uomo. L’uomo deve cercare Dio non soltanto in se stesso, ma anche nell’altro uomo» (F. Ebner, Notizen, Tagebucher, Lebenserinnerung, cit. a p. 60).
Come accennato, Gaburro segue in modo preciso lo sviluppo del pensiero ebneriano, mostrandone la fecondità e la ricchezza. Ne scaturisce con chiarezza, come evidenzia bene Lorizio, che seguire Ebner significa «attingere il livello ‘logico’ (sia nel senso del logos-parola che in quello del logos- ratio), che costituisce il nucleo del dia-logico» (Prefazione, 8).
Altro merito del libro di Gaburro sta nel ricostruire l’influenza di Ebner nella teologia, sia evangelica sia cattolica, del novecento. Tale influenza appare evidente, tra gli evangelici, in Brunner, Gogarten, Bonhoffer (anche se, con quest’ultimo, più che di un rapporto di vicinanza si può parlare di una consonanza di posizioni) e Barth (con cui tuttavia il rapporto rimane non esplicitato); in campo cattolico, in cui l’impatto di Ebner è meno rilevante, con il primo Rahner e con Balthasar (che non tace quelli che, secondo lui, sono i limiti della posizione del pensatore austriaco).
Il lavoro di Gaburro si rivela stimolante e prezioso in modo speciale nell’ultima parte, dedicata alle implicazioni che si possono trarre dal pensiero di Ebner nella prospettiva ecumenica. Qui l’autore, che da molto tempo è impegnato in questo campo, con una elaborazione originale mostra gli aspetti ermeneutici collegati alla riflessione «logico-dialogica» del pensatore austriaco: «Tenendo conto che la prospettiva ecumenica, quale esercizio di dialogo tra i cristiani divisi, si pone come l’impegno sofferto e fecondo di guarire il rapporto tra l’Io e il Tu delle chiese, appare come profetica l’ermeneutica di Ebner quale cercatore appassionato della ‘parola giusta’ perché l’Io e il Tu cerchino l’unità nella differenza» (Ivi, 180).
Lungo questa strada si giunge ad approdi decisamente rilevanti. Basti ricordare, ad esempio, le considerazioni che Gaburro trae dalla riflessione ebneriana sulle «finzioni dello spirituale»: quella estetica, quella metafisica e quella etica. Quest’ultima, in particolare, si ha ogniqualvolta le chiese, invece di orientare l’uomo allo spirituale che sta fuori di lui, rappresentano lo spirituale stesso «in funzione dell'ordine interno delle chiese e in vista di garantire quelle strutture che permettono l’esistenza della convivenza ecclesiale» (Ivi, 181). Una posizione autocentrata delle chiese che porta a un vicolo cieco dello spirito e rende problematico anche un fecondo rapporto ecumenico.
Nell’esercizio ecumenico, sulla scorta del pensiero ebneriano, è soprattutto il dialogo, nella sua natura e nelle sue condizioni, che può essere corretto, precisato e definito. Ma questo vale anche per la Chiesa, per il suo essere e il suo porsi di fronte alla Parola e nel mondo: «La rilettura della dialettica Io-Tu in chiave ecclesiologica conduce... a un’autocomprensione nuova ed evangelica dell’essere Chiesa, continuamente sfidata dall’alternativa tra autoreferenzialità o dialogicità, non episodica ma strutturale» (Ivi, 208).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
La riflessione filosofica del sec. XX, soprattutto dopo il lingusitic turn e le posizioni del secondo Heidegger, ha messo al centro dell’attenzione il linguaggio aiutando a superare definitivamente una visione esclusivamente convenzionalistica ed autoreferenziale della parola per dischiudere il carattere originario e costitutivo dell’essere proprio della parola, oltre la stessa suggestiva metafora heideggeriana del linguaggio come casa dell’essere e l’uomo suo pastore e custode. In questo orizzonte un contributo altamente interessante e radicale ci è offerto da F. Ebner, il “ruminatore della parola”, un pensatore non accademico e autodidatta, libero e slegato da scuole, che in uno stile a frammenti, a getti (riverbero eloquente della sua vita tormentata), ha riflettuto sulla parola nel tentativo di recuperarne il genetico spessore ontologico. Preceduto da un’ampia prefazione di G. Lorizio, il volume di S. Gaburro si articola in sei capitoli. Il primo ripercorre l’evoluzione del pensiero di Ebner nei suoi principali filoni e nell’orizzonte della sua sofferta e mai interrotta ricerca esistenziale. Viene ricostruito il contesto familiare e la grettezza asfissiante di quella religiosità in cui si ritrova, che lo spingono a sfidare il Dio giudice e impropriamente presentato dall’istituzione.
Un pensatore autodidatta affamato di riflessione, che visse l’esperienza della solitudine radicale dinanzi a relazioni umane in cui il prevalere della chiacchiera sulla parola impediva che le persone comunicassero e si incontrassero veramente. Il cap. II ricostruisce le tappe significative del suo pensiero. Dopo la fase poetica (1903-1910) si sviluppa la fase filosofica (1910-1917) e quella pneumatologica. In particolare negli anni 1916-1917 l’a. indica il tempo della nuova nascita di Ebner attraverso una sofferta ricerca spirituale in cui si intrecciano la lettura di Pascal, Kierkegaard, Haecker e un nuovo incontro con i testi del vangelo. Attratto in un primo momento dalla filosofia di Schelling, si volge dapprima a Platone quindi a Nietzsche, a cui egli si sente vicino per la sua intenzione di rifiutare l’idea dell’uomo e giungere all’uomo reale. Nella ricerca del confronto filosofico Ebner si avvicina a diversi orizzonti di pensiero tra cui il vitalismo e Schelling. Spesso, come nel caso del suo “incontro” con Kierkegaard, dopo un primo momento di grande ammirazione segue un tempo di distacco e infine una serrata critica, «e questa modalità di contatti attraenti e poi deludenti diventa un ritornello esistenziale tipico di chi è naufrago, simbolo di un percorso ebneraino davvero tormentato e mai sazio di scavare ed estrarre il significato dell’esserci» (p. 56); non solo Kierkegaard ma anche Pascal, Dostoevskij, Hamann.
I capitoli 3 e 4 entrano nel merito del pensiero di Ebner dando rilievo all’ontologia della parola e alla fecondità intrinseca della parola come via per incontrare il Tu nella sua alterità e libertà senza ridurlo a proiezione dell’io. Il punto di avvio di Ebner, a mo’ di premessa, è la serrata critica di ogni filosofia fatta in terza persona, che si è allontanata dall’io concreto e reale e si riferisce ad un io astratto. In questo senso l’idealismo, i pensiero che rimanendo sul piano dell’idea non incrocia mai la vita, è il suicidio della filosofia; non è quindi possibile prescindere dall’io singolo e dalla sfera personale del filosofo. Oltre l’autosolipsismo dell’Io come essere assoluto, operato dalla filosofia moderna, occorre riconoscere nel linguaggio che si temporalizza e si eventua, la fondamentale condizione trascendentale del pensiero che, in quanto si dà come storicità, presuppone un Tu che permette di dare voce alla relazione di ciò che esiste come essere personale. Per essenza perciò l’uomo è un “essere parlante”; egli ha la parola, a differenza di ogni altro essere che rimane muto, e questo dice il salto-abisso che separa l’uomo dall’animale e rivela l’inadeguatezza di una prospettiva evoluzionistica. La parola è oltre la lingua, è il fondamento trascendente del linguaggio ed implica sempre una dualità originaria e ontologica dell’essere poiché in quanto parola l’uomo è relazionalità essenziale, incontro archetipico in cui l’Io si lega alla sorgente del tu. Ma da dove l’uomo ha la parola?
Per Ebner tutto scaturisce dalla «parola iniziale che Dio ha pronunciato nella sua unicità al singolare: colui che entra nella storia come la parola fatta uomo» (p. 87, ripetuto identico a p. 92). In quanto la parola è da Dio, quando il soggetto parla esprime la relazionalità strutturale che da sempre lo lega a Dio. Se l’uomo è definito dalla parola, la restituzione dell’essere alla parola è la condizione perché l’io si riconosca nel mistero dell’essere e della parola. Decisiva è da questo punto di vista la rilettura attraverso Recensioni 143 un’ermeneutica personalistico-dialogica del prologo di Giovanni. È il Logos «diventato carne l’unica luce vera che può brillare nelle tenebre dell’esistenza umana ancora resistente eppure sofferente, l’unica via che può “svegliare” l’uomo e restituirgli quella parola viva che gli permetterà finalmente l’incontro con il Tu reale, finora atteso e mancato. […] Il mistero dell’incarnazione, se creduto, ci svela quindi il mistero della vita e può attivare quel rapporto con il Tu dell’Io senza il quale l’Io rimane estraneo a se stesso, esposto all’illusione di scambiare in ogni momento il Tu con la sua ombra» (p. 111). Il cap. IV mostra la fecondità della parola come via e ponte verso il Tu, la relazione giusta e il dialogo. La parola rimane il fondamento dell’esistenza spirituale che vive nell’uomo, come segno di un legame che pone l’io e il tu in una posizione dialogica, non accanto ma con l’altro (cf. p. 115). Più radicalmente l’irrompere gratuito del tu come tuità nell’io, in ultima analisi il Tu di Dio nell’incarnazione di Gesù, la “parola giusta”, vince l’autoreferenzialità narcisistica dell’io consegnandolo alla sua autenticità, all’iità, alla coscienza del suo “essere io”, passando dall’insularità dell’“io sono” alla relazione con il tu appellato del “sono io” (cf. p. 122).
Poiché la parola genera l’incontro dell’Io con il Tu, questi entrano in un rapporto di reciprocità dando vita al dialogo che lungi dall’essere il risultato giustapposto di soggetti che restano indipendenti tra loro, diventa l’evento originario prima e oltre l’Io e il Tu, ovvero il tra, il clima che realizza l’incontro nella profonda dimensione della coscienza offerta dalla parola. Il cap. V ricostruisce l’indiscussa influenza di Ebner nella teologia evangelica e cattolica, pur dovendo distinguere tra contatti espliciti e consonanze. Tra gli autori evangelici sono annoverati E. Brunner, che con Ebner ebbe una profonda consonanza di pensiero oltre che un breve scambio epistolare, F. Gogarten, che ha nutrito un vivo interesse per la riflessione di Ebner sul tema della parola, D. Bonhoeffer, K. Barth. In ambito cattolico l’impatto di Ebner è stato meno rilevante con due eccezioni: il primo Rahner, che in Uditori della parola riprese in modo più speculativo l’intuizione di Ebner per descrivere l’uomo “ascoltatore della parola” in una prospettiva dialogico-relazionale; e von Balthasar, che legge criticamente il pensiero ebneriano, da lui chiamato “il solitario maestro di scuola elementare”. Il cap. VI, infine, offre una rilettura dell’orizzonte ebneriano evidenziando la fecondità ecumenica della sua prospettiva ermeneutica.
I temi cari alla riflessione di Ebner diventano paradigmi a partire dai quali costruire un autentico ecumenismo; così l’affermazione dello spirituale nell’uomo ricorda che «quando una persona o una chiesa pretende di affermare la propria identità “spirituale” in contrapposizione all’altra, di fatto la rifiuta e nega ontologicamente a se stessa la possibilità di affermarsi » (p. 182); riconoscere che l’uomo è costituito nella totalità del suo essere a partire dalla parola che gli è data, ci ricorda che solo il rimanere discepoli della Parola, che ha generato le chiese, rende tali chiese ministre della parola, chiamate più a svegliare la domanda che a farsi carico di dare risposte onde preparare l’incontro con il Tu. Poiché, inoltre, l’Io prende coscienza di se stesso nel rapporto con il tu mediante, nella e come Parola, la quale lo fa uscire dalla muraglia della sua solitudine, allora anche le chiese possono riconoscersi nella misura in cui amano le altre chiese, senza timore di essere risucchiate nella loro identità, ma lasciandosi affascinare dalla differenza.
A proposito del dialogo viene sottolineato il pericolo che nelle chiese si parli di Dio e dei cristiani senza parlare con Dio e con i cristiani; e ancora, l’importanza di risvegliarsi alla realtà dell’altro come soggetto, evitando il monologo e di oggettivare Dio alla terza persona. Sono numerosi gli spunti che acutamente l’a. presenta in questo capitolo conclusivo indicando piste ineludibili per il dialogo ecumenico. Più in generale tutto il volume è puntuale nelle ricostruzione del pensiero di Ebner e rende familiare al lettore un autore complesso e poco sistematico. Opportuno il glossario e l’ampia bibliografia conclusivi.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 1/2010
(http://www.pul.it)
Chi è Ferdinad Ebner? Per rispondere a tale domanda riprendiamo dall’Autore stesso del libro che nell’Introduzione scrive tra l’altro:«in senso stretto non è un filosofo, né un metafisico, né un poeta e nemmeno un pedagogo o psicologo e, pur mostrando nella sua ricerca una grande sensibilità religiosa, non può essere considerato nemmeno un teologo. Egli è un pensatore libero, che attinge da diverse fonti, ma non appartiene a nessuna scuola e il suo pensiero vero e fecondo si fa parola rivolta a un volto» (p. 14). Invano si cerca la sistematicità nei suoi scritti, egli volutamente si esprime in frammenti, con uno stile asciutto ed essenziale, diretto e scarno, procedendo per getti improvvisi e anomali, quasi a cascata; affida, infatti, il suo pensiero agli appunti, al diario, alle lettere e a qualche breve saggio. Da ciò la difficoltà per chi deve decifrare il suo pensiero nel ricostruirlo fedelmente. L’uso originale ch’egli fa della parola tradisce la sua delusione di fronte alla parola ridotta a chiacchiera: fatto che denuncia la mancanza di relazione al Tu e una vita derubata del suo senso.
Egli si pone come custode della “grande domanda”, sentinella del perché della vita, domanda che non è per lui solamente un problema, bensì soprattutto un’invocazione di senso. Infatti, la parola, che caratterizza l’essere umano, introduce il parlante in un altro orizzonte, appunto al senso della vita, a creare ponti con la realtà e tra le persone. In tale prospettiva Ebner si rivela come un pensatore ”pneumatologo” appassionato della parola. Infatti, per lui il senso della vita umana consiste nell’andare dalla Parola alla vita e dalla vita alla Parola, dove la Parola di Dio è “fondativa” e quella umana “maieutica”. Al contrario del rumore verbale, che si muove sempre e solo in direzione orizzontale per mettere al centro se stessi, “grazie alla parola, l’Io nell’uomo esiste in rapporto con il Tu”, e dal momento che “Dio ha creato l’uomo con il fatto stesso di parlargli, è il vero Tu del vero Io nell’uomo”. Da ciò si evince che il mistero della parola in cui vive l’uomo rimane inscindibile dal problema di Dio.
Pertanto, l’obiettivo di Ebner è quello di recuperare la parola al suo genetico spessore ontologico, riscattandola dall’essere impoverita a livello di vocabolo o di chiacchiera. Egli si pone, perciò, come un pensatore che soffre la ricerca di una parola viva, che prende spunto dal contesto nel quale si sviluppa l’esperienza umana, una parola come veicolo della relazione spirituale, che trova il suo fondamento in Dio, quale Logos e dia-logos divino che determina l’impronta della realtà umana. In tutto ciò si evidenzia la fecondità intrinseca della parola come via e ponte di relazione al Tu, alla relazione giusta e quindi al dialogo. Al termine di questa mia rassegna voglio sottolineare l’importanza e l’opportunità di questo libro, così ben documentato, che attraverso Ebner restituisce tutto il suo spessore ontologico alla parola, oggi così enfatizzata e svuotata di senso. Con i cinque capitoli, un glossario e una bibliografia nutrita e aggiornata, l’Autore consente anche a noi, come avvenne per Ebner, di risanare la “parola malata” dell’odierno panorama culturale, restituendole l’amore.
Tratto dalla Rivista di Scienze dell'Educazione n. 1/2010
(http://www.pfse-auxilium.org)
-
-
-
-
35,00 €→ 33,25 € -
-
-
38,00 €→ 36,10 €
-
11,90 €→ 11,30 € -
24,90 €→ 23,65 € -
23,90 €→ 22,70 € -
18,00 €→ 17,10 €
-
-
-
-
-
-
25,00 €→ 23,75 € -
-
-
-
-
24,60 €→ 19,68 € -
29,80 €→ 23,84 € -
-
-