Lo stupore della ragione. Il pensare francescano e la filosofia moderna
(Studi francescani) [Libro in brossura]EAN 9788825011340
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DETTAGLI DI «Lo stupore della ragione. Il pensare francescano e la filosofia moderna»
Tipo
Libro
Titolo
Lo stupore della ragione. Il pensare francescano e la filosofia moderna
Autore
Todisco Orlando
Editore
Edizioni Messaggero
EAN
9788825011340
Pagine
608
Data
gennaio 2003
Peso
565 grammi
Dimensioni
14 x 20.5 cm
Collana
Studi francescani
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Recensione di Francesco De Carolis della rivista Studia Patavina
Il volume di Orlando Todisco continua e approfondisce una ricerca volta a delineare l’attualità del “pensare francescano”; l’autore, Preside della Pontificia facoltà teologica S. Bonaventura (Roma) e docente di Storia della filosofia medievale all’Università degli Studi di Cassino, presenta un lavoro che può essere diviso in tre parti.
Si tratta di indagini,quasi tutte inedite che analizzano anzitutto le caratteristiche del pensare francescano (p. 15), il suo stile peculiare (p. 77) e il suo strutturale bisogno di trascendere la dicotomia tra verità e bontà (p. 129). Su tale base, la filosofia francescana è letta in relazione sia alla filosofia moderna sia a quella contemporanea, sia alle questioni metafisiche sia a quelle gnoseologiche, critiche ed etiche. Particolarmente significativo risulta il confronto negli ultimi capitoli tra la filosofia francescana e il pensiero di René Girard, di Emmanuel Lévinas e di Wittgenstein.
In un serrato confronto col nichilismo e con gli esiti più discutibili del pensiero di Nietzsche (p. 573), Todisco nota che lo stupore accompagna sempre l’indagine filosofica: la gratuità non solo accoglie la ragione, ma le apre scenari inusitati e spazi non altrimenti raggiungibili da un razionalismo conseguente e incapace di stringere nella sua ferrea logica le cose e l’uomo. Molto spesso, anche se non lo esplicitiamo sino in fondo, la ragione raziocinante cede il passo a quella ragione del cuore, a quella finezza spirituale, a quella novità del mondo che spesso, troppo frequentemente, la logica tecnocratica induce a dimenticare. Non si tratta, nota l’autore, di un discorso contro la ragione, che non può essere letta monoliticamente secondo schemi rigidi, ma di una riflessione, forse ardua ma sicuramente necessaria, sui limiti, sempre più evidenti e vistosi, di un nichilismo fatalistico.
L’assolutizzazione dell’intelletto, che non può lasciare spazio alla volontà e all’amore, non può essere definito un esito necessario e scontato della modernità e della post-modernità. In quest’ambito, fontale e radicale, sono possibili anche altre opzioni, probabilmente più fruttuose e originali (p. 79), che si pongono su cammini poco praticati: “sul presupposto del primato del bene non sarà difficile intendere che il conseguente primato della volontà non allude a una sorta di ribellione dalla verità e alla sua disciplina. La volontà, come il coeur pascaliano, allude a un supplemento di sensibilità per quanto resta fuori della logica della ragione (p. 53). Insomma, senza cadere in un facile e talora banale irrazionalismo, si tratta di delineare un orientamento filosofico che non scorge l’essere e il bene nel determinismo di una realtà compatta e rigida.
La considerazione che il bene non è scontato e la convinzione che l’amore domanda il coraggio di amare ancora e di più, pongono su una strada che, in definitiva, scuote l’intelletto dall’inerzia: “questo stesso discorso in termini teoretici induce a porre in evidenza una particolare forma di intenzionalità, e cioè l’intenzionalità dell’essere da e a partire dalla volontà donante, più che a partire dall’intelletto pensante. È Scoto l’emblema di questo indirizzo, per il quale si può dire che, attraverso l’intenzionalità del nuovo principio entitativo, inteso non più come noesi, ma come volontà-amore, la dottrina della creazione viene sottratta al formalismo di un logos troppo vicino al modello cosmologico greco e posta a fondamento di una teologia storico-salvifica” (p. 126).
L’autore, del resto, compie un’attenta analisi della ricezione della speculazione di Duns Scoto sulle questioni dell’ente (p. 212 e segg.), delle passioni trascendentali, dell’univocità, della libertà divina che nella sua incontraddittorietà e originarietà blocca il regresso delle cause all’infinito. Che la dottrina scotista dell’ente, nella sua neutralità, sia stata la causa quanto meno remota di quell’onto-teologia moderna che finisce proprio per dimenticare il senso dell’essere e finisce per cadere nella logica della gestione e manipolazione del mondo, delle cose e degli uomini, è un’obiezione facilmente ribaltabile.
Anzitutto, la critica alla prevalente concezione necessitaristica araba trova non poca forza nella visione scotista e francescana del primato della libertà. Inoltre, proprio la nozione scotista di ente, svincolata da facili ricadute teologiche, è strutturalmente aperta alla gratuità, inderivabilità e originalità dell’essere e del mondo. La volontà libera, già per sé indeducibile e stupefacente, si rivela, in modo ancor più libero, in una libera volontà d’amore.
Certo la mentalità moderna vive la scissione nietzscheiana tra Dioniso e il Crocifisso: molte voci si sono levate per accusare il cristianesimo di negare la pienezza della vita e instillare uno spirito di debole rassegnazione.Tuttavia la filosofia contemporanea, annota Todisco, vive anche una significativa prossimità a quelle tematiche cristiane che il pensare francescano ha posto in evidenza. Indubbiamente bisogna superare difficoltà, linguaggi e modalità di proposizione che non sempre vengono colte subito e facilmente.
Il cuore di questo nuovo discorso può essere individuato nella crisi dell’intellettualismo e dell’essenzialismo. A questo si aggiunge la percezione sempre più netta dell’assurdità delle ideologie, della violenza distruttiva, della sopraffazione dimentica dell’altro, della convinzione dell’onnipotenza del linguaggio
È possibile anzitutto cogliere significative convergenze fra le tesi di René Girard e l’insegnamento di Bonaventura sulla questione del Dio d’amore (p. 395 e segg.). Ancora in questa prospettiva sarà possibile leggere la sintonia tra le questioni sollevate da Emmanuel Lévinas (pp. 455 e segg.) e l’analisi di Duns Scoto sull’ineffabilità dell’individuale e sulla volontà d’amore che vuole l’altro perché lo ha scelto e si è deciso per lui. Altrettanto significativa è la questione del confronto, non semplice, tra Occam e Wittgenstein, i quali, pur partendo da differenti angolature, giungono a salvaguardare il linguaggio da errori non compresi dalla filosofia tradizionale. In effetti, rileva Todisco, la tematica del mistico, logico-linguistico e soprattutto religioso, può essere fruttuosamente comparata con le ardue questioni della libertà e dell’onnipotenza divina sollevate da Occam e da quella teologia che si pone oltre definizioni puramente consequenziali, chiuse alla novità, alla libertà e alle stupore.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Si tratta di indagini,quasi tutte inedite che analizzano anzitutto le caratteristiche del pensare francescano (p. 15), il suo stile peculiare (p. 77) e il suo strutturale bisogno di trascendere la dicotomia tra verità e bontà (p. 129). Su tale base, la filosofia francescana è letta in relazione sia alla filosofia moderna sia a quella contemporanea, sia alle questioni metafisiche sia a quelle gnoseologiche, critiche ed etiche. Particolarmente significativo risulta il confronto negli ultimi capitoli tra la filosofia francescana e il pensiero di René Girard, di Emmanuel Lévinas e di Wittgenstein.
In un serrato confronto col nichilismo e con gli esiti più discutibili del pensiero di Nietzsche (p. 573), Todisco nota che lo stupore accompagna sempre l’indagine filosofica: la gratuità non solo accoglie la ragione, ma le apre scenari inusitati e spazi non altrimenti raggiungibili da un razionalismo conseguente e incapace di stringere nella sua ferrea logica le cose e l’uomo. Molto spesso, anche se non lo esplicitiamo sino in fondo, la ragione raziocinante cede il passo a quella ragione del cuore, a quella finezza spirituale, a quella novità del mondo che spesso, troppo frequentemente, la logica tecnocratica induce a dimenticare. Non si tratta, nota l’autore, di un discorso contro la ragione, che non può essere letta monoliticamente secondo schemi rigidi, ma di una riflessione, forse ardua ma sicuramente necessaria, sui limiti, sempre più evidenti e vistosi, di un nichilismo fatalistico.
L’assolutizzazione dell’intelletto, che non può lasciare spazio alla volontà e all’amore, non può essere definito un esito necessario e scontato della modernità e della post-modernità. In quest’ambito, fontale e radicale, sono possibili anche altre opzioni, probabilmente più fruttuose e originali (p. 79), che si pongono su cammini poco praticati: “sul presupposto del primato del bene non sarà difficile intendere che il conseguente primato della volontà non allude a una sorta di ribellione dalla verità e alla sua disciplina. La volontà, come il coeur pascaliano, allude a un supplemento di sensibilità per quanto resta fuori della logica della ragione (p. 53). Insomma, senza cadere in un facile e talora banale irrazionalismo, si tratta di delineare un orientamento filosofico che non scorge l’essere e il bene nel determinismo di una realtà compatta e rigida.
La considerazione che il bene non è scontato e la convinzione che l’amore domanda il coraggio di amare ancora e di più, pongono su una strada che, in definitiva, scuote l’intelletto dall’inerzia: “questo stesso discorso in termini teoretici induce a porre in evidenza una particolare forma di intenzionalità, e cioè l’intenzionalità dell’essere da e a partire dalla volontà donante, più che a partire dall’intelletto pensante. È Scoto l’emblema di questo indirizzo, per il quale si può dire che, attraverso l’intenzionalità del nuovo principio entitativo, inteso non più come noesi, ma come volontà-amore, la dottrina della creazione viene sottratta al formalismo di un logos troppo vicino al modello cosmologico greco e posta a fondamento di una teologia storico-salvifica” (p. 126).
L’autore, del resto, compie un’attenta analisi della ricezione della speculazione di Duns Scoto sulle questioni dell’ente (p. 212 e segg.), delle passioni trascendentali, dell’univocità, della libertà divina che nella sua incontraddittorietà e originarietà blocca il regresso delle cause all’infinito. Che la dottrina scotista dell’ente, nella sua neutralità, sia stata la causa quanto meno remota di quell’onto-teologia moderna che finisce proprio per dimenticare il senso dell’essere e finisce per cadere nella logica della gestione e manipolazione del mondo, delle cose e degli uomini, è un’obiezione facilmente ribaltabile.
Anzitutto, la critica alla prevalente concezione necessitaristica araba trova non poca forza nella visione scotista e francescana del primato della libertà. Inoltre, proprio la nozione scotista di ente, svincolata da facili ricadute teologiche, è strutturalmente aperta alla gratuità, inderivabilità e originalità dell’essere e del mondo. La volontà libera, già per sé indeducibile e stupefacente, si rivela, in modo ancor più libero, in una libera volontà d’amore.
Certo la mentalità moderna vive la scissione nietzscheiana tra Dioniso e il Crocifisso: molte voci si sono levate per accusare il cristianesimo di negare la pienezza della vita e instillare uno spirito di debole rassegnazione.Tuttavia la filosofia contemporanea, annota Todisco, vive anche una significativa prossimità a quelle tematiche cristiane che il pensare francescano ha posto in evidenza. Indubbiamente bisogna superare difficoltà, linguaggi e modalità di proposizione che non sempre vengono colte subito e facilmente.
Il cuore di questo nuovo discorso può essere individuato nella crisi dell’intellettualismo e dell’essenzialismo. A questo si aggiunge la percezione sempre più netta dell’assurdità delle ideologie, della violenza distruttiva, della sopraffazione dimentica dell’altro, della convinzione dell’onnipotenza del linguaggio
È possibile anzitutto cogliere significative convergenze fra le tesi di René Girard e l’insegnamento di Bonaventura sulla questione del Dio d’amore (p. 395 e segg.). Ancora in questa prospettiva sarà possibile leggere la sintonia tra le questioni sollevate da Emmanuel Lévinas (pp. 455 e segg.) e l’analisi di Duns Scoto sull’ineffabilità dell’individuale e sulla volontà d’amore che vuole l’altro perché lo ha scelto e si è deciso per lui. Altrettanto significativa è la questione del confronto, non semplice, tra Occam e Wittgenstein, i quali, pur partendo da differenti angolature, giungono a salvaguardare il linguaggio da errori non compresi dalla filosofia tradizionale. In effetti, rileva Todisco, la tematica del mistico, logico-linguistico e soprattutto religioso, può essere fruttuosamente comparata con le ardue questioni della libertà e dell’onnipotenza divina sollevate da Occam e da quella teologia che si pone oltre definizioni puramente consequenziali, chiuse alla novità, alla libertà e alle stupore.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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