«Non sono sicuro l'arte sia qualcosa che facciamo per la conoscenza; come per le scienze, la storia o il giornalismo, l'arte ha a che fare con l'esperienza». Profondo conoscitore della storia dell'arte, Jeff Wall è noto per aver utilizzato la tecnica del lightbox, tratta dall'architettura commerciale e vernacolare americana, ma soprattutto per le sue mise en scène, ovvero la creazione di set di carattere cinematografico con veri e propri attori sulla scena. Le sue opere, al di là del forte impatto sul mercato dell'arte, hanno suscitato l'attenzione di grandi critici come Susan Sontag, Michael Fried o Jean-François Chevrier, e sono state elette a decisiva fonte d'ispirazione da alcuni fra i maggiori fotografi contemporanei, da Andreas Gursky a Thomas Ruff. Nel caso di Wall, inoltre, all'attività di artista si affianca una notevole produzione di saggi teorici, qui raccolti secondo una selezione studiata esclusivamente per questa edizione e suddivisi in due gruppi: da un lato le riflessioni sulla propria opera di fotografo, dall'altro gli scritti dedicati ad alcuni artisti come Roy Arden, Rodney Graham, Stephan Balkenhol, On Kawara, ma anche al pittore impressionista Edouard Manet. E un doppio registro da cui emerge un'acuta e competente riconsiderazione del mezzo espressivo grazie anche a una minuziosa riflessione sulle tecniche e i materiali, anche se non mancano lucide digressioni speculative in filosofia o in architettura (come quando, solo per fare un esempio, Wall mette a confronto il lavoro di Dan Graham con quello di Philip Johnson, Robert Venturi e Aldo Rossi). La forza di questi scritti nel loro insieme sta nel ricavare un alveo rigoroso e stabile, nell'ambito della storia dell'arte, non solo per l'opera stessa dell'autore, ma soprattutto per la fotografia in generale: l'arte più massificata e più soggetta alle minacce dell'impostura.