Eclissi
-Oltre il divorzio tra arte e Chiesa
(Dimensioni dello spirito)EAN 9788821598654
Secondo quanto sostiene Andrea Dall’Asta, risulta assai complesso parlare di arte sacra contemporanea, non solo perché spesso si affronta la questione in modo non del tutto adeguato, ma anche perché è necessario che sia chiaro un intero universo terminologico che può essere racchiuso in tre espressioni: sacro, arte sacra e arte liturgica. Le ultime due, in particolare, sono spesso intese come sinonimi. Con il termine sacro non si deve intendere, a suo parere, lo specificum dell’arte cristiana ma piuttosto ogni espressione estetica che affronti in dettaglio il tema dell’uomo: in quest’ottica, quindi, tutta la vera arte, nel momento in cui è in grado di far emergere l’animo umano, è sacra. Il linguaggio artistico, infatti, dev’essere perenne ricerca della bellezza, intesa come luogo in cui si dischiudono una pluralità di emozioni. Per Andrea Dall’Asta, il vero problema che la chiesa deve affrontare oggi, non è tanto l’arte sacra ma quella liturgica, ovvero l’arte che nasce per gli spazi ecclesiali e che si propone di esprimere i contenuti della fede cristiana: tale compito va chiaramente svolto attraverso un linguaggio che riesca a promuovere la spiritualità e la preghiera delle comunità e che, pertanto, va rinnovato in funzione delle esigenze dei tempi in modo che ne sia garantita l’efficacia. Da qui diviene poi importante comprendere la connessione esistente tra questi tre termini.
Dall’Asta fa notare come per secoli la chiesa sia stata committente di arte liturgica mentre oggi si assiste al venir meno di questo suo ruolo: si può osservare, infatti, l’ascesa di un tipo di arte profana che, grazie anche alle reti e connessioni che ha attraverso i propri interlocutori (gallerie d’arte e musei in primis), risulta ben strutturata e svincolata. Si può condividere l’idea secondo la quale la situazione che oggi si ha modo di osservare sia solo la punta di un iceberg che ha un’origine ben più remota collocata nel XVIII secolo, ossia nel pieno dell’Illuminismo: questa discrasia diverrà poi visibile nel Novecento. Quest’ultimo, infatti, è stato il secolo che ha visto la nascita delle scienze umane e della psicanalisi freudiana, lo svolgersi delle due guerre mondiali e anche di quella che può essere definita come una ridefinizione del concetto stesso di arte. L’arte inizia a essere il veicolo per esprimere grandi tematiche, al contrario invece della visione cristiana per la quale è mimesi cioè memoria e trasmissione di un’esperienza di fede vissuta tanti secoli prima: per mezzo delle immagini viene nuovamente presentato un evento del passato e allo stesso tempo, si permette a chi lo guarda di sentirsi parte integrante dello stesso. Non va poi dimenticato che nel XIX secolo viene introdotto il concetto kantiano di opera d’arte, il quale crea una vera e propria rottura epistemologica che mette in discussione i codici tradizionali su cui si fondava lo statuto dell’immagine. Tutto ciò andava così a modificare i tradizionali canoni dell’arte classica fondata sull’armonia delle parti: entra in crisi il concetto sopracitato di mimesi tanto caro ad Aristotele. Il movimento cubista, in particolare, farà da spartiacque tra l’arte referenziale e quella che, invece, negherà il principio di mimesi. Tale concetto verrà messo in discussione da tutti quei movimenti artistici, principalmente di area americana, che traevano ispirazione dalla filosofia analitica.
In un contesto complesso come quello sopra illustrato, appare chiaro come la chiesa si trovi di fronte a espressioni artistiche nelle quali si è annullato qualsiasi legame con il pensiero filosofico e teologico. In questa prospettiva, l’autore, arriva ad affermare che l’arte contemporanea ha in un certo senso spazzato via quell’umanesimo di cui il cristianesimo si era fatto promotore per secoli, durante i quali l’arte era riuscita ad esprimere l’apertura dell’uomo al trascendente. Di conseguenza l’arte liturgica, come già accennato in precedenza, vive un momento di crisi dovuto, principalmente, all’inadeguatezza della stessa a trasmettere all’uomo contemporaneo il proprio messaggio in modo efficace. Ci troviamo di fronte a una riproposizione continua di forme d’arte del passato svuotate del loro significato profondo a causa, forse, anche della mancata adesione da parte dell’artista al messaggio stesso. Non credo sia un azzardo sostenere che il tentativo di attualizzare raffigurazioni care alle tradizioni passate non risulta sufficiente a rendere l’arte liturgica in grado di interfacciarsi con l’uomo contemporaneo: se ad esempio, nella tradizione artistica bizantina l’opera d’arte non era semplice rappresentazione ma vera e propria ierofania, l’arte liturgica contemporanea appare come disincarnata, quasi a rappresentare il contesto storico attuale nel quale è viva l’idea di un Dio che ha smesso di parlare all’uomo.
Nonostante quanto detto sopra, Dall’Asta fa notare come, dopo il Concilio Vaticano II, il tema del rinnovamento liturgico delle chiese antiche sia divenuto di scottante attualità e come numerosi siano stati gli interventi effettuati in chiese, a volte anche monumentali, nelle quali le modifiche atte a rimodernarle non hanno però fatto altro che stravolgerne completamente la fisionomia, a discapito del rispetto delle disposizioni originali. Così come da alcuni esempi riportati nel testo, si può affermare che una certa parte dell’arte liturgica contemporanea non sia stata in grado di proporsi come arte profetica. Il problema di tutto ciò è da rintracciarsi forse proprio nel disinteresse latente dell’uomo nei confronti di quelle che sono le domande di senso: l’artista stesso risulta essere totalmente disincantato e disinteressato alla trasmissione di un messaggio, che sia esso quello religioso o anche il proprio personale punto di vista. Assai diffusa, infatti, è l’idea che l’arte liturgica contemporanea rispecchi la società odierna sempre più nichilista e purtroppo vuota di senso.
Pur vero è che, se da un lato si avverte quanto detto poc’anzi, dall’altro si percepisce anche il forte desiderio di riuscire a trovare la risposta a quelli che sono gli interrogativi che da sempre interpellano l’uomo. Per fare in modo che l’arte liturgica torni a essere nuovamente uno strumento efficace per la trasmissione del messaggio evangelico, è fondamentale che essa si proponga come luogo di riflessione per l’uomo e le donne di oggi: la chiesa deve dialogare con la modernità cercando di riproporsi, nuovamente, come fonte ispiratrice dell’immaginario individuale. Piuttosto che prestare attenzione alla perfezione delle forme, sarebbe necessario recuperare il carattere dell’immagine: infatti, bisogna entrare in connessione con il mondo, in modo che l’uomo possa così recuperare la sua identità religiosa ossia il suo essere homo symbolicus. In questa prospettiva l’arte liturgica deve perciò riassumere il suo ruolo di punto di contatto tra immanenza e trascendenza: affinché ciò avvenga è necessario che la chiesa guidi la formazione degli artisti in modo tale che essi possano acquisire maggior consapevolezza della missione che gli viene affidata.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 2-4/2017
(http://www.pftim.it)
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