Citazione spirituale

San Charbel Eremita (1828-1898)

-

Itinerario nelle profondità

 
di

Al Elias Jamhourynovità


Copertina di 'San Charbel Eremita (1828-1898)'
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EAN 9788821594496

Disponibile dopo il 07/01 causa chiusura natalizia editori/fornitori
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Descrizione
Tipo Libro Titolo San Charbel Eremita (1828-1898) - Itinerario nelle profondità Autore Editore San Paolo Edizioni EAN 9788821594496 Pagine 144 Data febbraio 2015 Peso 202 grammi Altezza 21,5 cm Larghezza 14 cm Profondità 1,3 cm Collana I protagonisti
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il 22 gennaio 2016 alle 19:29 ha scritto:

Ho letto molti libri su padre Charbel, ma questo occupa un posto speciale, merito del suo autore, padre Elias, punto di riferimento dell'Ordine Maronita in Italia: proprio in quanto appartenente allo stesso ordine monastico, l'autore ha saputo aggiungere il giusto approfondimento.

il 13 dicembre 2019 alle 00:16 ha scritto:

Un libro meraviglioso che mi ha consentito di conoscere un Santo a me prima sconosciuto. Il linguaggio e la dedizione con il quale è scritto permette di compiere un viaggio spirituale, un ritrovarsi a tu per tu con questa figura carismatica e benedicente.

, adrianopilia3@gmail.com il 22 luglio 2024 alle 22:23 ha scritto:

I buoni conoscitori delle Sacre Scritture sanno quante volte il Libano è citato nella Bibbia, come il cedro, il simbolo del paese, appare, anche in Sant'Agostino, creatura alta, forte, bella, profumata: gli empî pensano di raggiungere la sua altezza, ma saranno stroncati nella loro presunzione, e gli umili, come cedri, saranno elevati e moltiplicati, ed il Libano, come regione, è il luogo da cui viene la “Sposa” del Cantico dei Cantici, simbolo, lei, della fede ... ma sono certamente pochi in Italia che ricordano che in Libano, che ora è un tormentato piccolo stato arabo che si affaccia sul Mediterraneo in un tratto di costa che nell'antichità era popolato dai Fenicî, esistono forti minoranze cristiane la cui somma sino a poco tempo fa costituiva in realtà una maggioranza, solo ora superata dall'insieme delle comunità musulmane. Tali minoranze cristiane andavano dai cattolici latini, ai siriaci cattolici e ortodossi, ai caldei, agli armeni apostolici e cattolici, ai protestanti, ai melchiti (i greco cattolici) agli assiri ed ai copti. Ma la più numerosa era ed è rimasta la comunità maronita, cattolica anch'essa, da cui a partire dal 1943 (anno di nascita del Libano indipendente) sino ad oggi proviene il presidente della repubblica.
Questo ramo dei cattolici prende il nome da San Marone, vissuto nel V secolo, ma anche dal suo primo vescovo, San Giuseppe Marone del VII secolo, primo maronita a reggere il Patriarcato di Antiochia. Vivente ancora San Giuseppe, dovette spostarsi da Antiochia, per sfuggire alle persecuzioni che si stavano profilando in Siria, a Kfarhy, in Libano. Sempre in Libano, attualmente a Bkerké si trova la sede patriarcale maronita.
Dopo alcuni secoli di autonomia, ma mai di vero distacco dalla Chiesa di Roma, i Maroniti confermarono l'unione e l'obbedienza al Papa, con la fondazione di un loro collegio a Roma nel 1584, sotto Gregorio XIII.
Nel XIX secolo, quando l'Impero Ottomano nella sua massima espansione comprendeva anche tutti i territorî che si affacciano sul Golfo di Siria, in un villaggio del Libano settentrionale, chiamato Bqaa Kafra, l'8 maggio 1828, nasceva da una modesta famiglia di pastori e contadini maroniti Youssef Antoun, che sin da una tenera età mostrò una forte tendenza alla spiritualità, accentuatasi dall'educazione del suo patrigno (Youssef era rimasto orfano a pochi anni d'età) divenuto diacono in età matura. Ciò comunque non impedì a Youssef di lavorare, come pastore per la famiglia sin dai suoi 14 anni, sino al 1850, quando, in piena autonomia, decise di entrare come novizio nel Convento di Nostra Signora di Mayfouq scegliendo il nome di Charbel in onore di un Santo martire del secondo secolo: e nel 1859, il giovane professo era ordinato sacerdote, e da allora si dedicava completamente alla vita monastica, al punto che respingeva fermamente l'invito dei suoi parenti e compaesani, che ne furono delusi, di celebrare una sola Messa, la sua prima Messa, nel villaggio di nascita. Ma neppure la vita monastica era sufficiente a dare a Padre Charbel quell'isolamento, quella “solitudine con Dio” che Egli vedeva necessarî per il perfezionamento della Sua spiritualità: trascorso il tempo minimo per poter fare la relativa richiesta (10 anni dopo l'ordinazione) ottenne di ritirarsi in un eremo, dove visse nella privazione più assoluta di ciò che ci può dare il mondo: i pasti erano appena sufficienti, le vesti diventavano logore: la ricchezza, la luce, se vogliamo il bene e l'allegria del mondo sono visti da un eremita come la povertà, le tenebre, il male e la tristezza, e viceversa questi “cattivi compagni di viaggio” del laico diventano abbondanza, luminosità, gioia, ottimi amici e guide verso Dio per l'eremita. Era il 1875 e Charbel sarebbe rimasto sino alla sua morte (la vigilia di Natale del 1898) nell'eremo dei Santi Pietro e Paolo ai piedi della collina della Trasfigurazione.
La voce che in questo luogo vi era un Santo si sparse assai presto nel Libano: Padre Charbel non aveva reciso i legami colla famiglia monastica di Annaya, di cui assisteva certo con la preghiera, ma anche materialmente gli infermi ed eseguiva ogni tipo di lavoro ordinatoGli dal superiore, compresa la panificazione, ed anche in questo caso, senza interrompere orazioni e meditazioni.
E, quand'era ancóra in vita, numerosi erano stati gli atti dell'eremita Charbel assimilabili a miracoli: un'invasione di locuste scongiurata coll'aspersione dei campi con acqua da Lui benedetta, acqua che, versata in una lanterna dava luce come se fosse olio… A maggior ragione, altri miracoli si manifestarono dopo che Egli era tornato al Padre: già il giorno dopo la morte, alla celebrazione della Messa natalizia, presente il corpo di Charbel, un Libanese che poteva spostarsi solo se trasportato da altri e soffriva di atroci dolori a causa da un fulmine che l'aveva colpito, baciò una mano della salma e all'istante si sentì liberato dalle sue sofferenze; un mese dopo il seppellimento, si poté constatare che un forte chiarore sovrastava la zona della Sua tomba (in verità, nient'altro che una fossa scavata nel cimitero comune de monaci) sulla cui superficie affiorava un liquido acquoso con tracce rosse: il corpo fu riesumato ed i tessuti non erano né irrigiditi né decomposti: esposta all'aria per ben 5 mesi, la salma non si alterò ed emanava sempre un delicato profumo: e si vide che il liquido, come il sangue e l'acqua dell'ultima piaga del Crocifisso, proveniva dal costato dell'eremita. E, come l'acqua di Lourdes, utilizzato da devoti che ormai cominciavano a recarsi in gran numero a visitare i resti dell'uomo che già avevano venerato in vita, otteneva guarigioni da molti mali.
Questo gran numero di fatti che sfuggivano ad ogni interpretazione razionale (numerosissime furono le analisi del “liquido charbeliano”, ma nessuna giunse ad una conclusione) portarono nel 1923 l’abate generale dell’Ordine, Padre Ignatios Tannouri, a raccogliere prove delle virtù di Padre Charbel, per poi presentare a Roma, nel 1925, la sua causa di beatificazione, assieme a quella di Suor Rafqa (Rebecca) dello stesso Ordine, e di Padre Hardini, maestro di Charbel. Dei tre, l’umile taumaturgo fu il primo ad esser beatificato, nel 1965, regnante Paolo VI, che nel 1977 lo proclamò Santo, inserito definitivamente nel calendario cattolico alla data del 24 luglio.
adrianopilia3@gmail.com